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Libri per chi ama davvero leggere

Il gigante travolto da un cambiamento epocale

Nel romanzo dell’americana Edna Ferber il grande Texas lega i destini di personaggi indimenticabili e come loro è costretto a fare i conti con l’avvento della modernità

di Sabrina Colombo

La copertina del libro "Il gigante" di Edna Ferber (Astoria)

⭐⭐⭐⭐⭐

Classificazione: 5 su 5.

Il gigante
Autrice: Edna Ferber
Traduttrice: Emma Claudia Pavesi
Editore: Astoria
Anno edizione: 2025
Anno prima edizione: 1952 (Usa)
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 427

Consigliato a chi legge romanzi con ambientazione western; a chi ha amato il film omonimo di George Stevens in cui James Dean ha interpretato il suo ultimo ruolo prima della tragica e prematura scomparsa; a chi è interessato a interrogarsi sull’evoluzione del sentire sociale relativamente ad alcuni temi importanti e attuali.

Se ti interessa, guarda anche
Il gigante (drammatico Usa, 1956) di George Stevens.

All’indomani della fine della Grande guerra, Bick Benedict, ultimo rampollo di una dinastia di allevatori texani, durante un viaggio a Washington conosce la giovane Leslie Lynnton, figlia di uno stimato medico della Virginia. Tra i due è amore a prima vista e, nonostante le differenze sociali e ambientali, si sposano in poche settimane e rientrano a Reata, la sconfinata proprietà della famiglia Benedict. Quello tra Leslie e Bick è un incontro fra personalità diversissime.

Leslie è di idee liberali, è una ragazza cresciuta con il mito del padre – uomo illuminato che le ha garantito un’istruzione avanzata, in anni in cui per una donna l’essenziale era concludere un buon matrimonio. È una lettrice accanita, si sforza di capire il mondo attraverso la cultura: il sapere è la sua chiave di interpretazione delle relazioni umane. Bick, invece, è un tradizionalista: da buon allevatore, la ricchezza la calcola in acri, misura tutto con il metro della proprietà di terre e capi di bestiame.

La vita a Reata per Leslie sarà una continua scoperta, che la porterà a scontrarsi con una realtà antinomica rispetto a quella in cui è cresciuta.

Per Leslie è uno shock constatare le condizioni degli ispano-americani impiegati nella fiorente azienda del marito, ma non è l’unico problema che deve affrontare: deve anche imparare a farsi accettare dalla buona società locale, di idee molto meno progressiste delle sue, e deve convivere con Luz – sorella di Bick e nume tutelare della casa, una virago temuta e rispettata dalla servitù – legata da un rapporto ambiguo e allusivo con un giovane schivo e tenebroso, Jett Rink. Quest’ultimo riveste un ruolo non ben definito nel clan Benedict, si colloca a metà strada tra il mezzadro e il domestico: dopo la misteriosa morte del padre durante una battuta di caccia di frodo all’interno della tenuta, Jett viene risarcito moralmente da Bick con la cessione di un modesto appezzamento di terreno. Mai scelta fu più errata: sul fondo si scopre un pozzo di petrolio e Jett diventerà, grazie a quell’atto di magnanimità, l’uomo più ricco di tutto lo Stato.

La trama del Gigante è notevole sotto il profilo drammaturgico, è avvincente il racconto della giovane sposa sradicata dalla Virginia e catapultata in un mondo di cowboy, rodei, marchiature di bestiame, vita di campagna, sieste nella calura postprandiale. Ma Edna Ferber si smarca velocemente dagli stilemi della saga famigliare costruita sul triangolo amoroso, la sua protagonista è un’eroina che vuole affrancarsi dagli stereotipi dell’epoca. Leslie è certamente una donna di classe, che si cura della casa e del suo aspetto fisico, ma pizzi e falpalà non sono la sua principale occupazione né lo sono le cene eleganti o i barbecue in aperta campagna. Leslie sperimenta per la prima volta la sensazione di ingiustizia verso le evidenti discriminazioni cui assiste: visita villaggi privi di qualunque servizio, incontra partorienti in preda alla febbre puerperale lasciate a languire su un lurido giaciglio, si scontra con chi organizza il mercimonio di intere comunità, ingaggiate per pochi spiccioli e poi rispedite in Messico a raccolto concluso; in ultima analisi, acquista consapevolezza del fatto che la ricchezza di cui gode è frutto dello sfruttamento dei più poveri e il blando paternalismo di suo marito non le toglie la convinzione che non si stia facendo abbastanza per emancipare dalla miseria le maestranze dei Benedict.

Tra le pieghe del racconto emergono dei quadri di grande realismo, che pongono il lettore di fronte alla tragedia dei movimenti migratori dal Centro e Sudamerica e dei pericolosi viaggi della speranza affrontati dai clandestini.

Un ulteriore tema presente è la segregazione razziale nei confronti delle minoranze di lingua, cultura e tradizione ispanica: bianchi e ispanici frequentano scuole, ristoranti, negozi diversi e chi ha l’ardire di opporsi a questo codice di comportamento viene violentemente stigmatizzato e a sua volta escluso.

Ferber affronta anche la questione dell’emancipazione femminile, contrapponendo a Leslie le mogli dei maggiorenti, che sono state cresciute con l’idea di non essere all’altezza di discutere da pari a pari con padri e mariti di argomenti politici, di economia o di scienza. È un’altra forma di segregazione culturale di cui le texane neppure si rendono conto. In tutto il romanzo non c’è occasione pubblica in cui uomini e donne si mescolino; mentre i primi dibattono sul futuro della loro terra, le mogli si chiudono in un cerchio di chiacchiere superficiali e vanesie: è veramente questa l’America, la terra delle libertà individuali? Perché Leslie non può parlamentare con gli altri allevatori esponendo le proprie convinzioni se non a rischio di sembrare inopportuna? E per quale motivo l’unico personaggio femminile che si confronta quotidianamente con il lavoro del ranch – Luz, sorella di Bick – per farlo deve adottare un atteggiamento marcatamente mascolino e prepotente? Forse la femminilità è un ostacolo? Su cosa si misura la competenza nella gestione della tenuta?

Tutti questi molteplici temi rappresentano i cardini di una narrazione che Ferber vuole condurre in una ben precisa direzione: suo intento è raccontare la società texana alla vigilia di un cambiamento epocale.

La contrapposizione tra Jett Rink e Bick Benedict è ben più di una diatriba fra un parvenu e l’allevatore più conosciuto dello Stato. Quelle che si fronteggiano sono due idee diverse di ricchezza: il potere dei petrolieri si oppone e finisce con il surclassare quello dei latifondisti, e per questa via l’autrice fa intravedere il futuro prossimo dell’America, che a breve si voterà un nuovo modello di capitalismo in cui la finanza spadroneggia e il denaro assume più importanza del fattore umano.

Sovente nel romanzo viene usato il termine “gigante”, con diversi significati. In prima battuta si vuole alludere alla forza fisica e all’etica del lavoro di Bick e di chi condivide i suoi sforzi per osteggiare l’avvento dei nuovi ricchi, quelli che si disinteressano della terra coltivata e dei pascoli e puntano solo a trivellare alla ricerca dell’oro nero. “Gigante” è anche Jett Rink che, a modo suo, partendo da niente costruisce un impero, innalza hotel e centri commerciali per poi scoprirsi comunque solo in vetta, pur dopo il completamento della scalata al milieu economico e politico. Infine, “gigante” è pure il Texas, lo Stato americano più vasto dopo l’Alaska, selvaggio, indomabile come il suo clima torrido e come la sua vegetazione, quei mesquite spinosi, infestanti e pervasivi descritti fin dalle prime pagine, che si riappropriano silenziosamente della terra se l’uomo non è costante nello sradicarli.

La prosa è suggestiva, con ampie rappresentazioni dell’ambiente geografico e un’attenzione quasi antropologica agli usi e costumi del Texas e alle tradizioni dei nativi. Alcune immagini sono di inaspettato lirismo e in due occasioni – la cavalcata a rotta di collo di Luz nella prateria abbigliata da amazzone e soprattutto la scena del picnic con barbecue, che impressiona Leslie neosposa – il racconto si fa cupo, sensuale con accenni a riti che hanno un che di orgiastico e ancestrale.

L’attualità delle tematiche affrontate compensa ampiamente la tendenza a idealizzare esageratamente la protagonista, in cui risiedono tutte le virtù che secondo Ferber avrebbe dovuto rivestire la donna americana emancipata. Occorre tener presente che l’opera è stata pubblicata nel 1952 e pertanto risente in via indiretta di aspetti contingenti e tematiche che illo tempore potevano rivestire curiosità o importanza, si colgono diversi richiami alla psicoanalisi, alla letteratura coeva od ottocentesca, a fatti di cronaca che sollevarono dibattiti.

Edna Ferber (1885-1968) nasce in Michigan con ascendenze ebraico ungheresi, ma cresce nel Wisconsin, in un contesto famigliare tutt’altro che agiato. Diventa giornalista giovanissima e pubblica numerosi romanzi e commedie teatrali di enorme successo, che la lanciano nel firmamento degli autori di Broadway. Nel 1925 il suo romanzo So big. Una storia americana ottiene il Premio Pulitzer e viene successivamente adattato per il cinema così come accadrà con Il gigante. È nota per il suo carattere forte, le opinioni decise, moderne e anticonvenzionali, il sostegno a Franklin Delano Roosvelt, la critica al nazismo, l’attacco frontale al razzismo e alla segregazione. Anima la vita culturale americana della prima metà del Novecento grazie alla sua partecipazione al Circolo dell’Algonquin, un gruppo di letterati, critici, drammaturghi e attori che si riunisce in occasione di cene letterarie presso l’Algonquin Hotel di New York, e che diviene ben presto fucina di artisti di successo.

Il libro in una citazione
«Reata sembrava un gigante fantastico e mastodontico che, disteso al sole, si facesse lambire i piedi dalle distanti acque del Golfo del Messico, mentre le nuvole gli sfioravano la fronte appoggiata alla cima delle montagne, e le braccia spalancate puntavano verso oriente e occidente.»

16 maggio 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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