Il protagonista della raggelante distopia del danese Henrik Stangerup cerca di farsi incriminare per l’assassinio della moglie con lo scopo di riottenere il figlio
di Eva Garavaglia
L’uomo che voleva essere colpevole
Autore: Henrik Stangerup
Editore: Iperborea
Traduttrice: Anna Cambieri
Anno edizione: 2023
Anno prima edizione: 1973 (Danimarca)
Genere: Fantasy
Pagine: 162
Consigliato a chi ama i libri che suscitano riflessioni etiche profonde ed è curioso di scoprire quali possano essere gli estremismi del bene.
A Copenaghen, dopo le contestazioni degli anni Sessanta e Settanta, Torben uccide la moglie Edith in preda a un improvviso scatto d’ira. Il lettore potrebbe allora aspettarsi che l’uomo venga incarcerato e sottoposto a un processo, ma nella società danese il concetto di colpa, e di conseguenza di pena, è stato abolito perché non permette all’uomo di vivere in armonia con il prossimo. La società uscita dalle contestazioni sessantottine infatti è completamente votata a farlo, motivo per cui, per esempio, sono stati banditi tutti i libri e le favole che esaltano l’eroe e, quindi, l’individuo.
Torben viene quindi mandato in un istituto psichiatrico, dove lo convincono che non ha ucciso la moglie: sono state le circostanze che lo hanno costretto a farlo, pertanto non è colpevole. Ritornato a casa, scopre però che gli è stato tolto il certificato di procreazione, in quanto ritenuto instabile, e che quindi non può più crescere suo figlio.
Inizia allora la battaglia donchisciottiana di Torben per essere ritenuto colpevole, infatti la privazione del figlio può essere spiegata solo col fatto che è colpevole e, se questo è vero, una volta scontata la pena, potrà riaverlo. La battaglia, però, è ardua perché nessuno sa che ha ucciso la moglie, in quanto divulgare questo fatto non avrebbe permesso all’uomo di reinserirsi armoniosamente nella società.
L’uomo che voleva essere colpevole è un romanzo distopico che potrebbe ricordare 1984 di Orwell (che viene anche citato da Torben), ma che risulta ancora più angosciante perché la società è plasmata indirettamente attraverso la presenza di Assistenti in ogni supercondominio, leggi approvate da psicologi e una revisione del linguaggio. Lo stesso Torben lavora per l’ente incaricato di trasformare parole che hanno connotazione negativa in positiva e viceversa, a seconda del messaggio che il governo vuole veicolare.
“Nel giro di poche settimane le espressioni ‘donna di casa’ e ‘casalinga’ erano sparite dalla lingua. Non esistevano più che due tipi di donne in Danimarca: le donne passive e le donne attive, e l’obiettivo finale era quello di trasformare tutte le donne in donne attive. Questa semplificazione del linguaggio era appunto il compito principale dell’Inrl.”
Oltre a Torben, conosciamo, anche se in maniera meno approfondita, altri personaggi che vivono in questo mondo opprimente. Ci sono alcuni, come Edith, la giovane collega, lo psichiatra e il direttore del Reparto rilascio e ritiro delle tessere di mammaepapà, che sono contrari al sistema, ma che alla fine finiscono per cedervi in nome di interessi personali come il desiderio di avere una famiglia o di mantenere il proprio lavoro. Altri, invece, come il giornalista, riescono a costruirsi un modo di vivere perfettamente in linea con la società.
Il romanzo di Henrik Stangerup trasmette fin dal primo capitolo un senso di oppressione, non solo per la società, ma anche per gli ambienti che descrive. Un mondo pieno di supercondomini di cemento tutti uguali, di alberi abbattuti e di verde sovrastato dall’edilizia, ma coi bonsai nelle case.
In molti punti Stangerup induce a riflettere sulla deriva che anche la nostra società potrebbe prendere: infatti l’utilizzo dei media e l’ingentilimento di alcune parole sono una realtà nota anche a noi e stupisce che negli anni Settanta si sentisse questa tematica.
Di questo parere è anche Anthony Burgess, autore del noto romanzo Arancia Meccanica che, come si legge nella postfazione dell’edizione italiana riportante una recensione da lui stesso scritta, afferma: “Al contrario di quelle visioni di orrori futuri, che amo leggere nei libri perché so che è impossibile che il futuro le realizzi, l’invenzione di Stangerup riesce a raggelare come da anni nessun altro libro, proprio perché è già quasi una realtà”.
La Danimarca di Stangerup vanifica il libero arbitrio e quindi la libertà di scegliere il male, con tutte le sue conseguenze. A questa società l’autore danese contrappone un suo connazionale, il filosofo Søren Kierkegaard, che viene citato nell’epigrafe del libro. La colpevolezza infatti presuppone l’esistenza di un individuo a cui può essere imputata ed è questo il cuore del libro.
Un altro tema presente è quello romantico dell’individuo che si oppone alla massa, che viene isolato per tal motivo, ma che sente questo come un segno di elezione. Tuttavia, ciò a cui il lettore assiste è la progressiva disfatta di Torben, che si allontana sempre di più dalla società, come un novello Don Chisciotte.
Nonostante le tematiche etiche e filosofiche, lo stile è rapido e asciutto e contribuisce a trasmettere il senso di oppressione che pervade anche il protagonista del romanzo.
Henrik Stangerup (1937–1998) è stato uno scrittore e regista danese che ha ricevuto il raro Premio Amalienborg, riconoscimento personale attributo dalla Regina di Danimarca. Studioso di teologia, ha approfondito il pensiero del filosofo Søren Kierkegaard, che ha ispirato la trilogia di romanzi composta da Lagoa Santa, Il seduttore e Fratello Jacob.
Il libro in una citazione
«Lo psichiatra spiegò che il suo complesso di colpa era un residuo di un passato che poneva l’individuo al centro di tutto e che nutriva una fede incrollabile nell’inviolabilità della “personalità” del singolo.»
15 novembre 2024
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