L’autore di Holy City, poliziesco a sfondo sociale recentemente pubblicato da Carbonio, ci racconta la Virginia meridionale, terra di contraddizioni e seconde possibilità, la stesura del suo esordio narrativo che vi ha ambientato e ci dà preziosi consigli di lettura
Intervista di Sabrina Colombo – Traduzione di Sonia Vaccaro
Un poliziesco a sfondo sociale, in cui emerge uno squarcio di America rurale contemporanea. Potremmo definire brevemente così Holy City, l’esordio dello statunitense Henry Wise recentemente pubblicato da Carbonio Editore nella traduzione di Olimpia Ellero. Wise, nato nel 1982 ad Alexandria e laureatosi al Virginia Military Institute, racconta un contesto antropologico complesso, che vede contrapporsi la comunità nera alle autorità locali, in cui serpeggia il razzismo, la violenza e in cui la piaga delle dipendenze è ormai dilagante. I personaggi – numerosi ricchi di sfumature, per nulla idealizzati – si interrogano (e ci interrogano come lettori) sul dualismo tra diritto e giustizia, vendetta privata ed esercizio pubblico del potere giurisdizionale. Temi universali che fanno di Holy City un ottimo esempio di come la narrativa possa focalizzare l’attenzione su questioni di stretta attualità senza rinunciare a una buona dose di approfondimento psicologico e a un suggestivo tocco dark tipico del Southern Gothic, che ci riporta alle atmosfere di William Faulkner e Flannery O’Connor.
Holy City
Autore: Henry Wise
Traduttrice: Olimpia Ellero
Editore: Carbonio
Anno edizione: 2024
Genere: Gialli & noir
Pagine: 345
Consigliato a chi ama i poliziesci e i romanzi a sfondo sociale; a chi vuole conoscere uno spaccato di vita della provincia rurale americana.
Henry Wise, quale ruolo hanno la geografia della Contea di Euphoria e quella di Richmond, la Holy City, nello sviluppo del suo romanzo?
«La geografia del Southside Virginia e quella di Richmond sono molto importanti nel libro. Sebbene la Contea di Euphoria sia fittizia, il Southside è una precisa regione della Virginia, caratterizzata dalla secolare tradizione della coltivazione del tabacco. A causa della prevalenza delle piantagioni di tabacco, in questa regione la popolazione di schiavi era particolarmente numerosa. Adesso è molto difficile coltivare tabacco perché i costi sono proibitivi, soprattutto per i piccoli agricoltori. Di conseguenza, l’economia del Southside è in affanno da decenni. Ciò ha rimosso la patina percepibile in molti altri luoghi della Virginia e mostra una zona dello Stato a parte e dimenticata nonché il Paese dove neri e bianchi subiscono espropri, vivendo in un luogo che si è forse lasciato alle spalle i tempi migliori e in cui sembrano perdurare i postumi della guerra civile.»
In che misura le origini del protagonista – Will Seems – il suo background culturale e sociale, il suo essere un uomo bianco e privilegiato a contatto con una comunità a maggioranza nera influenzano la sua decisione di lavorare per l’ufficio dello sceriffo della Contea con lo scopo molto preciso di rimediare ai propri errori e alle carenze del sistema giudiziario?
«Will Seems è indotto ad agire da motivazioni incredibilmente profonde e torbide, e una di queste è la razza. Un tema emerso mentre scrivevo Holy City è che la razza influenza chiunque, anche in modi di cui non si ha consapevolezza. Will è tornato nella casa della sua infanzia, il posto che sente “casa sua”, per affrontare le due grandi tragedie del suo passato: la morte di sua madre e qualcosa che è successo a un suo amico nero. Si sente responsabile per entrambi gli eventi. Per questo motivo e per la natura turbata della sua psiche, gli eventi si sovrappongono o si confondono, e la morte di sua madre assume un tratto razziale, che mi affascina.»
Will porta dentro di sé molte contraddizioni. Da un lato si propone, in qualità di vicesceriffo, di “servire e proteggere” la collettività, dall’altro pensa che la giustizia sia qualcosa di innaturale e che possa essere ottenuta solo al di fuori di un tribunale. Come si conciliano nel medesimo personaggio queste due visioni diametralmente opposte?
«Will è un personaggio assolutamente contraddittorio. Sembra condividere uno scetticismo con altri residenti del Southside, lo scetticismo verso l’efficacia della legge ufficiale. In parte ciò consiste nel fatto che, in un luogo tanto dimenticato e remoto, le persone avvertono che nessuno si cura di loro. Ci sono affinità tra le remote comunità del Sud e le remote comunità dell’Ovest, nel senso che c’è l’idea, probabilmente radicata nella storia di frontiera dell’America, per cui bisogna provvedere a se stessi. Non ci si può aspettare che se ne occupi il governo. Ma la vera ragione di questa giustapposizione nel personaggio di Will è che il suo obiettivo di servire e proteggere è subordinato al senso di colpa personale e alla profonda convinzione di dover obbligare la giustizia a essere presente perché, quando lui si è fatto da parte, le persone hanno subito dei torti. In un certo senso, ha imparato la dolorosa lezione per cui l’inerzia può essere tanto dannosa quanto il tentativo di danneggiare qualcuno, e ora sta cercando di rimediare.»
Will indaga sulla morte di Tom Janders, un ragazzo di colore. Tutti sanno che l’uomo che è stato fermato con l’accusa dell’omicidio di Tom, Zeke Hathom, è innocente. La moglie di Zeke e la madre di Tom, sostenute dalla comunità nera, decidono di ingaggiare Bennico Watts, un’investigatrice privata nota per la sua predisposizione ad aggirare le regole procedurali, motivo per cui è stata cacciata dalla polizia. Per quale ragione fra i neri serpeggia la sfiducia nella capacità delle autorità locali di garantire la giustizia?
«Beh, questo è lo scetticismo nei confronti della legge che anche Will condivide. Non sono sicuro che tale sfiducia sia relegata solo alla popolazione nera. Tuttavia, la comunità nera ha anche altri motivi per essere diffidente e persino timorosa delle autorità locali. Dopotutto, le autorità locali discendono da coloro che un tempo detenevano il possesso dei discendenti della comunità nera. A ogni modo, in senso più letterale, lo sceriffo ha dimostrato di non essere interessato a scavare a fondo nel caso, quindi non si tratta nemmeno di una paura storica: il fatto è che le indagini non sembrano fare progressi. La comunità nera, come Will, sente di dover prendere provvedimenti da sé per ottenere una sorta di giustizia.»
Per Ferriday, la giovane compagna della vittima, anche l’odio è una forma d’amore perché prima devi amare per odiare in un secondo momento. Concorda nel fatto che Ferriday sia il personaggio più ambiguo del romanzo?
«Sì, forse Ferriday è associabile solo a Will in quanto a complessità. Entrambi portano con sé fardelli e tipi diversi di trauma e dolore. Ma, mentre Will sembra essere costantemente motivato da forze interiori più oscure, Ferriday è meno prevedibile e molto più dinamica. Sembra non sapere nemmeno cosa farà da un minuto all’altro. Will ha una bussola precisa. Potrebbe essere fuorviante o fallata, ma ha un orientamento costante. È tornato a casa per affrontare il suo passato. Non sono sicuro che Ferriday sappia veramente chi è, tantomeno cosa la guida. Sembra che si stia scavando una via di fuga dalla zona, dalla sua situazione… Mentre Will ha un orientamento – forse anche il privilegio di aver trascorso anni lontano, che sembrano avergli concesso una prospettiva di vita – Ferriday è bloccata, senza alcuna prospettiva. Per me resta il personaggio più sorprendente.»
In più punti il romanzo è attraversato da riferimenti religiosi. Qual è il rapporto tra i personaggi e la spiritualità?
«La spiritualità tende a essere importante per le persone che sperimentano dolore e difficoltà. La religione è molto radicata nel Sud rurale, laddove la tradizione si perpetua più intensamente e le economie sono spesso in sofferenza. Questo libro ha a che fare con il dolore, personale e regionale. Però la religione e la spiritualità caricano di aspettative. Quando a Will viene detto che Dio veglia su di lui, che è stato scelto per lavorare al caso con Bennico, sente un peso ulteriore sulle spalle. La religione può procurare salvezza e pace, ma può anche rendere manifesti senso di colpa e vergogna. Inoltre, il tema della religione o della spiritualità complica il senso di giustizia, perché quest’ultima può essere vista in modo diverso attraverso gli occhi di Dio, attraverso gli occhi degli individui e attraverso gli occhi del sistema legale. Queste diverse istituzioni confliggono in tutto il libro.»
Il Southside della Virginia è definito come “un paesaggio senza grazia”, in cui dilaga ogni tipo d’illegalità, e anche di Richmond – “la città più felice d’America” – emerge un’immagine piuttosto negativa: gli abitanti subiscono l’invasione di “gente di fuori”, proveniente dagli Stati del Nord, con una mentalità più dinamica ed efficientista, che si contrappone all’indolenza della popolazione autoctona, abituata al vittimismo, in perenne ricerca di un sussidio come facile via d’uscita dalla povertà. La Richmond reale è una città più proiettata nel futuro o più legata alle tradizioni del passato?
«Nonostante la mia scelta di fare di Richmond l’ambientazione secondaria di Holy City, e di descriverla come un centro progressista che si oppone alla regione dimenticata e retrograda del Southside, conosco tante persone che affermerebbero che Richmond è un posto molto poco progressista. Molti dei suoi residenti ne apprezzano la storia di capitale della Virginia. Fu anche la capitale della Confederazione durante la Guerra civile (1861-1865) e, non molto tempo fa, si potevano vedere monumenti di quel periodo lungo la storica Monument Avenue, per fare un esempio. Credo ci fossero legami molto più forti con il passato quando vi trascorsi la mia infanzia, ora la città è diventata molto più giovane. La Virginia Commonwealth University ha trasformato tante zone che un tempo erano pericolose in brulicanti aree di gentrificazione. Richmond è un luogo di forze in conflitto. Avrà sempre una storia precisa, ma sembra stia crescendo e attirando persone da ogni dove.»
Tra i personaggi del romanzo si percepisce un senso strisciante di delusione: la certezza che chi è povero rimarrà povero e solo chi ha privilegi avrà successo e impunità. Una frase scritta sulla quarta di copertina mi è rimasta impressa: “Ognuno si meritava una seconda chance, alcuni più di una. Il sogno americano si fondava sulle seconde possibilità, pur sapendo che in tanti non avevano avuto neppure la prima”. Ha ancora senso parlare di “sogno americano” nel 2024? Gli Stati Uniti sono ancora il Paese delle opportunità?
«A mio parere, sì. Il sogno americano è ancora molto vivo e vegeto, come dimostra il numero crescente di persone che arrivano nel Paese, legalmente e illegalmente. Direi addirittura che il sogno americano è più ovvio negli immigrati, che ci ricordano quanto siano preziose le libertà fondamentali. Si può obiettare che questa sia solo una percezione e non la realtà, ma io credo ancora che ci siano ben pochi posti al mondo in cui le persone si sentono libere di ricominciare come in America. Questo non significa che sia perfetta. Gli ideali non lo sono mai. I sogni sono solo sogni. E questo non significa che tutti inizino allo stesso modo. Ma le persone credono ancora nella libertà e nell’opportunità di avere successo (qualunque cosa significhi per loro).»
Un altro tema di fondo del romanzo è quello dell’impatto dei traumi sullo sviluppo della personalità. Quanto è profondo il malessere esistenziale, quello che porta al disagio mentale, nella ricerca di surrogati alla felicità come l’alcol o la droga, nelle comunità più fragili della Virginia meridionale?
«È difficile rispondere a questa domanda, perché è difficile parlare per intere comunità. Ma ovunque ci sia un’economia in sofferenza (spesso nelle aree rurali), droga e alcol sono tentazioni cui la gente non riesce fisicamente a sfuggire. Quindi, direi che può essere incredibilmente profondo. Per molti versi, le droghe hanno rimpiazzato l’alcol. Il fentanyl e l’eroina sono narcotici devastanti e sono diventati problemi seri in tutta l’America.»
Apprendiamo dalla sua biografia che è appassionato di fotografia, come Will, e anche di poesia. Quali punti di contatto ci sono tra le due forme di espressione, scrittura e fotografia? Secondo lei, la scrittura di un romanzo poliziesco è più vicina alla fotografia o alla poesia?
«Ottima domanda. Amo davvero la fotografia e la poesia. Non ho mai studiato fotografia, ma scattare fotografie è un po’ come il lavoro del detective. Stai catturando qualcosa, creando la prova di qualcosa, osservando da una particolare angolazione. Non stai modificando ciò che è lì, ma lo stai guardando, lo stai cogliendo in un dato momento. Anche la poesia ha la capacità di offrire un’immagine da un particolare momento e luogo, ma il poeta ha maggiore controllo nel plasmare quell’immagine o momento. Entrambe sono state importanti per me nello scrivere questo romanzo. Volevo descrivere il Southside così com’è, e tuttavia volevo che il mio linguaggio fosse una specie di lente che desse forma a quel mondo.»
Da lettore, quali sono i suoi autori e quali i suoi generi preferiti?
«Ho molti autori preferiti. Ho sempre amato le belle storie di spionaggio, specialmente quelle dei primi anni del XX secolo, tipo I trentanove scalini di John Buchan e L’enigma delle sabbie di Erskine Childers. William Faulkner è probabilmente il mio autore preferito per la sua capacità di esplorazione ed espressione dell’identità del Sud dopo la Guerra civile americana e per la sua prolifica varietà di stili. Ha sperimentato la narrativa poliziesca, la narrativa gotica, il modernismo e non solo. Anche Dashiell Hammett e Raymond Chandler sono tra i miei preferiti. Amo Raccolto rosso di Hammett, in particolare. Joseph Conrad per la profondità d’introspezione psicologica, Gary Snyder per l’osservazione della natura nella poesia, Willa Cather (nata in Virginia) per la rappresentazione dell’America rurale, la struttura e lo stile di scrittura meravigliosi, oscuri e sorprendenti. Potrei certamente continuare. Oh, e Charles Portis, che ha scritto Il Grinta. Che capolavoro.»
Ci racconti un suo rituale di lettura. Musica di sottofondo davanti a un caminetto? Una tazza di tè fumante sulla sua poltrona preferita? O cos’altro?
«Ho due bambini molto piccoli e quando leggo ho la sensazione di rubare del tempo, quindi non ho più un vero e proprio rituale. Quando posso, accendo il fuoco nel caminetto del mio soggiorno. Di solito, sorseggio un caffè o un po’ di bourbon e, ogni tanto, se leggo fuori, fumo la pipa o un sigaro. A dire il vero, mi piace leggere fuori al tramonto, perché posso guardare il sole che scende sugli alberi, appropriarmi del mondo circostante mentre interiorizzo ciò che sto leggendo.»
Cosa sta leggendo al momento? Ci consiglia tre titoli tra i suoi preferiti in assoluto?
«Al momento sto leggendo per la prima volta Oltre il confine di Cormac McCarthy. Qualcuno ha riscontrato una rispondenza tra Holy City e il finale di Oltre il confine e volevo capire cosa intendesse. Finora, lo adoro. Vi consiglio quattro tra i miei libri preferiti in assoluto (ne ho molti di più!): Santuario di William Faulkner, La mia Antonia di Willa Cather, Il Grinta di Charles Portis e Vento di passioni di Jim Harrison.»
Nomini un personaggio letterario cui si sente di assomigliare e ci spieghi perché.
«Credo di sentirmi molto simile a Isaac “Ike” McCaslin nel racconto di Faulkner, L’orso, perché impara attraverso l’atto della caccia come gestire la sua complessa identità di sudista con antenati che possedevano schiavi. Ike viene istruito da un nativo americano nero, e questo lo predispone a prendere una decisione, incomprensibile agli occhi altrui, che gli costa il matrimonio: decide di rinunciare all’eredità in modo da non prendere parte al suo retaggio di peccato. Sebbene io non abbia una grande eredità cui rinunciare, sono un sudista che naviga nel mondo di oggi, pieno di orgoglio e anche di vergogna, e profondamente influenzato dall’amore di parecchie persone nere. Sono anche cresciuto cacciatore e ho imparato molto nei boschi. In un certo senso, Holy City è il mio tentativo di fare ciò che fa Ike.»
Si descriva come lettore usando tre aggettivi.
«Lento, profondo, riflessivo.»
Si descriva come scrittore usando tre aggettivi.
«Intenso, vigoroso, audace.»
2 dicembre 2024
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