Benché l’edizione originale sia prossima a tagliare il traguardo dei venticinque anni, il noto memoir del maestro dell’horror continua a essere una lettura di riferimento per chi desidera mettersi alla prova con la scrittura
di Raffaele Nuzzo
On Writing. Autobiografia di un mestiere
Autore: Stephen King
Traduttore: Giovanni Arduino
Editore: Sperling & Kupfer
Anno edizione: 2017
Anno prima edizione: 2000 (Usa)
Genere: Memoir
Pagine: 283
Consigliato a chi scrive o vorrebbe diventare uno scrittore e desidera studiare la scrittura creativa; a chi ama le storie di successo, le biografie di scrittori famosi, le storie di riscatto economico, i romanzi di Stephen King.
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Carrie di Stephen King. Bompiani, 2017. Traduzione di Brunella Gasperini
… perché On Writing ne spiega l’ispirazione
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Misery non deve morire (film thriller, Usa 1991) di Rob Reiner
… perché è tratto dal romanzo Misery di Stephen King e ha uno scrittore come protagonista
Quanto progresso ha portato, all’umanità, l’uso della scrittura? Quanto può valere mettere un accordo nero su bianco in un mondo in cui la stretta di mano ha ormai perso valore? “Verba volant, scripta manent” dicevano i latini, perché qualsiasi cosa scritta rimane scolpita, anche in eterno. E che dire della storia, della medicina, dell’ingegneria e di tutto lo scibile umano? Nulla di ciò si sarebbe potuto tramandare ai posteri se non fosse stato trascritto da qualche parte.
La scrittura, però, è soprattutto creazione e lo sa bene Stephen King, un autore che non ha bisogno di presentazioni se non quella di On Writing, il libro in cui lui stesso racconta il suo difficile e bellissimo mestiere.
King deve quasi tutto alla scrittura: la sua esistenza è da sempre legata a doppio filo al vissuto reale e a quello su carta, tanto che a volte questi si sono addirittura intersecati. Fortunatamente, come anche sfortunatamente. L’autore non considera On Writing un manuale di scrittura poiché, a suo giudizio, nessuno scrittore è veramente consapevole di come e perché scrive. Quindi questo libro nasce solo per rispondere alla domanda sul linguaggio usato che normalmente pubblico e critica riservano agli autori “aristocratici” e non a quelli di narrativa “popolare” come lui.
King racconta la sua infanzia segnata dall’assenza del padre e dalla baby-sitter brusca e burlona, dalle dolorosissime operazioni dall’otorino per sanare un timpano perennemente infiammato che, col suo taglio sarcastico e ironico, riesce a rendere quasi divertenti. Approfittando della lunga degenza in ospedale dovuta a queste patologie, che gli costeranno un anno scolastico, l’autore muove i suoi primi passi verso il mestiere di scrittore. Sulle prime, King adotta una sorta di “manierismo” letterario, limitandosi semplicemente a ricopiare racconti brevi. In seguito, ad appena sei anni, su suggerimento di sua madre decide di stendere il suo primo manoscritto, che gli vale non solo gli apprezzamenti materni ma anche una mancia. Questo è solo uno dei numerosi aneddoti riportati nella prima parte di On Writing, incentrata sulla storia personale dello scrittore.
Il più interessante riguarda l’origine del primo scritto davvero degno di nota. L’ispirazione arriva quando la mamma lamenta di non riuscire a fare in tempo a rimediare i bollini necessari, nell’ambito di una raccolta punti, per poter ritirare il premio. King coglie la palla al balzo e racconta di un tizio che s’ingegna per stampare i milioni di coupon che occorrono per avere in omaggio una nuova casa. King riporta questo fatto per suffragare la sua tesi riguardo la casualità dell’ispirazione necessaria per scrivere, processo che lui considera spontaneo. A suo modo di vedere, la produzione si basa dunque sul “carpe diem” e la spasmodica ricerca dell’ispirazione è inutile.
La storia di King non si discosta poi molto da quella classica dei grandi autori che incassano rifiuti e fallimenti e che poi finalmente raggiungono la fama. A lui, in particolare, il successo è arriso con La notte della tigre, suo racconto acquistato da una rivista letteraria quando era ancora un adolescente. Contemporaneamente, King progetta con suo fratello un quindicinale, di cui replicano facilmente le copie grazie a una stampante a tamburo, e lo diffondono insieme a Il pozzo e il pendolo, altro racconto horror che distribuiscono a scuola. In termini odierni definiremmo “self publishing” l’idea autofinanziata di King, che dà alla casa editrice il nome inventato di V.I.B. (Very Important Book) e vende anche bene. In barba a qualunque regola sul copyright e infischiandosene del giudizio della sua insegnante, che ritiene il suo talento sprecato per quel genere di storie.
Vuole poi esagerare e da “direttore editoriale” del giornalino scolastico, ne cambia nome e connotati, trasformandolo da composto bollettino di notizie a satirico magazine di frecciatine sul corpo docente. Il successo tra gli studenti è ovviamente clamoroso, decisamente minore quello tra i bersagli degli articoli. Con il Village Vomit (così si chiama il giornalino) King si inimica il preside che, per punirlo, lo manda a collaborare per un giornale. Un’esperienza sul campo mascherata da punizione che gli tornerà molto utile.
Peripezie varie, la laurea, un lavoro presso una lavanderia industriale aspettando il grande salto, che arriva con Carrie, il romanzo della svolta, curiosamente partorito da osservazioni riguardo la struttura degli spogliatoi femminili e il ciclo mestruale.
La prima parte di On Writing si conclude con le personali riflessioni sugli errori commessi in tema di alcol e droga, su stravizi e debolezze, che vengono fatte senza cercare giustificazioni.
La seconda parte è quella del manuale pratico, in cui King si prodiga di consigli sul lavoro dello scrittore, sugli “attrezzi” da disporre nella sua speciale “cassetta”. Come il vocabolario da cui attingere i “pezzi”, le parole giuste da pescare in modo spontaneo e mai calcolato, perché “la prima che arriva è quella giusta”. Nessun volo pindarico, nessuna necessità di complicarsi la vita: King predica la sobrietà nella costruzione del pensiero e condanna qualunque ridondanza. Spiega le sue teorie esemplificando, accompagnando il lettore verso la scelta del brano meno “cacofonico”, convincendolo a sposare la sua “politica grammaticale” contraria a “erbacce” tipo avverbi e forme passive. Ed evidenzia l’importanza del paragrafo come irrinunciabile strumento che ritma e dirige la narrazione.
Per King impratichire la scrittura vuol dire leggere tanto, anche testi di cattiva qualità – che lui considera i migliori manuali di narratologia – e acquisire la consapevolezza che il talento può essere sì innato, ma altrettanto accessibile a tutti coloro che s’impegnano duramente. Al bando, quindi, i corsi di scrittura creativa, i seminari e anche la critica, spesso approssimativa nelle valutazioni.
Il consiglio più prezioso di King è mettere gioia nell’attività di scrittore e non guardare mai l’orologio. Chiudersi nel proprio angolo, fuori dal mondo, in un “sonno creativo” lontano da distrazioni è decisivo per una produzione letteraria prolifica, che si ottiene più facilmente quando si gode di buona salute e di una relazione sentimentale stabile. Insomma, dritte preziosissime date da un autore che sforna duemila parole al giorno e che, nonostante la caratura e l’esperienza, ha sperimentato il “blocco dello scrittore”, per l’esattezza nella stesura dell’Ombra dello scorpione, considerata tra le sue opere maggiori.
Per King l’ossatura dei libri è formata da descrizione, narrazione e dialoghi. Quanto alla trama, il celebre romanziere ribadisce l’esigenza di non pianificarla, di estrarla lentamente come se fosse un “fossile” poiché progettare una storia equivale a distruggerla. Stesso discorso dicasi per il “pensiero tematico”, il messaggio nascosto che un libro intende trasmettere e che dovrà nascere durante – e non prima – della storia. “Parlate di ciò che conoscete”, dice King e, anche in questo caso, precisa che non bisogna fare alcuna tesi di laurea e che la “ricerca” dovrà sempre seguire la storia. In altre parole, i libri “si scrivono da soli”.
King spende qualche riga anche sull’importanza dei dialoghi diretti, che non tutti gli scrittori di successo ben padroneggiano e che però ben caratterizzano i personaggi del racconto. Nel costruirli, King predica di essere schietti, di non ricorrere a eufemismi, di non aderire a nessuna compostezza e diligenza. Del resto, uno con il registro come il suo non potrebbe affermare il contrario.
L’autore consiglia a ogni scrittore che abbia terminato il suo manoscritto di trovarsi un “lettore ideale”, dopo averlo lasciato riposare per circa un mese. Dal confronto scaturirà una seconda stesura, che sarà alleggerita del dieci percento rispetto a quella iniziale.
King conclude il suo saggio sulla scrittura menzionando la fase di produzione in senso stretto del libro, quella gestita dall’editore. Secondo la sua personale visione, è opportuno che un autore si doti di un agente letterario che lo indirizzi verso una precisa categoria di mercato e che rimanga sempre informato attraverso riviste specializzate sul tipo di prodotto ricercato dalle singole case editrici. E paragona questa figura professionale a quella del procuratore nel calcio, che avvia l’atleta facendolo crescere e salire di serie. Invita poi a prestare massima cura nella presentazione rivolta sia agli agenti sia alle case editrici.
Il racconto di On Writing si conclude allo stesso modo in cui era iniziato, con alcune note autobiografiche riguardo la tragica disavventura dell’incidente del 1999, in cui King fu investito da un uomo, che a sua detta sembrava uno dei personaggi dei suoi romanzi, e a cui sopravvisse miracolosamente.
Merita un cenno la prefazione, curata da Loredana Lipperini, perché esaustiva e riassuntiva di tutta l’opera di King, del suo essere “prestigiatore” di parole, del suo saper creare magia al fine di meravigliare e non ingannare il lettore. Non per niente, per lo scrittore americano, telepatia e scrittura sono sinonimi, entrambe produttrici di immagini mentali che uniscono persone di mondi ed epoche diversi.
Leggendo On Writing si ha la sensazione che ogni idea di King provenga dall’orrido, che dal “letame nascano i fiori”, come dimostrato dalla cronaca della sua prima sbronza che ricorre a metafore così azzeccate che quasi fanno venire i conati al lettore. “La tazza è piena di una poltiglia giallo brillante… sembra mais in scatola”, tanto per citarne una delle più sensorialmente rilevanti. Però la maestria di King sa anche far piangere, soprattutto nel caso del racconto del drammatico momento della morte della madre. Insomma, lo scrittore manifesta un sapiente eclettismo nel saper suscitare emozioni contrastanti e nel narrare le sue passioni. Scrivendo di cinema, risalta inoltre una sua spiccata competenza riguardo le grafiche, le tecniche video, i filtri in uso negli horror anni Sessanta.
Quello di On Writing è un testo piacevolmente graffiante, di stampo umoristico e ironico, e riesce a rendere divertenti anche episodi davvero drammatici. A tratti fa persino sbellicare. King adotta un linguaggio colorito pur non scadendo nel volgare, frenando sul pedale del contenimento morale appena prima di degenerare; è slangy, universalmente adatto, easy, spassoso.
On Writing non può definirsi né un vero manuale di scrittura né un’autobiografia. Si colloca a metà strada e trasmette valori che valgono sia in campo letterario sia nella vita ed è un libro speciale, anche perché è stato concepito nel momento più buio della vita dello scrittore. Merita un plauso soprattutto per gli sforzi compiuti nella sua stesura da King che, reduce dall’incidente, riusciva a malapena a rimanere seduto sulla sedia per un’ora. La fatica è stata doppia, perché non si misurava col suo genere prediletto. Eppure ce l’ha fatta, anzi. Scrivere On Writing ha agito da analgesico.
E per far contento il Maestro e dimostrare di aver ben compreso i suoi insegnamenti, in questa recensione limitiamo avverbi e forme passive. Chi ha apprezzato On Writing non scriva: “Questo libro è stato letto entusiasticamente da me”. In tal caso King opterebbe sicuramente per una bocciatura.
La scrittura è tutto per King, l’uomo che “non ha scritto nemmeno una parola per soldi”, ma lo ha fatto per incantare e regalare un’esperienza magica al lettore. Un altro modo per far del bene.
Il libro in una citazione
«Se dovrò sostare in purgatorio prima di salire o scendere, non avrò problemi finché ci sarà una biblioteca…»
18 dicembre 2024
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