In un romanzo di stampo cronachistico, il giornalista sportivo Luigi Garlando racconta la storia della famiglia Panini e di come costruì l’impero delle figurine
di Raffaele Nuzzo
![La copertina del libro "L'album dei sogni" di Luigi Garlando (Mondadori)](https://www.letsbook.org/wp-content/uploads/2024/10/Garlando-sogni-311.jpg)
Autore: Luigi Garlando
Editore: Mondadori
Anno edizione: 2021
Genere: Romanzo storico
Pagine: 521
Consigliato a chi ama le saghe famigliari, lo sport, le storie di grandi marchi e grandi aziende italiane, le storie di successo, la storia del Novecento italiano, le biografie, le storie di riscatto socio-economico e a chi desidera conoscere l’assetto economico e sociale di un territorio.
Se ti interessa, guarda anche I leoni di Sicilia (serie tv, 2023) di Paolo Genovese
e leggi anche l’omonimo best seller di Stefania Auci da cui è tratta, perché analogamente narra la storia di successo di una famiglia.
Oggi le chiamano “carte” o “card”, quelle dei Pokémon o di qualche gioco da tavolo. Spesso sono virtuali, le si può acquistare con i “coin” o qualsivoglia moneta elettronica. Un altro mondo rispetto a quelle con l’adesivo sotto, che le generazioni nate tra gli anni Sessanta e Ottanta avranno “sbucciato” almeno una volta e ricorderanno con un pizzico di nostalgia. Quelle con un vezzeggiativo per nome, che questa famiglia, il cui cognome fa venire un certo languorino allo stomaco, ha stampato per decenni.
Per anni, Carlo Parola ha prestato la sua memorabile rovesciata in versione cartoon alle bustine delle figurine Panini, al cui interno non c’erano solo fotografie di calciatori professionisti a mezzo busto. C’era anche una delle più straordinarie storie di “made in Italy” che Luigi Garlando racconta nell’Album dei sogni, titolo che più azzeccato non poteva essere: un sogno di successo che si realizzò grazie agli album delle figurine.
L’incipit è adrenalinico. Il romanzo segue a ritroso la linea genetica partendo dal ceppo, Antonio Panini, ultimo di tredici figli, sul Carso precettato militare per la Grande Guerra. Il suo corpo è riverso per terra e i suoi commilitoni lo credono colpito dal fuoco nemico. Ma scoprono presto che è vivo: è stato “solo” morso da una vipera. Per uccidere Antonio, il capostipite dei Panini, ci vuole ben altro del nemico austriaco. Antonio incarna perfettamente lo spirito battagliero dei figli che metterà al mondo. È un interventista, si è arruolato volontario per combattere e vincere una guerra in cui crede fortemente. Un ventenne col fuoco dentro, si direbbe, che prenderà il brevetto da pilota d’aviazione. Antonio è uno che vuol volare in alto, come un giorno faranno gli otto figli che avrà da Olga, la “Casareina”, che ha sedotto durante una licenza dal fronte, ballandoci insieme alla festa di fine spannocchiatura con le scarpe prestate da un amico. Si sposeranno e andranno ad abitare a casa del padre di Antonio, dove tra loro e altri parenti, a vivere saranno cinquanta in tutto.
Siamo all’alba della Seconda Guerra Mondiale, Antonio lavora presso l’Accademia militare di Modena come factotum e Garlando racconta la vita che scorre tra le mura domestiche e tra bisticci e burle, quelli di una chiassosa famiglia numerosa. Fin quando il capofamiglia, a soli quarantaquattro anni, lascia moglie e figli nel pieno del conflitto e in difficili condizioni economiche.
Cosicché tutti devono contribuire per sbarcare il lunario e non morire di fame. Per esempio c’è Giuseppe, il primogenito, che lavora in fabbrica; poi c’è chi lavora dall’edicolante, c’è chi fa l’apprendista dal fabbro e chi entra nelle fila dei partigiani perché, intanto, il Governo Mussolini è caduto.
Insomma, tempi duri per la famiglia Panini, che però sale sul famoso treno che passa una volta sola. A Veronica, una delle sorelle, l’avvocato per cui lavora propone di rilevare la sua edicola in Corso Duomo a Modena. Ricordando la raccomandazione di Antonio di “usare la testa per non avere padroni”, Olga e figli accettano la proposta.
La seconda parte del romanzo inizia nel primissimo Dopoguerra, con Olga che deve rilanciare e gestire da sola la scarna edicola appena rilevata. La arricchisce di ogni sorta di prodotto letterario, ché adesso in Italia non c’è più la censura del regime, mentre i figli proseguono per le loro strade: Giuseppe ripara biciclette in un paese vicino, mentre Umberto si trasferisce a Maddaloni, dove la sorella ha sposato uno dei Fulgeri, rinomati mortadellai.
Che Giuseppe Panini fosse un predestinato lo si intuisce quando, ammalatosi di tubercolosi alle ossa, si ritira a Cortina per curarsi e accetta di sottoporsi al trapianto di midollo. Operazione che, nonostante le minime chance di successo, va a buon fine: Giuseppe è infatti l’unico di tre pazienti sul quale l’intervento è perfettamente riuscito. Nel frattempo, suo fratello Umberto rientra a Modena per fare il collaudatore alla Maserati. Dura poco, presto viene licenziato e “userà la testa” aprendo in proprio un’officina meccanica.
Ed ecco il secondo treno che passa una volta sola: La Gazzetta dello Sport interrompe i rapporti con il distributore di Modena e i Panini sono lesti a infilarsi nella frattura, evolvendo in agenzia di distribuzione. Ora occorre un nuovo locale per l’edicola, le cui fasi di costruzione vengono sciorinate dall’autore semplicemente ricopiando le lettere che periodicamente Olga invia al figlio Franco, di stanza a Napoli per il servizio militare, per informarlo dei progressi.
Umberto, detto “Biatta”, emigra in “Merica”, dove diventa il meccanico più ricercato di Maracaibo, mentre Giuseppe e Benito hanno l’imbeccata da Luisa Grossi, la “Nannina”, casa editrice di figurine milanese. Ma puntano sul cavallo sbagliato e comprano una partita di figurine di fiori che rimane invenduta e costringe Giuseppe a contrarre debiti con la banca dove, intanto, è stato assunto Franco.
Subito dopo il buio, però, arriva la luce. Così Giuseppe acquista, sempre dalla “Nannina”, uno stock di figurine di calciatori a prezzo stracciato. Ne mette tre per bustina con un palloncino in omaggio al prezzo di dieci lire l’una ed è la svolta. I Panini, compreso Umberto che rientra dal Sudamerica, lasciano i loro impieghi per una joint venture di famiglia, che promette un futuro raggiante.
La prima operazione che fanno è quella di individuare le smagliature nella tela dei loro commerci per poi andare a ricucirle. Identificano quindi gli anelli deboli nella filiera agenzie-distributori-edicole, i critical point del Paese dove si vende meno, quasi sempre a causa della lentezza delle agenzie nel rifornire i distributori che i Panini vanno a incontrare personalmente per stringerci accordi. Una capillarità che porterà all’azienda il monopolio assoluto sul commercio di un prodotto mai visto prima.
Rattoppata la rete italiana e incrementata la produzione attraverso l’installazione di nuovi macchinari, le “fifimatic” progettate da Umberto, ora l’azienda può guardare all’estero. I Panini sono proprio come una squadra di calcio che, vinto lo scudetto, adesso vuole vincere il Mondiale (quello del 1970, tra l’altro, del quale arriveranno a stampare un apposito album).
Il tiro si è alzato e l’impresa fattura ormai cifre da capogiro, visto che si è espansa fuori dai confini nazionali e non si è fermata solo agli album dei calciatori. Portano la firma “Panini” anche gli album dei Puffi, di Heidi, di Barbie, finanche di Gesù.
Per questo la gestione di stampo famigliare è diventata troppo stretta. Ci vuole un management di livello, un organigramma più complesso e specializzato, al quale demandare il compito di curare gli affari in modo tale che i fratelli Panini possano dedicarsi alle loro passioni, per le quali hanno sempre risparmiato una parte degli utili. Franco colleziona libri antichi, Benito adora le automobili, Giuseppe presiede la locale squadra di pallavolo (che riporta ai fasti del passato) e si occupa di politica, Umberto ha un’azienda agricola.
Il legame di sangue che ha unito la famiglia Panini sembra destinato a durare per sempre. Così, alla prima minaccia di rompersi, prendono la decisione più saggia possibile per salvarlo. Insieme fino alla fine.
L’album dei sogni si divide in tre parti: le origini della famiglia; la giovinezza dei Panini, divisi ognuno per la sua strada; il progetto comune e gli anni d’oro dell’azienda.
Astuto l’innesco del romanzo, al cardiopalma, con il soldato Antonio al fronte, svenuto e soccorso dai suoi compagni. Poco accurata, invece, la scelta di metafore spesso fuori luogo o banali, lessico mediamente semplice, stile diaristico, a tratti ridondante. Oltretutto, nella prima parte del libro le pagine sono colme di lezioni di storia, stucchevoli, superflue ai fini del racconto.
I capitoli sono molto corti: non più di una pagina e mezza l’uno. Lo stile si colloca a metà tra quello di uno scrittore e quello di un giornalista e non si fa ricordare per raffinatezza. Se da una parte la scrittura non può dirsi capace di emozionare, dall’altra Garlando riesce perfettamente a far respirare le atmosfere della piatta provincia modenese a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta, quella dei Don Camillo e Peppone fatta di chiacchiere e bar, in particolare di una serata in balera, dove l’autore magistralmente intavola i dialoghi del Giuseppe corteggiatore. Insomma, Garlando è abile nelle descrizioni dei luoghi, come la piazza di Modena con le sue botteghe e i suoi bottegai, e soprattutto nelle parentesi di sport dove, pur svicolando dalla trama, intrattiene piacevolmente il lettore.
Luigi Garlando (classe 1962) è infatti prima di tutto affermato giornalista della Gazzetta dello Sport per la quale ha fatto l’inviato per i Mondiali del 2002 e del 2006, per due Olimpiadi e un Tour de France. Da sempre appassionato di calcio, tifoso interista, ha vinto il Premio Bancarella Sport nel 2008 con Ora sei una stella. Il romanzo dell’Inter. La sua penna “sportiva” gli ha fruttato anche il Premio Coni per la sezione inchieste e racconto sportivo. Tra le sue innumerevoli opere, spesso biografie, si annovera Per questo mi chiamo Giovanni, pluripremiato romanzo su Giovanni Falcone e suo più grande successo da oltre un milione di copie vendute. Che Guevara è un altro personaggio che l’autore ha raccontato, per l’esattezza nell’Estate che conobbi il Che (2016), libro vincitore del Premio Strega Ragazze e Ragazzi.
Tornando a L’album dei sogni, il passato di Garlando spiega perché vada a nozze col calcio, riesca bene a parlare di Manuel Fangio o Gino Bartali e meno a camuffarsi da romanziere, mostrando tutto il suo mestiere nella narrazione di aneddoti altrimenti introvabili su certi calciatori. Il taglio da giornalista e telecronista non può passare inosservato.
Nella seconda metà, il romanzo cresce stilisticamente. Migliora il linguaggio, diventa più secco e incalzante, asciugato com’è dalle metafore malfunzionanti incontrate in precedenza. Garlando approfondisce con dovizia di particolari i funzionamenti meccanici, i passaggi che portano alla robotizzazione del processo di produzione delle “fifi”. Dimostra poi d’intendersi d’inchiesta quando documenta l’epopea Panini con dettagli di difficile reperimento. Come la firma del contratto con la Disney a Francoforte per l’album Pippo l’olimpionico e la ricostruzione di varie peripezie accadute al ritorno con la polizia francese. Merito appunto della sua esperienza nella cronaca e nella ricerca di fonti attendibili.
Molto interessante è la parte dedicata al trasferimento in Sudamerica di Umberto, personaggio di grande vivacità che vivrà avventure abbastanza intense. Peccato che di tanto in tanto l’opera sia condita da accostamenti poco affini e melliflui come “minestra di stelle” o “accarezzava le Alfa come cagnoloni rossi”, giusto per citarne qualcuna.
Di questo romanzo molto lungo emerge comunque il lodevole lavoro dell’autore nel narrare la saga di un’importante famiglia italiana partita dal basso e diventata indimenticabile colosso imprenditoriale. Il messaggio dei Panini: mai mollare, soprattutto dopo le brutte “figurine”.
Il libro in una citazione
«La figurina dell’eroe e l’eroe sono la stessa cosa.»
17 ottobre 2024
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