di Sonia Vaccaro

La farfalla bianca
Autore: Walter Mosley
Editore: 21lettere
Traduttore: Mario Biondi
Anno edizione: 2022
Anno prima edizione: 1992 (Usa)
Genere: Gialli & Noir
Pagine: 326
Consigliato a chi non si accontenta di polizieschi ricchi di colpi di scena e apprezza personaggi autentici nonché tematiche sociali complesse.
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Il diavolo in blu di Walter Mosley. Traduzione di Bruno Amato. 21lettere, 2021.
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a cura di Stefano Palladini
“DONNA ASSASSINATA. LA QUARTA. CACCIA ALL’ASSASSINO. IN TUTTO IL SUD.” Così titola il Los Angeles Examiner quando, nel 1956, rende conto dell’uccisione della studentessa Robin Garnett, ritrovata sfigurata in una baracchetta su un lotto di terreno abbandonato. Garnett è la quarta vittima registrata nell’arco di poche settimane, ma è anche l’unica dalla pelle bianca. Ecco perché se ne scrive in prima pagina. Ecco perché vengono finalmente avviate le indagini. Ed ecco perché la polizia chiede aiuto a Easy Rawlins, l’iconico detective che Walter Mosley – primo scrittore afroamericano premiato col National Book Award nel 2020 – ha reso protagonista di ben quindici noir.
La farfalla bianca, nomignolo di Robin, è il terzo capitolo della serie, ripubblicato nel 2022 dalla casa editrice modenese 21lettere nella traduzione di Mario Biondi, che già nel 1997 firmò l’edizione Bompiani. L’originale White Butterfly arrivò in libreria nel 1992, stesso anno delle rivolte in cui a Los Angeles persero la vita più di sessanta persone e che furono causate dall’ingiusta assoluzione di quattro agenti di polizia, che abusarono della forza nell’arresto del pregiudicato afroamericano Rodney Glen King.
Proprio allora Mosley tornò a non deludere le aspettative dei suoi lettori statunitensi più affezionati e a conquistarne di nuovi. D’altra parte La farfalla bianca è sì un noir avvincente, che si rifà ai topoi più apprezzati dagli amanti dell’hard boiled, ma è anche un’istantanea ben definita del contesto socioculturale dell’epoca, che riesce a incuriosire pure i non amanti del più crudo sottogenere investigativo-poliziesco, reso noto da Dashiell Hammet e perfezionato da Raymond Chandler.
Con La farfalla bianca Mosley ci riporta a Watts – quartiere afroamericano in cui è cresciuto, che nel 1965 salì agli onori della cronaca per alcune sommosse a sfondo razziale – e nelle sue bettole, in cui risuonano blues e jazz; gli alcolici scorrono a fiumi; la violenza, il sesso e la criminalità sono di rigore. Per la prima volta ci accompagna poi per le strade di San Francisco, dove si svolge una parte consistente delle indagini di Easy.
Quel che è certo è che ovunque ci conduca, Mosley coglie l’occasione per ribellarsi al razzismo – che intacca sia i rapporti con le istituzioni sia quelli tra le persone – senza cadere nella trappola delle forzature pedagogiche, lasciando trapelare autenticità da ogni rigo. Nel caso specifico le istituzioni sono le forze di polizia, che non si preoccupano di non avere prove per arrestare un uomo dalla pelle nera o non si fanno remore a ucciderne un altro con l’obiettivo di insabbiare le proprie manchevolezze. Quando hanno bisogno di intrufolarsi nel ghetto, non possono quindi che chiedere aiuto a Easy, talmente integrato nella comunità afroamericana da valere come un intero commissariato di detective. Questo suo imprescindibile tratto di socialità è l’elemento che più lo distingue dal bianco e solitario Philip Marlowe, tanto caro ai lettori di Chandler.
L’Easy che ritroviamo nella Farfalla bianca è anche molto diverso dal giovane veterano della seconda guerra mondiale che – tra le pagine del Diavolo in blu, primo capitolo della serie – si scopre investigatore nella Los Angeles degli anni Quaranta. Ora è sposato con Regina, ha una bambina e fa da padre anche al piccolo Jesus, che ha strappato a un destino tremendo ai tempi delle primissime indagini. Quando Quinten Naylor, l’unico agente dalla pelle nera che lavora per la polizia di Los Angeles – un omaccione color violenza di sua vecchia conoscenza – gli chiede di collaborare, Easy ha dunque validi motivi per declinare il pericoloso invito. Cambia però idea quando capisce che un rifiuto comporterebbe automaticamente l’arresto del suo fedele amico Raymond (Mouse) Alexander.
Ora Easy è anche un uomo palesemente istruito, che legge il Fedone di Platone e Le anime del popolo nero di W.E.B. Du Bois, e segretamente benestante, che fa passare Mofass, l’amministratore dei suoi immobili, come il proprietario degli stessi e tiene per sé la parte dell’inserviente. Sembra aver superato i traumi del veterano di guerra, ma soffre ancora molto per la perdita della madre e l’abbandono del padre. È un detective arguto, che il vendicativo capitano Violette arriva a paragonare a Charlie Chan, il noto investigatore delle opere di Earl Derr Biggers e, nel complesso, un uomo pieno di contraddizioni: allo stesso tempo innamorato della moglie e molto sensibile al fascino delle donne, cinico ed empatico, duro e umano. A definirne la caratterizzazione contribuiscono le trame secondarie che Mosley dipana parallelamente alla principale: le difficoltà nel rapporto coniugale e la condotta tenuta in una compravendita malamente gestita da Mofass lo ingraziano ancora di più ai lettori, propensi a considerarlo affidabile perché sollecitato da saldi valori morali.
E se Easy spicca, gli altri personaggi non sono da meno. Il lettore affezionato ne ha già incontrati alcuni – come Raymond (Mouse) Alexander, Quinten Naylor e Jesus – nel Diavolo in blu e altri – come Mofass – nel Delitto in rosso, secondo capitolo pubblicato in Italia nel 1992 da Sonzogno con la traduzione di Bruno Amato e ora riposto sugli scaffali dei libri vintage. Eppure chi inizia a leggere la serie partendo dalla Farfalla bianca rimane comunque colpito dalla ricca galleria di casi umani, che cercano un modo (non sempre lecito) per sopravvivere.
La forza della scrittura di Mosley sta nell’affidare a Easy la narrazione al passato, dosando adeguatamente descrizioni puntuali e ricche di contrasti cromatici, che immergono il lettore in un’atmosfera pregna di tensione, scene d’azione dai risvolti imprevedibili e dialoghi autentici e funzionali.
Mosley dà rilevanza tematica anche alla lingua, che piega alle differenze etniche e di classe. A tal proposito è molto significativa la digressione in cui la bibliotecaria Stella Keaton, bianca del Wisconsin, si rivela in tutta la sua cortese crudeltà cercando di colonizzare la comunità di colore attraverso l’imposizione di una grammatica e di un accento altrui.
Non altrettanto felici paiono purtroppo alcune scelte di traduzione, come quelle evidentemente anacronistiche attuate per i nomi d’arte di musicisti che hanno fatto la storia del blues (“Bimbo” – e non Sonny – Terry; “Moretto” – e non Brownie – McGhee; “Fulmine” – e non Lightnin’ – Hopkins). Scelte che ovviamente non inficiano la godibilità della storia: le ultime settanta pagine scorrono a ritmi molto elevati. Voltata l’ultimissima, resta il desiderio di andare a scoprire in quale altra losca faccenda Easy si sia involontariamente cacciato e se riuscirà ancora una volta a uscirne senza farsi travolgere dalla spirale di violenza che risucchia la Los Angeles dell’epoca.
Il libro in una citazione
«Trovai un annuario del ’55 della Los Angeles High School e un classificatore pieno di foto professionali di Cyndi Starr. In una di esse posava nuda, eccettuati un minuscolo cache-sex e le punte delle dita, nell’atto di fingere sorpresa su un palcoscenico deserto. Il faretto che la illuminava tracciava sul fondale nero la sagoma di una farfalla.»
31 maggio 2023
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