Nel romanzo della messicana Guadalupe Nettel una riflessione sul senso profondo del diventare madre
di Eva Garavaglia
La figlia unica
Autrice: Guadalupe Nettel
Editore: La Nuova Frontiera
Traduttrice: Federica Niola
Anno edizione: 2020
Anno prima edizione: 2020 (Messico)
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 224
Consigliato a chi vuole confrontarsi con una riflessione ampia e non edulcorata sul tema della maternità.
La figlia unica è la storia di due amiche, Laura e Alina, che condividono un’idea: non vogliono diventare madri perché ritengono che la maternità sia un’imposizione della società. Col passare del tempo Alina cambia idea, ma non riesce a rimanere incinta. Quando finalmente si verifica il concepimento, le viene detto che la sua bimba morirà appena nata. Ma sarà davvero così?
La storia è ambientata in Messico ed è interamente raccontata da una delle due protagoniste, Laura, che per resistere all’impulso biologico di procreare si è sottoposta a un intervento con lo scopo di farsi chiudere le tube. Eppure, senza neanche farlo apposta, intorno a lei iniziano a dipanarsi varie storie di maternità che alla fine la coinvolgono. E non si tratta solo del caso di Alina, dalla quale inizialmente si sente tradita: la vicina di casa, Doris, ha un figlio che non riesce a gestire e che la fa piombare in uno stato di depressione e poi sul suo balcone compare all’improvviso un nido di uccelli, ma uno dei piccoli volatili proprio non sembra essere figlio di sua madre.
La scelta di Laura come narratore interno, che racconta gli avvenimenti filtrati dal suo vissuto, permette di sviluppare una riflessione realistica sulla maternità, aiutando i lettori a immedesimarsi nella narrazione, anche se hanno idee diverse dalle sue.
L’ambientazione messicana potrebbe trasmettere una sensazione di distanza rispetto agli avvenimenti nei lettori italiani per la convinzione che in Europa il sistema sanitario funzioni diversamente, ma in realtà non ci sono grosse differenze. Dal punto di vista culturale è particolarmente interessante il corso di accettazione della morte che Alina frequenta quando scopre che la figlia morirà alla nascita.
Nella Figlia unica Guadalupe Nettel riflette sul tema della maternità in maniera profonda e sfaccettata, senza rinunciare però a una trama coinvolgente. Abbiamo così non solo la maternità ricercata e poi sofferta di Alina, ma anche una maternità ricercata e poi rifiutata, come quella di Doris, e infine una maternità non cercata e poi riscoperta.
Il titolo stesso suggerisce la presenza di un altro tema, la disabilità, e in particolare l’accettazione della disabilità del proprio figlio. La scrittrice sudamericana mette in evidenza in maniera realistica i dubbi e le emozioni che animano Alina e il marito, fino al momento in cui giungono in maniera convincente e consapevole che la loro figlia è veramente unica, ma che può essere amata come qualsiasi altro bambino. Una riflessione, quella sull’amore nei confronti dei figli, che non emerge solo dalla storia di Alina: il mondo animale trasmetterà infatti a Laura un importante insegnamento.
Tuttavia il romanzo non è un trionfo della riscoperta del senso profondo della maternità: in una delle storie che si dipanano attorno a Laura emerge il fatto che essere madri comporta sacrificare i propri interessi e le proprie passioni e non è detto a priori che, giunti in età matura, uno possa ritenere che il sacrificio sia stata una scelta giusta.
L’unica sbavatura di questo romanzo è forse il finale, che introduce un tema che non viene trattato nel corso della narrazione e che quindi, al confronto con quello della maternità, risulta superficiale. Un finale che resta sospeso, aperto a infiniti possibili sviluppi e interpretazioni.
Il libro in una citazione
«Penso che a un certo punto tutte noi madri ci rendiamo conto di questa cosa: abbiamo i figli che abbiamo, non quelli che ci immaginavamo o quelli che ci sarebbe piaciuto avere, ed è con loro che dobbiamo fare i conti.»
24 ottobre 2023
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