Partendo da una tragedia realmente accaduta in Spagna nel 1980, Fernando Aramburu racconta in modo magistrale la storia di una famiglia che deve affrontare la più tremenda delle perdite e fare i conti con la fragilità umana
di Enzo Palladini

Il bambino
Autore: Fernando Aramburu
Editore: Guanda
Traduttore: Bruno Arpaia
Anno edizione: 2024
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 267
Consigliato a chi vuole davvero capire l’essenza del dolore provocato da una grave perdita.
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Patria di Fernando Aramburu. Traduzione di Bruno Arpaia. Guanda 2017. L’autore racconta lo stesso dolore interiore, ma in questo caso è causato della perdita di un amico coinvolto in un attentato.
Il figlio del fisarmonicista di Bernardo Artxaga. Traduzione di Paola Tomasinelli. 21lettere 2021. Siamo nei Paesi Baschi, terra natale di Aramburu, anche qui c’è del dolore, ma il vero tema è il forte legame del popolo locale con le proprie radici.
Nuco, che è Il bambino del titolo, morì il 23 ottobre del 1980, un giovedì. Aveva sei anni e rimase vittima di un’esplosione che distrusse la scuola Marcelino Ugalde di Ortuella, piccola città dei Paesi Baschi. Insieme a lui persero la vita altri quarantanove bambini, tutti più o meno suoi coetanei. Il motivo dell’esplosione venne attribuito a un improvvido intervento di Francisco, l’idraulico del Comune, che accese una fiamma ossidrica nel sotterraneo senza rendersi conto che era in atto una fuga di gas propano, praticamente inodore e quindi non percepibile. L’idraulico, detto per inciso, fu uno dei pochi superstiti della tragedia.
La vicenda si svolge in un’epoca molto vicina alla nostra ed è direttamente conseguente alla morte prematura di Nuco, che è l’antefatto da cui si parte per raccontarne le conseguenze.
La narrazione si muove su tre piani distinti, su tre punti di vista differenti. Il primo è quello di Fernando Aramburu, che ci racconta tutto ciò che è avvenuto dalla tragedia di Ortuella in poi. Si sofferma in particolare sulla figura di Nicasio, il nonno materno di Nuco. Rimasto vedovo poco prima della nascita del nipote, Nicasio non accetterà mai di ammettere che Nuco è morto. Tra il consapevole e l’inconscio, continua a parlargli come se fosse vivo. Ogni giovedì va al cimitero, si ferma davanti alla tomba e resta lì per ore a raccontare. Non solo: nella sua casa ha riprodotto fedelmente la stanza del nipotino.
Il secondo punto di vista è quello di Mariaje, figlia di Nicasio e mamma di Nuco. Una donna così devastata dal dolore che non riesce quasi più nemmeno a soffrire, anche perché non molto tempo dopo aver perso il figlio perde anche il marito José Miguel, che affoga nel Mar Cantabrico durante un’uscita in barca con gli amici di sempre. Mariaje racconta tutto all’autore in un’intervista che è avvenuta veramente, ma che nel libro viene sapientemente romanzata.
Il terzo punto è quello del… testo. Aramburu ci avvisa con una nota iniziale: “I lettori di questo libro troveranno una decina di passaggi in cui il romanzo, se non ho capito male, pretende di commentare se stesso”. Li riconosciamo subito perché sono stampati in corsivo e sono altamente indicativi per capire meglio certi particolari, per intuire alcune parti della stesura finale che a un certo punto l’autore voleva stralciare, salvo poi rendersi conto della loro utilità.
È molto forte la tentazione di scomodare per questo romanzo la definizione di capolavoro. Al di là dell’originale formula narrativa, sono i contenuti a lasciare un segno indelebile nel lettore. Aramburu, che solamente a cinquant’anni ha abbandonato la professione di docente per dedicarsi alla scrittura, è un autore pluripremiato che sa raccontare l’animo umano con una perizia inimitabile. Non è un caso se Il bambino è stato trasposto in film dal regista Mariano Barroso. Tra i critici spagnoli è stato addirittura scomodato il paragone con Miguel de Cervantes e il suo Don Chisciotte. Nonno Nicasio è una specie di eroe romantico che non si arrende mai e combatte contro il mondo, anche contro la figlia e il genero che provano insistentemente a convincerlo della triste verità: Nuco è morto.
Sublime è la maniera in cui l’autore riesce a sviscerare temi così profondi: il dolore estremo e inconsolabile per la perdita di un figlio, gli effetti devastanti che un lutto del genere può procurare all’interno di una famiglia, il diverso ordine di grandezza della sofferenza nell’animo delle varie persone. La tragedia di Ortuella è un fatto di cronaca realmente accaduto. Gli eventi narrati nel romanzo sono in buona parte reali, ma è stato necessario cambiare i nomi dei protagonisti, aggiungere e togliere qualcosa dove c’era il rischio di rivelarne la vera identità.
Il ritmo della narrazione è serratissimo, i capitoli non superano quasi mai le due-tre pagine e si trasformano in un invito a continuare immediatamente la lettura, che avvolge il lettore con la sua forza empatica, che penetra nelle vene, soprattutto in certi passaggi che iniettano brividi. Uno stile da fuoriclasse: non a caso, in poco più di quindici anni di attività, Aramburu è diventato uno degli scrittori più apprezzati del panorama spagnolo, ma che ha già raccolto consensi unanimi nel resto del mondo.
Il libro in una citazione
«La tragedia aveva colpito così tante famiglie che sembrava maleducato lamentarsi in presenza di altre persone, come se uno volesse mettersi al di sopra degli altri o darsi più importanza.»
9 marzo 2025
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