In uno dei suoi lavori più maturi e ambiziosi, Ilaria Tuti intreccia thriller storico e romanzo psicologico-esistenziale per raccontare di due medici ai tempi della Seconda guerra mondiale, il padre internato a Dachau e la figlia in servizio presso la Risiera di San Sabba
di Chiara Boccardo

Risplendo non brucio
Autrice: Ilaria Tuti
Editore: Longanesi
Anno edizione: 2024
Genere: Gialli & Noir, Romanzo storico
Pagine: 320
Consigliato a chi ama romanzi storici intensi e ben documentati, a chi cerca storie di resilienza e coraggio morale e a chi apprezza i thriller psicologici, in cui l’indagine si intreccia con una profonda esplorazione dell’animo umano.
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Suite francese di Irène Némirovsky. Traduzione di Laura Frausin Guarino. Adelphi 2012
… scritto durante la Seconda guerra mondiale, prima che l’autrice venisse deportata, è un’opera incompiuta che racconta con sguardo lucido e disincantato l’esodo dei francesi dopo l’invasione nazista.
Con Risplendo non brucio, Ilaria Tuti firma uno dei suoi romanzi più maturi e ambiziosi. Ambientato nel 1944, durante uno dei periodi più oscuri del Novecento europeo, il romanzo intreccia la voce di un padre e quella di una figlia in un doppio registro narrativo che alterna l’orrore dell’internamento nazista alla sofferenza quotidiana della resistenza civile. Il titolo stesso – Risplendo non brucio – è un manifesto esistenziale: evocazione della luce che resiste al fuoco, dell’umanità che non si consuma nemmeno nell’inferno.
Due i personaggi principali. Johann Maria Adami, patologo internato a Dachau per le sue posizioni contro il regime, viene convocato dalle SS per indagare sulla morte sospetta di un ufficiale nel castello di Kransberg, luogo sinistro e simbolico dove Hitler si è rifugiato dopo il fallito attentato del 20 luglio 1944. L’indagine di Johann si muove in un contesto sospeso tra follia ideologica, terrore e disgregazione morale, in un ambiente in cui il Male si manifesta nella sua forma più spoglia e assoluta.
Nel frattempo, a Trieste, sua figlia Ada – anche lei medico – combatte una battaglia diversa, ma non meno dolorosa. Nella città lacerata dall’occupazione tedesca e dalla violenza, lavora in condizioni disperate in un ospedale improvvisato. Intorno a lei, la Risiera di San Sabba – l’unico campo di concentramento in Italia con un forno crematorio – getta la sua ombra di morte. Quando nei pressi della Risiera iniziano ad affiorare i corpi di giovani donne uccise brutalmente, Ada si ritrova invischiata in un’indagine pericolosa e solitaria, in cerca non solo dell’identità dell’assassino, ma anche di un senso dentro la disumanità dilagante.
Il romanzo si muove dunque lungo due binari: quello investigativo, con i tratti del thriller storico, e quello psicologico-esistenziale, incentrato sul trauma, la memoria e la sopravvivenza etica. Tuti costruisce un impianto narrativo ricco, stratificato, che non ha paura di affrontare la complessità dei fatti storici e la fragilità delle coscienze.
Johann è l’incarnazione della razionalità che cerca di non cedere all’orrore. Uomo colto, umanista, osserva con lucidità ciò che lo circonda, ma ogni sua certezza scientifica viene messa in discussione da ciò che vede e sente nel castello: un luogo gotico e distorto, dove l’ideologia ha preso il posto della logica e la superstizione quello della scienza. Il castello non è solo una scenografia, ma un organismo vivo, impregnato di terrore e di simboli, un labirinto della mente prima ancora che dello spazio. Johann si muove come un uomo che cerca di salvare ciò che resta della ragione, anche quando ogni evidenza grida l’opposto.
Ada, al contrario, rappresenta la tensione verso l’azione, la cura, la responsabilità. Nonostante le ferite del passato – non tutte raccontate esplicitamente, ma avvertibili in ogni suo gesto – continua a esercitare la medicina come atto di resistenza. Nella sua ricerca della verità sulle donne uccise, Ada non è una detective né un’eroina nel senso classico: è una donna che non abdica alla propria umanità. In lei convivono empatia e rabbia, paura e coraggio, dolore e determinazione. È uno dei personaggi femminili più intensi e tridimensionali creati da Tuti.
Il grande merito dell’autrice è proprio quello di riuscire a tenere insieme l’elemento storico e quello umano, senza mai trasformare la narrazione in un trattato o in una cronaca. La Risiera di San Sabba, per esempio, non è solo uno sfondo: è una presenza, un memento mori costante, un luogo che pulsa nel testo con tutto il suo carico simbolico. Tuti evita ogni pietismo o retorica: racconta l’indicibile con pudore, ma senza edulcorazioni. E proprio questa sobrietà rende il romanzo ancora più potente.
Il tema centrale è la resistenza: non solo quella armata, ma quella interiore. Risplendo non brucio racconta di chi ha scelto di restare umano anche in mezzo al disumano. Di chi ha cercato di salvare vite, di dare sepoltura ai morti, di mantenere la lucidità mentre il mondo crollava. La memoria storica non è, qui, uno sfondo decorativo: è sostanza narrativa, è materia viva. Ogni pagina invita il lettore a riflettere non solo sul passato, ma anche sul presente, su quanto siano fragili i confini tra civiltà e barbarie.
Anche il corpo – elemento ricorrente nella scrittura di Tuti – diventa una chiave di lettura. Corpi esaminati, feriti, violati, e anche curati, accompagnati, rispettati. La medicina come scienza e come atto etico attraversa tutto il romanzo, trasformando il gesto clinico in gesto politico. Johann e Ada, da medici, leggono il mondo attraverso i segni della carne, ma anche attraverso quelli dell’anima. In questo, Risplendo non brucio è anche una meditazione sul ruolo del sapere e della cura in tempi di crisi.
Dal punto di vista stilistico, Tuti conferma la sua scrittura precisa, densa, elegante. Il lessico è ricco, ma mai ridondante, i dialoghi sono essenziali e profondi, le descrizioni evocano atmosfere senza appesantire. L’autrice riesce a mantenere alta la tensione per tutto il romanzo, alternando momenti di introspezione a passaggi serrati. Le due linee narrative – quella di Johann e quella di Ada – si alternano con fluidità, arricchendosi a vicenda, fino a una conclusione che non cerca facili pacificazioni, ma apre alla possibilità della luce.
L’ambientazione storica è ricostruita con grande accuratezza. Nulla è lasciato al caso. Le dinamiche del potere nazista, la crisi della Wehrmacht, l’angoscia degli ultimi mesi di guerra, la condizione di Trieste occupata, le ambiguità dell’Italia di Salò… ogni dettaglio è frutto di studio, ma filtrato da una sensibilità narrativa che non schiaccia mai la vicenda personale sotto il peso dei fatti. Tuti fa parlare la Storia attraverso le vite degli individui, non il contrario.
In definitiva, Risplendo non brucio è un romanzo che colpisce per la sua intensità, la sua coerenza, la sua profondità. È un’opera che non si dimentica, che costringe a guardare in faccia il dolore, ma anche a cercare – ostinatamente – ciò che può ancora brillare. È un libro sulla memoria, e anche sul futuro. Sulla responsabilità di ricordare e di raccontare. Perché nessuna luce è più forte di quella che si accende quando tutto intorno sembra cenere.
Il libro in una citazione
«Solo ora, così vicina a compiere l’atto ultimo di una tragedia che avrebbe richiesto l’estremo sacrificio, Ada finalmente lo comprendeva. Era il testamento di un uomo che sapeva di dover morire e le chiedeva di vivere pienamente.»
5 giugno 2025
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