Romanzo sociale e di formazione, l’ultima opera di Giuseppe Catozzella si pone come manifesto della generazione di origini meridionali nata a Milano tra gli anni Sessanta e Settanta e chiamata alla resa dei conti coi propri sogni
di Enzo Palladini

Il fiore delle illusioni
Autore: Giuseppe Catozzella
Editore: Feltrinelli
Anno edizione: 2024
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 227
Consigliato a tutta la generazione degli anni Sessanta e Settanta che ha vissuto l’integrazione Nord-Sud in Italia.
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Non dirmi che hai paura di Giuseppe Catozzella. Feltrinelli 2014. Insignito con il Premio Strega Giovani, è la storia di Samia, una ragazza somala che vuole partecipare alle Olimpiadi, ma si scontra contro gravi problemi di integrazione anche quando arriva in Italia.
Parenti lontani di Gaetano Cappelli. Marsilio 2008. Uno scrittore che arriva, come Catozzella, dalla Basilicata e racconta anche in questo caso l’emigrazione, non verso Milano ma molto più lontano, verso gli Stati Uniti.
Francesco è nato a Milano negli anni Settanta e vive da sempre alla periferia nord della città. Le sue origini sono però lucane. Il padre Salvatore è arrivato nella metropoli nel 1968 da Monte Aspro, provincia di Matera. Senza un soldo e senza un punto di riferimento, ha venduto rose per la strada e ha dormito sulle panchine della stazione. Poi ha trovato lavoro come venditore di automobili, è riuscito a risparmiare abbastanza per tornare al paese e sposare Catena. Passo successivo: portarla immediatamente a Milano, dove è nato il figlio. Salvatore è uno che “ce l’ha fatta”, perché con il sacrificio è riuscito ad aprire una sua concessionaria di autovetture.
La speranza di cui si parla nel titolo, Il fiore delle illusioni, è quella di cambiare vita, di sganciarsi dalla necessità di un lavoro duro per potersi esprimere. L’ispirazione arriva da un altro autore, Paul Claudel. La frase integrale è “Il fiore dell’illusione produce il frutto della realtà”, tratta dal libro Diario 1904-1955.
Francesco vorrebbe diventare scrittore e scopre che anche il padre aveva questa aspirazione, ma l’ha abbandonata in nome della necessità, dei doveri nei confronti della famiglia. Con lo scorrere della narrazione, scopriamo una doppia personalità in Francesco. Quando si trova a Milano è uno dei tanti ragazzi di origine meridionale che devono sottostare alla discriminazione da parte dei coetanei autoctoni, si prende del “terrone”, arriva addirittura a subire violenze fisiche quando corteggia una ragazza australiana che frequenta la sua scuola. Però, poi, durante ogni estate la famiglia si trasferisce a Monte Aspro e lì comincia un’altra vita, con la nonna Luisa, una specie di guaritrice (“rimediante”) del paese, e soprattutto con il cugino Luciano che, a differenza dello zio Salvatore, papà di Francesco, ha giurato che mai e poi mai lascerà la Basilicata, la terra da coltivare, il bestiame da allevare. Luciano per Francesco è da un lato un esempio da seguire, dall’altro un destino da evitare ed è proprio su questa contraddizione che si gioca gran parte della narrazione, che avrà una conclusione tragica per uno dei due e felice per l’altro.
Il romanzo è palesemente autobiografico, anche se l’autore cambia volutamente i nomi delle persone. Può anche essere considerato il manifesto di una generazione, quella nata a Milano tra gli anni Sessanta e Settanta, ma di origini meridionali. La metropoli lombarda all’epoca non era esattamente un esempio di integrazione: molte famiglie che arrivavano dal Sud per cercare lavoro erano obbligate ad arrangiarsi in qualche modo, accontentandosi di alloggi di fortuna in quartieri che si stavano ancora formando. Trovare un lavoro dignitoso non era facile, anche per la diffidenza reciproca che si veniva a creare tra i “milanesi” veri e propri e tutti quelli che si erano riversati nella città alla ricerca di un futuro migliore.
I temi trattati da Catozzella sono però molteplici, non c’è solo l’integrazione. Si parla di amore, che Francesco scopre alle scuole superiori. Si parla di superstizioni, perché nei primi capitoli il cugino Luciano viene considerato un portatore di malocchio, addirittura accusato indirettamente della morte di un cacciatore al quale aveva augurato ogni sventura. Si parla anche molto dei valori etici e famigliari che il protagonista apprende da papà Salvatore e in parte anche del nonno Francesco, altro protagonista della vicenda legato a doppio filo a Monte Aspro e alle tradizioni lucane. Il linguaggio adottato è contemporaneo, ma rifugge la tentazione di concessioni al gergo giovanile, è una narrazione matura, coinvolgente e anche introspettiva. Va ad analizzare i sentimenti senza perdere di vista la realtà storica, all’interno della quale vengono vissuti. Francesco è testimone oculare di una sparatoria in cui perdono la vita due innocenti e non riuscirà mai a scrollarsi di dosso il ricordo di quella tragedia, ma è anche uno dei punti di partenza per costruire il sogno di una vita migliore.
Il libro in una citazione
«Non era quella la felicità, mi dicevo: dimenticarsi? E non erano i libri, che scoprivo ogni giorno di più, un altro modo per dimenticarsi? E non lo erano, in fondo, anche le cose che provavo a scrivere? Aspiravo a sparire, a scordarmi il mio nome e il mio cognome, volevo solo fondermi con un’azione.»
16 gennaio 2025
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