Condannato alla censura per decenni, il manifesto culturale di Henry Miller è ancora oggi una lettura ideale per chi non teme la complessità stilistica e vuole immergersi negli anni Venti attraverso lo sguardo di uno scrittore che ha saputo precorrere temi e linguaggi della beat generation
di Elisa Vuaran

Tropico del cancro
Autore: Henry Miller
Editore: Feltrinelli
Traduttore: Luciano Bianciardi
Anno edizione: 2013
Anno prima edizione: 1934 (Francia)
Genere: Classici, Memoir
Pagine: 288
Consigliato a chi apprezza il realismo americano di Ernest Hemingway.
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Flâneuse. Donne che camminano per la città a Parigi, New York, Tokyo, Venezia e Londra di Lauren Elkin. Traduzione di Katia Bagnoli. Einaudi 2022
… per immergersi a piedi nella capitale francese come faceva Henry Miller.
L’amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence. Curatela di Silvia Rota Sperti. Feltrinelli 2013
… per i temi scandalosi, calati negli anni a cavallo del Novecento.
La roboante Parigi degli anni Venti, vista attraverso gli occhi di un espatriato americano; le difficoltà quotidiane di uno scalcinato scrittore e i difficili rapporti con il suo dissonante gruppo di amici: Tropico del Cancro è un diario personale, ispirato al soggiorno parigino un po’ improvvisato dall’autore tra il 1928 e il 1929.
Manifesto culturale di Henry Miller particolarmente apprezzato da Ernest Hemingway, la complessità del libro non risiede nella sua trama quanto nella stratificazione delle forme letterarie che si susseguono nel raccontarla. Il flusso di coscienza autobiografico – dal sapore marcatamente surrealista, ma ben più ordinato e digeribile di quello dei contemporanei Virginia Woolf e James Joyce – fa da cornice a pensieri in libertà al limite del saggio filosofico e devia in numerose scenette più circostanziate, ricordando un po’ per struttura Le mille e una notte.
Principale attrice su questo palcoscenico è Parigi, vista con gli occhi dell’arte dallo scrittore perdigiorno e flâneur. Di ogni vicolo e piazza della capitale francese salta fuori un aneddoto, una caratteristica; su ogni stanzetta aleggia ancora lo spettro degli artisti che l’hanno abitata: dalla camera in affitto che fu di Guy de Maupassant ai ricordi di Charles Baudelaire e di Henri Matisse; ogni caffè e locale malfamato fioriscono in un racconto. È su questo sfondo che Miller rivendica marcatamente la corporeità della vita, con esiti che condannarono per decenni il volume alla censura negli Stati Uniti e in parte anche in Italia. La sopravvivenza a ogni giornata diventa una questione di soldi, e più volte il protagonista si ritrova a contare le monete e ad arrovellarsi sui debiti e sui propri lavori e lavoretti; ogni ora è scandita dall’ossessione per il cibo, dalle strategie per scroccare il prossimo pasto; ogni serata diventa pretesto per fare baldoria in preda ai fumi dell’alcol; ogni settimana si ripropone il fantasma della moglie rimasta in America, in contrasto con le innumerevoli donne raccattate in modo più o meno onesto; ogni prurito e ogni malattia assumono rilevanza.
Chi si avvicina a questo libro attratto dalla sua nomea scandalosa, abituato alle produzioni erotiche odierne, potrebbe rimanerne deluso: Miller non si tira indietro nel dare voce a ogni pensiero osceno e nel descrivere la vivacità dei bordelli, ma lo fa sempre in modo grezzo, in linea con il flusso di coscienza, senza intenti pornografici.
Colpiscono invece il gusto per l’esotico, che permeava gli ambienti culturali dell’epoca (nelle descrizioni del lavoro presso il venditore di perle indù e nell’immaginare le fughe verso il Borneo), e le minuziose descrizioni di stanze e arredi, caffè e menu, personaggi e luoghi con uno stile articolato e ricercato nei suoi aggettivi, con gusto spiccatamente sinestetico che richiede attenzione senza mai eccedere in ampollosità.
Il libro piacerà senz’altro a chi non vuole perdersi un caposaldo della letteratura che ha precorso i temi e i linguaggi della beat generation, ma anche a chi ama passeggiare in città alla ricerca di storie nascoste, a chi vuole godersi una prosa evocativa di immagini inusuali e a chi vuole immergersi nel fermento artistico e culturale degli anni Venti.
Il libro in una citazione
«E lo sa Dio, quando viene la primavera a Parigi il più umile dei mortali viventi deve aver la sensazione di abitare in paradiso. […] A uno non occorre esser ricco, anzi nemmeno cittadino, per sentirsi in questo modo a Parigi. Parigi è piena di povera gente: il più nobile e il più sporco branco di mendicanti che abbia mai calpestato la terra, pare a me. Eppure danno l’illusione di essere a casa loro. È questo che distingue la parigina da tutte le altre anime metropolitane.»
12 marzo 2024
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