In un romanzo polifonico di straordinaria complessità e delicatezza, Cesare Sinatti ci spinge a chiederci se siamo semplice riflesso di ciò che lasciamo negli altri e ci invita a meditare sul senso del narrare
di Chiara Boccardo

Eco
Autore: Cesare Sinatti
Editore: Italo Svevo
Anno edizione: 2025
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 385
Consigliato a chi vuole indagare tematiche complesse come l’identità, il trauma e le relazioni. Ideale per lettori che apprezzano una narrazione corale fatta di voci diverse che si riflettono a vicenda.
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La Splendente di Cesare Sinatti. Feltrinelli 2018. Romanzo d’esordio in cui Sinatti riscrive in chiave moderna e narrativa della guerra di Troia, reinterpretando il mito omerico con una profondità umana meno eroica e più intimistica.
C’è una ragazza che sogna. C’è un sogno che non si lascia decifrare. C’è una narrazione che si frantuma in molte voci, come un’eco che risuona in una caverna di storie. Con Eco, Cesare Sinatti costruisce un romanzo di straordinaria complessità e delicatezza, che si allontana radicalmente dalle convenzioni della narrativa lineare. Si tratta di un testo polifonico, sfuggente, quasi impalpabile, eppure radicato nei drammi concreti e universali della condizione umana: il desiderio, la perdita, la ricerca di senso. Non è un libro “sulla” protagonista – Resi – ma un libro che si costruisce attorno a lei, come se la sua identità si potesse cogliere solo nell’eco che lascia negli altri.
Sinatti, già autore della Splendente, conferma il suo talento per la forma e per l’evocazione. Ma se il precedente romanzo affondava le radici nella mitologia, Eco si muove invece nel territorio delle relazioni quotidiane, della provincia italiana, delle famiglie scomposte e ricomposte, degli affetti sospesi, delle fughe e dei ritorni. È un libro che richiede attenzione e disponibilità, ma che restituisce moltissimo. Ogni voce che si affaccia nel romanzo aggiunge un tassello a un mosaico imperfetto, eppure affascinante: quello di un’identità che non si lascia catturare, ma solo avvertire.
La trama di Eco si può raccontare solo per frammenti, perché è proprio così che ci viene offerta: come un affresco spezzato. Resi è una giovane donna che sogna qualcosa di misterioso e angosciante, e che decide di raccontare quel sogno ad alcune delle persone che l’hanno conosciuta: amici, famigliari, amanti. Ma, invece di aiutarla a interpretarlo, ciascuno di loro finisce per raccontare una storia propria – una storia che, in qualche modo, rimbalza sul sogno e lo trasforma.
Da questo punto di partenza si diramano i molti fili della narrazione. C’è la provincia marchigiana, dove Resi è cresciuta, e dove il tempo sembra scorrere come in un acquario. C’è Toronto, fredda e anonima, dove Resi vive nel presente del racconto, apparentemente distante da tutto, ma ancora connessa a ogni cosa. Ci sono le voci – sorelle, amici d’infanzia, vecchi amori, conoscenti sfiorati – che parlano di lei, ma anche di sé, come se nel cercare di raccontarla rivelassero ciò che non riescono a dire di se stessi.
Eco è un romanzo che non si lascia catturare da una sintesi univoca, perché ogni suo frammento parla un linguaggio diverso, ma profondamente interconnesso. Memoria, identità, relazioni e sogno non sono semplici temi accostati: sono i fili intrecciati di un unico tessuto narrativo, che avvolge il lettore in una riflessione intensa sul modo in cui costruiamo — e decostruiamo — il senso di noi stessi e degli altri.
Al centro di tutto c’è la memoria. Una memoria che non è mai oggettiva, ma che si stratifica, si deforma, si sovrappone come le immagini di un sogno. Ed è proprio da un sogno che parte tutto: quello di Resi, enigmatico e sfuggente, che non offre una spiegazione, ma agisce come detonatore. L’interpretazione che ne fanno i personaggi cui viene raccontato passa inevitabilmente per la lente del loro vissuto e innesca ricordi che non coincidono mai, che si contraddicono, che si rincorrono. La memoria, in Eco, è insieme forma di conoscenza e distorsione, unico strumento per accedere a Resi — o per perderla definitivamente.
Da questa molteplicità mnemonica si origina il tema dell’identità. Chi è Resi? Nessuno può dirlo con certezza. La sua figura è un’eco — non una presenza piena, ma una risonanza. Non parla mai direttamente, non si impone, ma risuona nelle parole e negli sguardi altrui. Ogni voce che cerca di definirla finisce per descrivere se stessa. È un volto riflesso in mille specchi, un’immagine che cambia a seconda dell’angolo da cui la si guarda. La sua identità si dissolve nel tentativo di afferrarla: è proprio questa sua elusività che ne costituisce la forza.
Sinatti sembra suggerire che l’identità non sia altro che il riflesso che lasciamo negli altri, il risultato di un coro dissonante che cerca di narrarci. In questo senso, Eco è anche una meditazione sul narrare stesso: raccontare qualcuno significa inevitabilmente modificarlo, tradirlo, riscriverlo. La voce di chi parla è sempre anche quella di chi manca, di chi è stato, di chi avrebbe potuto essere. E in questo spazio vuoto tra parola e assenza, si annidano le relazioni.
Le relazioni, infatti, non sono mai lineari. Sono fatte di vuoti, di mancanze, di domande rimaste senza risposta. Ogni personaggio che prende la parola porta con sé una ferita, spesso legata a Resi: l’ha amata, ignorata, rincorsa o dimenticata. Ma nessuno ne esce indenne. Le relazioni sono asimmetriche, sbilanciate, imperfette — ed è proprio in questa imperfezione che si genera il bisogno di raccontare. Perché è ciò che manca, ciò che non è stato detto, a costringerci a cercare un senso.
Anche lo spazio ha un valore simbolico: Toronto, città distante e gelida, è più che un semplice sfondo. È un luogo sospeso, un limbo tra passato e presente, tra ciò che si è stati e ciò che non si riesce più a essere. Riflette lo smarrimento dei personaggi, la loro ricerca incessante di un appiglio, di una direzione. E in questo spazio interiore e geografico insieme, si inserisce il sogno — non come chiave di lettura, ma come dispositivo narrativo.
Così Eco diventa una riflessione profonda e struggente sull’impossibilità di conoscere davvero chi ci è accanto, e sull’urgenza, comunque, di provarci. Memoria, identità, relazioni e sogno non sono compartimenti stagni, ma dimensioni sovrapposte di un’unica esperienza umana. E nella voce di ciascun personaggio risuona questa tensione: il bisogno di afferrare qualcosa che sfugge sempre, come un’eco nella mente o un sogno che svanisce al risveglio.
Uno degli elementi più affascinanti di Eco è la sua architettura. Non c’è un narratore onnisciente né un punto di vista dominante. Il romanzo ha per fondamenta una pluralità di voci, che si susseguono e si alternano, ognuna con un proprio timbro, un proprio lessico, una propria visione del mondo.
L’autore riesce in un’impresa tutt’altro che semplice: far parlare personaggi diversi in modo credibile, senza scivolare nel bozzetto o nella caricatura. Ogni capitolo è, in un certo senso, un piccolo monologo interiore. Ma ciò che colpisce è come questi monologhi non siano mai meri sfoghi: sono costruiti con precisione, ritmo, intelligenza. Hanno una densità psicologica che non cede mai al melodramma. Il lettore, di conseguenza, non si trova mai in un territorio stabile: deve ogni volta riposizionarsi, imparare di nuovo a leggere, a fidarsi (o a diffidare) della voce che parla. È un’esperienza immersiva, a tratti destabilizzante, che però restituisce con grande fedeltà la natura frammentaria della memoria e del desiderio.
Lo stile di Sinatti è duplice: da un lato lirico, evocativo, pieno di immagini potenti; dall’altro controllato, quasi chirurgico. Il risultato è una scrittura che riesce a essere poetica senza essere ampollosa, precisa senza diventare piatta. I momenti più intensi del romanzo nascono proprio da questo equilibrio: una frase sospesa nel vuoto, una descrizione che coglie l’essenziale, una pausa che lascia spazio all’indicibile. Anche il silenzio, in Eco, ha un peso. Non tutto viene spiegato, né tutto ha bisogno di esserlo.
Eco non è un romanzo per tutti, ed è giusto così. Non offre certezze né soluzioni. Ma spalanca spazi interiori, come solo la grande letteratura sa fare. È un libro che ti attraversa piano, come una musica lontana, e poi torna a farsi sentire nei momenti più inaspettati.
Resi, la ragazza che sogna, rimane un enigma. Ma forse è proprio questa la sua forza: costringerci a rivedere i nostri modi di capire, di ricordare, di amare. Eco ci mostra che ogni vita è un racconto parziale, che ogni relazione è una traduzione imperfetta, che ogni identità è un’eco.
Non ci sono morali, ma intuizioni. Non ci sono trame da seguire, ma voci da ascoltare. E se ci si lascia andare, il risultato è un’esperienza di lettura profonda, intima, trasformativa.
Il libro in una citazione
«Forse sogniamo anche per cercare di articolare meglio certi pensieri. Se riuscissimo a dire quello che vogliamo dire esattamente nel modo in cui vogliamo dirlo, magari non sogneremmo più.»
9 maggio 2025
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