In un commovente esordio narrativo l’accademico José Henrique Bortoluci intreccia le avventure di viaggio del genitore, camionista in pensione malato di cancro, e cinquant’anni di storia del Brasile
di Enzo Palladini
Autore: José Henrique Bortoluci
Traduttore: Vincenzo Barca
Editore: Iperborea
Anno edizione: 2024
Anno prima edizione: 2023 (Brasile)
Genere: Memoir
Pagine: 192
Consigliato a chi vuole immergersi in maniera intensiva nella storia brasiliana contemporanea.
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José Bortoluci detto “Didi”, nato nel 1940 a Jaú, nello Stato brasiliano di San Paolo, ha lavorato come camionista per quasi cinquant’anni, prima che una forte cardiopatia lo costringesse a scendere dal suo amato mezzo di trasporto per fare il meccanico. Suo figlio José Henrique, giovane accademico (è nato nel 1984), ha deciso alla fine del 2020 di trasformare i ricordi del padre – fino ad allora tramandati oralmente – in un libro. La prima reazione del signor José è stata quasi infastidita: “Ma no, io non ho niente da raccontare”. Poi, però, c’è stata una virata immediata: “Se fa bene a te, sono contento”. Per un tragico scherzo del destino, lo stesso giorno di questa conversazione José Henrique ha scoperto che il padre era malato di cancro all’intestino.
Da quel giorno tra padre e figlio si è stabilito un rapporto nuovo e intenso, che durante l’infanzia di José Henrique risultava impossibile per le lunghe assenze di papà. Sono iniziate le “interviste”, lunghe chiacchierate registrate in cui José raccontava a ruota libera tutto quello che aveva vissuto nei suoi viaggi, con un linguaggio da camionista altamente efficace, che il figlio professore ha riportato splendidamente.
José racconta di aver concepito José Henrique dodici giorni dopo il matrimonio, sul sedile del camion che lui e la moglie avevano utilizzato per la luna di miele. Scopriamo così quanto fosse dura la vita dei camionisti negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Il Brasile è un Paese in cui le ferrovie non hanno mai avuto uno sviluppo vero e proprio, il trasporto è quasi esclusivamente su gomma, ma le strade non sono adeguate a un utilizzo massiccio. Guidare un camion significa percorrere migliaia, milioni di chilometri in condizioni terrificanti, su strade sterrate e piene di buche, attraversando veri e propri pantani o addirittura guadando fiumi senza poter utilizzare né ponti né traghetti per settimane, anzi. Spesso per mesi lontano da casa. Il tutto con compensi miseri, sufficienti appena per pagare le rate del camion e per sfamarsi in maniera frugale.
Viaggiando con l’immaginazione sul mezzo di “Didi”, che sulla strada era noto come “Jaú” (dal nome del paese da cui proveniva), viviamo avventure apparentemente assurde, ma probabilmente quasi tutte vere. Nel Mato Grosso una notte si convinse di aver visto un alieno scendere da un oggetto volante con l’intenzione di rapirlo. Durante una traversata dell’Amazzonia imparò a grigliare la carne su una parte interna del tubo di scappamento: bastava appoggiarci una bistecca e dopo qualche ora la si ritrovava perfettamente cotta. Una volta, dopo aver rischiato di essere rapinato lungo la strada, andò alla polizia per denunciare il fatto e gli venne consigliato di assoldare due sicari che lo avrebbero scortato nel resto del viaggio per un misero compenso. In un’altra occasione, insieme ad alcuni amici alla guida dei rispettivi camion, riuscì a forzare un posto di blocco militare senza conseguenze.
José Henrique Bortoluci insegna alla Fondazione Getúlio Vargas a San Paolo e ha un dottorato in sociologia conseguito all’Università del Michigan, frutto di una brillantissima carriera che gli è valsa parecchie borse di studio e alcuni viaggi all’estero per partecipare a gare internazionali di matematica e altre scienze.
In Sulle strade di mio padre, suo esordio nella narrativa, riesce a unire tre momenti diversi. C’è il racconto di papà José che viene evidenziato sempre e comunque con il carattere corsivo, per distinguerlo dal resto della narrazione. Nel suo stile si intravede chiaramente la grande cultura accademica accumulata in questi anni, un modo di scrivere ricercato che si percepisce anche dopo essere passato per la traduzione, ricco di citazioni importanti ma anche di conoscenze personali molto radicate. C’è poi l’esperienza dell’assistenza a un malato oncologico: le cure, le diagnosi, la burocrazia, le bugie raccontate dai medici, la sofferenza, l’odore della malattia. Infine, c’è anche la riflessione di Bortoluci sulla storia brasiliana degli ultimi sessant’anni: il passaggio attraverso il lungo tunnel della dittatura militare, il pesante disboscamento dell’Amazzonia che cinquant’anni fa il governo assolutista spacciava come forma di progresso e che – in fondo – anche la tormentata opposizione di sinistra considerava un’opportunità per il Paese.
José Henrique ci mette molto della sua cultura accademica, andando a occupare uno spazio che papà José non ha mai voluto invadere, disinteressandosi totalmente della politica per pensare solamente alle necessità della famiglia. L’autore non nasconde affatto le sue idee di sinistra, non ha alcun problema a dichiarare apertamente le sue posizioni e a esprimere tutte le sue perplessità verso chi è al potere: il libro è stato scritto quando Jair Bolsonaro era ancora appoggiato dalla destra e dai militari. Alle successive elezioni, Luiz Inácio Lula da Silva si è ripreso la presidenza e Bortoluci si è detto non del tutto soddisfatto dell’atteggiamento mostrato da Lula in questo suo terzo mandato.
Una nota a margine. Sulle strade di mio padre, che in Brasile ha per titolo O que é meu (una frase di papà José: “Quello che è mio, solo io lo posso affrontare”), è uscito quando il padre di Bortoluci era ancora vivo. Il cancro se l’è portato via nel novembre del 2023.
Il libro in una citazione
«La bestia ci guarda nel profondo degli occhi, si ciba della nostra carne e ci spolpa le ossa, e si gratta la pancia ridendo dei nostri tentativi di darle un nome.»
26 aprile 2024
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