In un besteller mondiale Lea Ypi racconta il proprio passaggio dalla giovinezza all’età adulta durante la caduta del comunismo in Albania, interrogandosi e interrogandoci sul vero valore della liberazione da un regime totalitario
di Raffaele Nuzzo
Libera. Diventare grandi alla fine della storia
Autrice: Lea Ypi
Traduttrice: Elena Cantoni
Editore: Feltrinelli
Anno edizione: 2023
Anno prima edizione: 2021 (Regno Unito)
Genere: Memoir
Pagine: 301
Consigliato a chi ama i memoir, le saghe famigliari, la storia, la sociologia, la politologia, la geopolitica, la storia del Novecento europeo, l’Albania, la storia politica, le storie di riscatto socio-economico e a chi desidera conoscere l’assetto economico e sociale di un territorio.
Se ti interessa, guarda anche L’ultima volontà (film drammatico, Albania 2014) di Namik Ajaze, perché è ambientato nell’Albania del regime socialista e narra la storia di un funzionario albanese che da spia diventa spiato.
E se il Grande Fratello trasmesso in televisione si svolgesse in un territorio esteso trentamila chilometri quadrati invece che in una casa grande 1.700 metri quadrati? È successo, per quarant’anni, in un posto non molto lontano da noi. Era un “reality” senza nessuno “show”, dove “nomination” ed “eliminazioni” non erano innocue regole di un programma che intratteneva i telespettatori nel dopocena. Svariati milioni furono i protagonisti che “parteciparono” a una quarantina di “edizioni” di quello che non fu per niente un gioco, ma la realtà sociale e politica di un Paese. Si tratta dell’Albania, attuale repubblica dei Balcani, i cui confini furono cintati da un’immaginaria quanto altissima muraglia. Una nazione dove oggi convivono pacificamente credenti cattolici, musulmani e ortodossi, e dove – a Tirana, per l’esattezza – è possibile apprezzare un ambizioso e ben riuscito “work in progress”, quello del “Paese delle Aquile”, che decolla da un recente passato burrascoso, proprio come un’aquila appena fuggita dalla gabbia che plana libera in cielo.
In Libera. Diventare grandi alla fine della storia – libro che ha venduto diecimila copie, è stato tradotto in diciassette lingue e ha ricevuto il Premio Ondaatje, riconoscimento destinato alle opere che evocano lo “spirito di un luogo” –Lea Ypi parte con questa domanda: che cos’è la libertà? Se lo chiede mentre corre ad abbracciare la statua di Stalin in un parco pubblico, nell’Albania degli anni Ottanta, dove fare una scelta o esprimere un’idea può costare caro. Sì, perché vive in una società dal pensiero perfettamente conforme ai dettami governativi, smaniosa di accumulare credito sociale a costo di una cieca ubbidienza.
Il primo capitolo del saggio autobiografico descrive il vissuto dell’autrice, potentemente condizionato dal socialismo all’ombra dell’allora presidente Enver Hoxha, capo assoluto e radicatissimo nelle istituzioni, come la scuola che lei frequenta. Un popolo albanese completamente assoggettato e isolato dal resto del mondo per essere “salvato” dalle derive revisioniste dei compagni dell’Est (Russia e Cina) e dalle maniere corrotte e imperialiste dell’Ovest. Il racconto inizia dai primi “moti” rivoluzionari degli anni Novanta, quando il regime, perso il suo leader Hoxha, inizia a scricchiolare. Proteste che comunque sono disapprovate in casa di Ypi, come nel resto del Paese.
Eppure nel dicembre 1990, nel bel mezzo dei tumulti che agitano l’Albania, l’autrice accende il suo pensiero critico e inizia a rivolgere domande “spinose” ai suoi genitori, come quella sul motivo per cui la semplice omonimia con un ministro collaborazionista dei fascisti le creava imbarazzi durante le lezioni di storia e le commemorazioni degli eroi della resistenza. Non è difatti un caso se più tardi Lea scopre le antipatie verso il regime e la refrattarietà della sua famiglia all’omologazione forzata di massa. Uno smacco indigeribile per chi, come lei, è stata allevata a retorica e propaganda.
L’omologazione forzata di massa si declina anche nelle dinamiche nazionali e personali di quel periodo annoverando, per esempio, l’importanza della “biografia” di un cittadino come “patrimonio informativo famigliare”, estremamente vincolante nella formazione dell’individuo. Uno strumento utilizzato per indirizzare il cittadino verso un percorso piuttosto che un altro, a scapito delle personali ambizioni e inclinazioni. Una “ragion di Stato” che prevale, un meccanismo perverso di controllo escogitato per scongiurare la nascita interna di “quinte colonne”, ovvero potenziali elementi sovversivi. Senza contare provvedimenti come la tessera annonaria, i prodotti contingentati e della stessa marca e infine l’innocua lattina di Coca-Cola della copertina che traduce tutto il senso di Libera. Diventare grandi alla fine della storia.
La nota bevanda assurgeva infatti a simbolo dell’imperialismo americano, feticcio di esempi da esecrare, ed era largamente collezionata dalla popolazione insieme ad altri vuoti di marchi stranieri e carte di caramelle che, a dirla ironicamente, non si accettavano dagli sconosciuti per via di un costante auto embargo.
Leggendo queste pagine di storia nazionale intrecciata a vicende personali si apprende di uno smisurato controllo sociale, di uno Stato pervasivo, così camaleontico ed elastico nel modellarsi per meglio controllare i suoi sudditi e avere sempre l’ultima parola su ogni questione. Nonostante tutto lo sfrenato “ermetismo” in cui gli albanesi sono costretti a vivere, attraverso le emittenti televisive straniere hanno modo di osservare il mondo fuori dalla loro finestra, quello italiano in primis, che è il più vicino e possono dunque cogliere le abissali differenze. Però per Ypi gli “strani” rimangono sempre gli altri: sin da bambina s’interroga su quale sia il miglior sistema tra comunismo e capitalismo, ma non destruttura mai la visione cui appartiene, quella autarchica e incorruttibile del suo Paese.
Dopo diversi flashback, Lea torna a dove era partita, agli stravolgimenti che interessano l’Europa orientale nel 1990: il muro di Berlino abbattuto dai tedeschi dell’Est, il presidente rumeno Nicolae Ceaușescu fucilato, il dissolvimento dell’Urss e il conseguente scioglimento del Patto di Varsavia. Tutto il blocco europeo comunista ha voglia di voltare pagina, a parte l’Albania che, imperterrita, decide di restare stritolata nella sua cortina di ferro.
A un tratto, però, finisce il monopartitismo e, nel transito da socialismo a comunismo, una fioca luce appare in fondo al tunnel: è il primo partito d’opposizione. Grazie a ciò, vi è un risveglio collettivo della coscienza che sbugiarda la grande menzogna sulla libertà che il Partito ha dato da bere al popolo per decenni. È solo un piccolo assaggio, ma è anche la ghiotta occasione per la famiglia di rivelare alla figlia i significati di certi “crittogrammi” utilizzati durante conversazioni delicate per questioni di “sicurezza”.
Perché tutti questi segreti da parte dei genitori? E perché farla diventare ciò che segretamente disprezzano? Queste domande concludono la prima parte del saggio autobiografico di Ypi. È l’1 maggio 1990, l’ultima festa in grande stile del Partito prima che, in soli sei mesi, a dicembre, in Albania tutto si ribalti e diventi anacronistico.
La seconda parte si apre con un’Albania segnata da una grave crisi interna, che vede una contrapposizione tra il nuovo che avanza e i controrivoluzionari che rivogliono il comunismo. Consapevolezze inedite conducono a capovolgimenti per cui chi ha comandato per anni attraverso il terrore viene spodestato e additato come usurpatore.
Altre elezioni si svolgono in un clima surriscaldato, in un periodo in cui l’Albania è in transito da un’economia pianificata a piani quinquennali e chiusa a un’economia di stampo liberista, basata sulla privatizzazione della pubblica amministrazione e sull’apertura a scambi e commerci con l’estero. Con gli americani che traghettano il Paese fuori dal comunismo lottando contro la strenua ritrosia della vecchia mentalità al grande cambiamento in atto.
Lea fa il primo viaggio all’estero con sua nonna, ad Atene, dove può toccare con mano le enormi diversità con l’Ovest e, quando rientra in Albania, ha un’altra amara sorpresa: Elona, la sua migliore amica, è scappata in Italia con un ragazzo a bordo della nave Partizan. È la stagione degli esodi di massa, quello della nave Vlora con ventimila albanesi a bordo, più di sei volte la capienza massima, che giunti a Bari verranno “accolti” da botte, campi profughi, espulsioni.
L’autrice affronta il delicato argomento scrivendone con tutta la ferocia letteraria necessaria a trasmettere quella disperata voglia dei suoi connazionali di approdare in una terra promessa. Trovano spazio anche altre riflessioni, quelle che vedono gli albanesi fuggire da un sistema criminale verso un Occidente, che li percepisce come una minaccia alla sua democrazia. La situazione si è capovolta: il filo spinato che prima recingeva i confini nazionali è piantato ora in quelli esteri, dove gli albanesi non sono più i benvenuti.
Nel 1991, un altro interrogativo tormenta la famiglia Ypi: è più difficile restare in o partire da un Paese in crisi, che vuole sbarazzarsi del suo popolo perché non è più in grado di garantirgli un lavoro e una vita dignitosa? I suoi genitori rappresentano in toto uno spaccato dell’Albania di quel periodo: sua madre è una progressista che propugna il diritto alla proprietà privata, e suo padre è un conservatore.
Affiorano poi le perplessità riguardo l’Occidente: sulla liberalizzazione delle armi negli Stati Uniti, sui sistemi in cui è l’individuo al primo posto mentre nell’altro lo è la collettività.
Il vocabolario degli albanesi si arricchisce di nuove parole: “transizione”, “società civile”, “privatizzazione”, “trasparenza”. Ma purtroppo anche di “Aids” o “anoressia”, piaghe fino ad allora completamente ignorate. I lati oscuri del capitalismo vengono a galla e, sul finire, Lea chiude il cerchio e torna esattamente dove aveva iniziato il suo saggio. Anche la libertà ha bisogno delle istruzioni per l’uso?
Il peggio però non è ancora arrivato: l’Albania, truffata da finanziarie con false promesse di lauti interessi e correntisti spogliati dei loro depositi, implode in una terribile guerra civile. Il Paese precipita nel caos e Lea riporta quanto appuntò nel suo diario del 1997, quando i ribelli occuparono le città e a nulla servirono le promesse di indire nuove elezioni o amnistia. L’Albania è una terra di nessuno, un “hunger game” a cielo aperto, una realtà terribilmente distopica.
Ypi si è laureata in filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Esperta di marxismo e di teoria critica, ha fatto ricerca e ha insegnato nelle maggiori università del mondo. Attualmente vive a Londra e insegna filosofia politica alla London School of Economics.
Il saggio si snoda a flashback, che diventano spunti di approfondimento e creano l’occasione per far riemergere ricordi d’infanzia trascritti attraverso il filtro delle emozioni. Il lessico utilizzato è sobrio, senza ricercatezze. Non ci sono opinioni personali e al lettore viene lasciata la libertà di costruirsi le proprie idee. Il testo è un concentrato di politologia, storia, sociologia, economia pertanto è consigliabile leggere adagio per interiorizzarne bene il messaggio.
Libera. Come diventare grandi alla fine della storia è il libro delle domande difficili, che Lea Ypi riesce a trascrivere con semplicità, avvincendo il lettore e guidandolo a interrogarsi a sua volta. Leggerlo equivale a visitare l’Albania di quegli anni e chiedersi, per esempio, se l’esperimento socialista fosse davvero ben riuscito perché accettato all’unanimità o perché fosse stato forzatamente indotto.
La scrittrice annebbia sapientemente la trama di misteri, carica le pagine di tensione narrativa che rinfocola costantemente donando involontariamente tinte giallistiche alla sua autobiografia. È abile a scioccare lentamente il lettore, rivelando al momento giusto verità scomode del suo Paese. Mostra inoltre la sottile capacità di creare adeguati parallelismi tra le vicende migratorie del suo Paese e quelle attuali e di districarsi in questioni fragili pur senza esporsi e sbilanciarsi in alcun modo.
Ogni capitolo affronta un tema sociale e i personaggi della storia vengono puntualmente rammentati, soprattutto sotto il profilo caratteriale, stratagemma brillantemente adottato per trasmettere ogni volta un messaggio ben preciso. Sul finale, con uno stile psichedelico e veloce riporta il diario del 1997, con una consequenzialità degli eventi rapidissima, come le raffiche dei mitra che la terrorizzavano giorno e notte.
Possiamo supporre che Ypi sia partita con intenti contenutistici diversi. Avrebbe probabilmente sfruttato le sue competenze per stilare un freddo saggio politico dell’epoca. Ci ha così donato un indagatorio libro ricco di domande, tra cui l’ennesima finale e intramontabile: era meglio quando si stava peggio? La risposta, ovviamente, è aperta.
Il libro in una citazione
«Avevano solo imparato a memoria gli slogan, ripetendoli a pappagallo, come tutti gli altri, proprio come facevo io recitando il giuramento di fedeltà ogni mattina a scuola. Ma con una differenza sostanziale. Io ci credevo davvero. Non conoscevo altro.»
21 novembre 2024
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