La vita, secondo me, romanzo del Premio Pulitzer 2002 che richiama l’opera di John Irving, coniuga la ricerca di riscatto allo humour nero e alla vis comica e prende forma in pagine estremamente godibili
di Sabrina Colombo
La vita, secondo me
Autore: Richard Russo
Traduttrice: Anna Rusconi
Editore: Neri Pozza
Anno edizione: 2024
Anno prima edizione: 1993 (Usa)
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 711
Consigliato a chi ama le storie di famiglia, i personaggi complessi e ricchi di sfumature.
Se ti interessa, guarda anche
La vita a modo mio (commedia, Usa 1994) di Robert Benton.
Donald Sullivan – per tutti Sully – è un sessantenne privo di slanci emotivi, abituato alla mediocrità: misantropo, cinico, inaffidabile, con un percorso fatto di alti e bassi e un bilancio esistenziale in forte passivo. Cresciuto in una famiglia disfunzionale, divorziato, è a sua volta un padre disinteressato e poco affettuoso; porta avanti da vent’anni una relazione clandestina e senza smalto con Ruth e lavora a giornata come carpentiere, per lo più senza regolare assicurazione né contributi.
Dopo avere subito una battuta d’arresto legata a un brutto incidente, che lo ha costretto al riposo e lo ha obbligato a tornare a scuola per riqualificarsi professionalmente, medita di lasciare gli studi: l’ennesimo fallimento. Non solo: sta ingaggiando una battaglia impari con gli apparati burocratici per vedersi riconoscere l’invalidità totale, che gli aprirebbe la strada al pensionamento anticipato.
Vive a North Bath (Stato di New York), una cittadina in fase di progressivo spopolamento nei primi anni Ottanta in cui la vicenda si svolge, schiacciata sotto la fama crescente della vicina Schuyler Springs. Quest’ultima – agevolata da una nuova veloce autostrada che richiama i turisti estivi e del weekend, dotata di ogni genere di negozi e comfort nonché sede di un rinomato centro termale – sta assistendo a un vero e proprio boom immobiliare e commerciale.
North Bath è ormai un simulacro di comunità, un centro fantasma: la fonte d’acqua sorgiva, un tempo frequentatissima, si sta esaurendo; ogni anno qualcuno muore o lascia la propria casa diretto alla residenza per anziani; i bar chiudono, il progetto di inaugurare un parco divertimenti sembra sempre più infattibile per carenza di investitori; anche il più antico albergo della zona – il Sans Souci – è bruciato fino all’ultima delle sue trecento camere. Le splendide abitazioni di inizio secolo nella zona di Upper Main Street richiederebbero manutenzione e l’unica soluzione è svenderle agli yuppie che ambiscono a una residenza di campagna. Il destino è la morte civile o la gentrificazione.
Non vanno meglio le cose a Sully e alla sua cerchia di conoscenti.
C’è “miss Beryl” Peoples, sua padrona di casa, ex insegnante delle medie con simpatie di sinistra: ogni anno diventa più cagionevole nel fisico e indisponente nel carattere; dialoga ossessivamente con la foto del marito morto e con una maschera etnica appesa in soggiorno, parecchio somigliante a Kirk Douglas; medita senza sosta sull’incuria del viale in cui risiede, incorniciato da alberi ad alto fusto sempre più malandati, e tiene la contabilità degli incidenti causati ogni inverno dal crollo dei rami ai danni di tetti, automobili e dei suoi stessi vicini.
C’è l’odioso Clive Jr – figlio di Beryl: una vera faina che si occupa di investimenti finanziari, è antipatico anche a se stesso e cerca di mettere le mani sulla dimora materna; è arrogante per insicurezza e infatuato di Joyce, ex reginetta della scuola ora cinquantenne sovrappeso, afflitta da una menopausa invadente.
C’è Wirf, l’avvocato alcolista di Sully: ha perso l’abbrivio nella professione e sopravvive in un mondo – quello dei tribunali di contea – fatto di giudici dispotici e di colleghi aggressivi e famelici, con i quali non riesce a competere per debolezza di carattere.
C’è Carl Roebuck – datore di lavoro di Sully: dongiovanni impenitente e imprenditore edile privo di scrupoli, viene piantato dalla moglie Toby, stanca di essere trascurata.
Ci sono Hattie e Cass, proprietarie dello storico diner, l’ultimo rimasto: la prima è una novantenne in preda al decadimento cognitivo, in frequente fuga per le vie di North Bath verso mete che esistono solo nei suoi ricordi; la seconda è sopraffatta dall’impegno di assistenza della madre Hattie e vorrebbe sparire dalla circolazione, liberandosi dal vincolo di cura che la soverchia.
In questo scenario di disfacimento umano e urbano entra in scena Peter – il figlio di Sully – che torna in città per il Ringraziamento con tre bimbi che non sa gestire, una moglie insoddisfatta, un’amante squilibrata che lo perseguita, un divorzio all’orizzonte e la perdita della cattedra di insegnante presso un college alle spalle: qualcosa deve cambiare.
La crisi sentimentale e lavorativa di Peter rappresenterà per Sully l’occasione per riallacciare i rapporti con il figlio, per scrollarsi di dosso i traumi di un’infanzia problematica segnata dalla violenza fisica e psicologica e per imprimere nuova linfa alla quotidianità.
La prosa è brillante, arricchita da una vena di humour nero e dal gusto per il politicamente scorretto. Alcune scene sono a metà strada tra il grottesco e il metaforico e, per alcuni aspetti, richiamano un altro grande narratore americano coevo, dotato di vis comica, amante dei paradossi e attento osservatore del perbenismo borghese dell’America contemporanea: John Irving.
Il periodare è ipotattico, con frasi elaborate, ma non prolisse, e un perfetto bilanciamento fra dialoghi e discorso indiretto.
I personaggi nati dalla fantasia di Richard Russo, che animano le oltre 700 pagine, sono numerosi e ricchi di sfumature, fragili solo in apparenza, temprati dalle circostanze avverse, dilaniati dai sensi di colpa per gli sbagli compiuti, in definitiva in cerca di amore, riscatto, perdono e mutua comprensione.
La vita, secondo me racconta l’esistenza tutt’altro che dorata delle persone che non ce l’hanno fatta a brillare, di coloro che hanno imboccato una direzione – per scelta, incapacità o casualità – e non hanno più avuto modo di correggere la rotta. Il tema di fondo – la necessità di fare i conti con i fantasmi del passato – è profondamente malinconico, ma l’ironia e gli scambi di battute caustiche, unite a una vena surreale, rendono il romanzo estremamente godibile, dickensiano nella misura in cui segue le peripezie dei protagonisti dando spazio al resoconto del loro cadere e rialzarsi di fronte al destino – se non crudele – certamente beffardo.
Russo è nato a Johnstown (New York) nel 1949, si è laureato presso l’Università dell’Arizona, è stato insegnante di scrittura creativa in forze al prestigioso Colby College di Waterville (Maine) ed è autore di numerosi romanzi tra cui Il declino dell’impero Whiting – che nel 2002 gli valse il Premio Pulitzer per la narrativa – e Le conseguenze, entrambi pubblicati da Neri Pozza. Dalla Vita, secondo me nel 1994 è stato tratto il pluripremiato film La vita a modo mio, diretto da Robert Benton, fra l’altro candidato agli Oscar 1995 anche per la miglior sceneggiatura non originale.
Il libro in una citazione
«… i suoi test di intelligenza avevano evidenziato spiccate attitudini verso cose che lui stesso sembrava invece propenso a negare. Incarnazione del perdente per eccellenza, Sully, come molti notavano ancora, non era affatto stupido – frase che lui apprezzava senza riuscire a coglierne il senso tristemente letterale – e a sessant’anni aveva alle spalle un divorzio, si trascinava in una relazione poco passionale con una donna sposata, aveva perso di vista suo figlio, non si conosceva per niente, era pieno di acciacchi e poteva contare su scarsissime possibilità d’impiego: tutte cose che caparbiamente scambiava per indipendenza.»
12 ottobre 2024
© RIPRODUZIONE RISERVATA