Nelle lettere che Anna Maria Ortese scrisse alla giovane Marta Maria Pezzoli l’amicizia si nutre di ebbrezza del vivere
di Sonia Vaccaro
Vera gioia è vestita di dolore. Lettere a Mattia
Autrice: Anna Maria Ortese
Curatrice: Monica Farnetti
Editore: Adelphi
Anno edizione: 2023
Genere: Storia e critica letteraria
Pagine: 159
Con una nota di Stefano Pezzoli
Consigliato a chi ama conoscere autrici e autori andando oltre le opere che ci hanno consegnato consapevolmente.
Se t’interessa, leggi anche Angelici dolori e altri racconti di Anna Maria Ortese. A cura di Luca Clerici (Adelphi, 2006).
Il 22 maggio 1940 Anna Maria Ortese chiede a Marta Maria Pezzoli di perdonarle la matita, prima di salutarla affettuosamente. Basta leggere quel rigo tracciato in punta di grafite per immergersi nell’atmosfera della corrispondenza che intercorse fra le due giovani donne per circa quattro anni, ora parzialmente custodita in Vera gioia è vestita di dolore. Lettere a Mattia, volumetto della Piccola Biblioteca Adelphi curato da Monica Farnetti, autorevole studiosa delle opere della scrittrice romana.
I cinquantacinque brevi messaggi sono stati ritrovati da Stefano Pezzoli dopo la morte della zia Marta Maria, detta Mattia nella cerchia degli affetti, avvenuta nel 2002. Dandoli alle stampe, Adelphi ha donato – come sottolinea Farnetti nella postfazione – al lettore comune il privilegio di essere ammesso a un’intimità che non è la sua e allo studioso l’opportunità di accedere a informazioni inedite come il profondo amore di Anna Maria Ortese per il poeta Alfonso Gatto, il precoce manifestarsi della patologia cardiaca che la porterà alla morte nel 1998 e le rivelazioni sull’uccisione in Albania del fratello gemello Antonio.
Difatti Mattia e Anna Maria, che diventerà una delle più singolari voci letterarie del Novecento italiano e si farà conoscere al grande pubblico nel 1967 vincendo il Premio Strega con il romanzo Poveri e semplici, ci rendono partecipi della tenerezza di sorelle che si era venuta a creare tra loro in un periodo molto difficile. Quegli sono sì gli anni della seconda guerra mondiale, ma benché se ne avverta l’invadenza, essa non è mai il tema principale delle missive, in cui prevale una reciproca e sentita partecipazione alle vicende personali e famigliari, emotive e intellettuali.
La sorellanza elettiva di Anna Maria e Mattia s’incastona in un’amicizia schietta e vibrante, relazione fondativa dei rapporti umani ben diversa da quella che una certa tradizione ha erroneamente considerato sempre improntata alla competizione o inquinata da invidia e gelosia se instaurata tra donne. Dalle lettere di Anna Maria – e indirettamente anche da quelle di Mattia, di cui non disponiamo, ma di cui percepiamo l’eco – emerge come le due amiche si rispecchiassero l’una nell’altra e riuscissero così a mitigare le loro sofferenze e a intensificare la loro esistenza.
Come Anna Maria scrisse a Mattia il 19 dicembre 1940, la considerava la sola sorella cui essere grata per tanta vicinanza benché biologicamente ne avesse anche un’altra. Eppure Anna Maria e Mattia erano molto diverse.
Stando a quanto ricostruito da Stefano Pezzoli, le due s’incontrarono per la prima volta a Bologna in occasione dei Littoriali della cultura e dell’arte. Tra loro nacque in breve tempo una forte intesa, nonostante le grandi divergenze caratteriali.
La ventiduenne Mattia – all’epoca studentessa alla Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Bologna, dove successivamente lavorerà come bibliotecaria – era malinconica, timida e introversa, qualità che sicuramente incideranno sulle future scelte di un’intera vita, trascorsa quasi esclusivamente a Bologna. La ventiseienne Anna Maria era mutevole, tempestosa e contraddittoria, sempre in cerca di occasioni di pubblicazione, e abitava in quel di Napoli, ma poi cambierà più volte casa. L’una era l’incarnazione della stasi, l’altra del movimento.
Nel 1939 Mattia aderì al Gruppo universitari fascisti, peraltro frequentato anche da Anna Maria, e nel 1940 si iscrisse al Partito nazionale fascista. Nel 1945 Anna Maria decise invece di prendere la tessera del Partito comunista italiano. Come Farnetti ha fatto notare in più occasioni, molto probabilmente è stato proprio l’antifascismo di Ortese a mettere fine al loro rapporto. Ma cosa lo fece iniziare? Sicuramente la necessità di colmare una grande solitudine, il cui miglior antidoto non può che essere una grande amicizia. Quest’ultima era una vera e propria vocazione anche per una personalità tanto spiccata e complessa come quella di Anna Maria, che seppe rinunciare all’amore per lo storico Aldo Romano in favore dell’amica Adriana Capocci Belmonte, poi divenuti entrambi personaggi del romanzo autobiografico Il porto di Toledo, pubblicato nel 1975.
Le radici della solitudine di Mattia affondavano in un lontano passato. Quando la crisi economico-finanziaria del 1929 portò la sua famiglia a vendere le residenze di Bologna e Paderno, luoghi da lei particolarmente amati, ne rimase fortemente scossa e a questo disorientamento si aggiunse il fatto di non godere della compagnia di fratelli e cugini, forse perché semplicemente più giovane.
Negli anni della loro corrispondenza, anche Anna Maria assistette al lento sgretolarsi della brigata di fratelli e sorelle di cui faceva parte. Al dolore per la dipartita di Emanuele, avvenuta già nel 1933, nel 1940 si unì il lutto per la morte di Antonio e la grande preoccupazione per il fratello Raffaele, imprigionato a Cuba, nonché le pene per la madre Beatrice, provata tanto nell’anima quanto nel fisico.
Come spesso avviene tra intime amiche, Anna Maria e Mattia furono unite dalla condivisione di patemi d’amore. Oltre al già menzionato coinvolgimento di Anna Maria per Alfonso Gatto, dalle lettere si deduce anche quello di Mattia per l’aviere Adriano Visconti, tenente pilota di stanza in Cirenaica, di cui lei era “madrina di guerra”.
Ad accomunare ancor di più Anna Maria e Mattia era ovviamente la passione per la letteratura e la scrittura, testimoniata anche dai testi che allegavano alle loro missive. Mattia leggeva molto – e rimase folgorata da Angelici dolori, opera prima di Anna Maria – e amava scrivere poesie e recensioni. Anna Maria ne ammirava i versi e vedeva in lei un “critico” autentico, in particolar modo dopo aver ricevuto un suo articolo pubblicato su Architrave, mensile curato dal Guf di Bologna. Una vera e propria stroncatura di Nessuno torna indietro, bestseller di Alba de Céspedes, che da Mattia fu contrapposta all’autrice neozelandese Katherine Mansfield, apertamente preferita anche da Anna Maria che – nella sua lettera del 12 marzo 1941 – la definisce la purissima, l’incantata. D’altra parte qualcosa di molto profondo accumunò Anna Maria a Katherine, seppur ben diversi furono gli esiti cui giunsero con le loro opere. Entrambe si affidarono al valore terapeutico della scrittura dopo la morte di un fratello – Emanuele per Anna Maria e Leslie per Katherine – ed entrambe riuscirono a provare l’ebbrezza di vivere e di connettersi col mondo circostante, l’universo, l’assoluto.
Negli scritti di Vera gioia è vestita di dolore lampeggiano qua e là stile e poetica dell’Ortese più matura, in cui la creatività si esprimerà attraverso la visione e l’apparizione e in cui la scrittura sarà sì fatica ma anche godimento, sì dolore ma anche gioia. Ciò che scrive testimonia come tali emozioni per lei siano inscindibili e come l’una non prevalga sull’altra, contrariamente a quanto potrebbe indurre a pensare il titolo di questa raccolta. Nella sua lettera datata 5 giugno 1941, con Vera gioia, è vestita di dolore Ortese apre un chiasmo, che poi chiude con Vero dolore, è vestito di gioia, appena prima di sottolineare di non desiderare altro se non sentire, sentire, sempre più “sentire”. Un desiderio che viene percepito distintamente da chi legge e che induce senza alcuna esitazione a mettersi in connessione con le opere di Ortese, così sinceramente generosa nell’aprirsi a Mattia e, attraverso il contributo di Stefano Pezzoli e l’attenta curatela di Farnetti, anche a noi.
Il libro in una citazione
«Io amo chi mi vuol bene per la mia disperazione – quello sento fratello o sorella – quello amo. Spero che sempre, fino alla fine, Iddio mi faccia conoscere la santa disperazione, che porge alle creature il bicchiere d’ebbrezza e apre loro gli occhi sul mare della realtà. Vera gioia, è vestita di dolore. Vero dolore, è vestito di gioia. Sentire, sentire, sempre più “sentire”. Io non desidero altro.»
1 ottobre 2023
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