Il romanzo dell’ungherese Terézia Mora, finalista allo Strega Europeo 2025, racconta il percorso di una donna della DDR che sacrifica la propria dignità alla passione soverchiante per un uomo e, con un finale potentissimo e inaspettato, rende il senso della sconfitta personale
di Sabrina Colombo

La metà della vita
Autrice: Terézia Mora
Traduttrice: Daria Biagi
Editore: Gramma Feltrinelli
Anno edizione: 2024
Anno prima edizione: 2023 (Germania)
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 396
Consigliato a chi ama le ambientazioni mitteleuropee, il periodo storico segnato dalla caduta del Muro di Berlino, i racconti intrisi di sensualità, quelli che trattano il tema della violenza di genere e della sopraffazione psicologica.
Nell’ultimo scorcio degli anni Ottanta Muna Appelius, appena diciottenne, inizia a frequentare la redazione di una rivista letteraria come tirocinante. Il suo desiderio di scrivere e di impiegarsi nell’ambiente dell’editoria è precoce, nutrito dagli studi e da una sensibilità fuori dal comune. La cittadina in cui vive, Jüris, piccolo borgo nella DDR, non le dà molte possibilità. La vita è complicata per una giovane donna – orfana di padre, con una madre attrice teatrale ciclotimica e dipendente dall’alcol.
È proprio tra gli scaffali polverosi della Voce del Popolo che un giorno le viene presentato il fotografo Magnus Otto: l’incontro è fatale, la bellezza del giovane e i modi misteriosi e seduttivi hanno su Muna un impatto tale da destabilizzarla. I due si frequentano brevemente, fino all’improvvisa uscita di scena di Magnus, che attraversa la cortina di ferro e passa all’Ovest.
La successiva caduta del Muro non facilita le cose per chi vuole rincontrarsi: l’Europa sembra sprofondata nel caos, nuovi Paesi si affacciano all’Occidente rovesciando i governi e dando inizio a una lenta ma progressiva marcia verso il dissolvimento dell’Unione Sovietica. Muna vince borse di studio che le permettono di mantenersi come ricercatrice. Nel suo cuore – nonostante fugaci e insoddisfacenti relazioni – continua ad albergare il ricordo dell’unico uomo amato.
Quando lo ritrova, insegnante universitario, è come se un destino già scritto si compisse: i due si riavvicinano, la relazione si rafforza ma quel senso di incompiutezza che Magnus portava con sé torna a presentarsi prepotente. Magnus è un compagno ombroso e conturbante, travolge Muna e la asservisce psicologicamente. La ama e la odia, la venera e la avvilisce, la espone al pubblico ludibrio con il suo comportamento scostante. Ben presto il legame diventa tossico e violento, il coinvolgimento sentimentale rende Muna fragile, incapace di allontanare un individuo insicuro e frustrato che – cogliendo le potenzialità e i talenti della propria compagna – intimamente la invidia e reagisce disprezzandola.
La metà della vita è il racconto in prima persona del percorso della protagonista, che sacrifica la propria dignità alla passione soverchiante per un soggetto istrionico ed egoista, egocentrico e aggressivo, bugiardo e perbenista. Muna si descrive con sincerità, non si nasconde dietro facili giustificazioni per la propria follia sentimentale. È lei a cercare Magnus, a richiedere pervicacemente le sue attenzioni, a mettere in dubbio il proprio aspetto fisico – che tende alla pinguedine – e a modificare il proprio consueto abbigliamento per adeguarsi agli stereotipi femminili cui Magnus non sa rinunciare.
La metà della vita è quella porzione di avvenire sereno che Muna si augura di poter trascorrere dopo essersi finalmente allontanata da Magnus: un auspicio e una speranza destinati a infrangersi di fronte all’inevitabilità degli eventi.
La prosa è suggestiva, algida, chirurgica nel raccontare l’interiorità di Muna, nel descrivere la sua esistenza nomade in un’Europa in via di consolidamento verso nuovi equilibri, la sua ricerca di realizzazione nel lavoro e nella vita privata. È interessante che molti dei personaggi che gravitano nel romanzo si occupino, direttamente o meno, di ricerca su temi attinenti il ruolo delle donne nei vari ambiti della cultura: anche nei contesti accademici, frequentati da persone colte e mentalmente progredite, si può annidare la violenza di genere, l’omertà e la silenziosa connivenza con chi esercita il proprio potere approfittando del ruolo rivestito.
In taluni passaggi emerge più evidente il legame patologico, quando Muna “materialmente” cancella alcune parti del suo racconto, tracciandovi una linea nera sopra: sono i momenti peggiori, quelli in cui annulla il proprio sentire profondo:
“Ti amo. Dalla prima volta che ti ho visto. E ora che ti ho ritrovato… Cercai di ricomporre il discorso che avevo fatto prima a Ingrid. Quando, attraverso una persona, trovi il tuo posto nel mondo. O capisci qual è. Per me è così da quando ti ho incontrato la prima volta.”
(Pag. 208)
Altrove Terézia Mora conferisce valore drammaturgico al personaggio intervallando il discorso diretto, mai evidenziato dalle consuete virgolette, con periodi parentetici in cui Muna riflette “in presa diretta”, mentre è contemporaneamente occupata a discutere con il suo interlocutore:
“… So che ce la puoi fare. Smetti di piagnucolare e ce la farai.
… (Ho già smesso di piagnucolare. Col pensiero sono già alla ricerca del prossimo volo per Zurigo.)
Sei libera stasera? Vuoi venire a teatro? Ho un biglietto in più.
(Io e lui a teatro? Io e lui da soli sarebbe la prima volta.)
No, grazie.”
(Pag. 256)
Un elemento ricorrente, chiaramente simbolico, è l’acqua: nel continuo peregrinare attraverso l’Europa – Austria, Francia, Gran Bretagna, Cecoslovacchia, Svizzera, la stessa Jüris descritta nei primi capitoli – Muna incrocia sovente le rive placide di un fiume, oltrepassa ponti e canali, ammira la serena bellezza di un lago o l’irruenza di un corso d’acqua in cui si immergono gitanti in vena di bravate. Il fiume è la vita di Muna che scorre impetuosa in una direzione che non può cambiare, in un senso di marcia che non può invertire.
La metà della vita è un romanzo “di movimento” e anche “di spaesamento”: i personaggi sono accomunati da un senso di insuperabile precarietà. Protesi verso il futuro, restano in bilico tra Est e Ovest, tra consumismo occidentale e residui del passato collettivista e in nessuno dei due ambiti sembrano a loro agio. Sono intellettuali, artisti, scrittori, editor: in teoria si considerano adeguatamente affermati, di fatto sono spiantati, condividono appartamenti in subaffitto, si dannano quando i sussidi percepiti si esauriscono, competono per ottenere l’attenzione dei baroni universitari dai cui giudizi dipendono incarichi e avanzamenti di carriera, girano in bicicletta più spesso che in automobile, viaggiano molto meno di quanto vorrebbero, condizionati dalla carenza di denaro.
Il romanzo rende il senso di una sconfitta, si risolve in un finale potentissimo e inaspettato, raccontato con toni poetici che fanno da contrappunto allo stile quasi cronachistico che permea le circa quattrocento pagine che lo precedono, e che lascia spiazzati per la crudezza della verità che ci consegna: l’ossessione talvolta scava solchi così profondi che – per uscirne – la ritrovata autostima e l’affetto di chi ci circonda non sono bastevoli.
La metà della vita contiene infine frequenti rimandi a opere o anche a testi di canzoni non sempre editi in Italia, che sono parte integrante del background di formazione dei personaggi di Terézia Mora e che quindi entrano nel linguaggio colloquiale di questi ultimi: la lettura tuttavia non ne risulta mai appesantita, anche per chi non è conoscitore della letteratura di lingua tedesca. Per un approfondimento è molto utile la nota della traduttrice Daria Biagi in chiusura del libro.
Terézia Mora (Sopron, Ungheria 1971) vive a Berlino dal 1990, scrittrice e traduttrice, è autrice di numerosi romanzi che hanno ottenuto riconoscimenti e sono stati tradotti in venti lingue. La metà della vita è stato finalista allo Strega Europeo 2025.
Il libro in una citazione
«Non fu lui, né fui io, a mettere fine a tutto ciò.»
13 giugno 2025
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