di Sabrina Colombo
Cose che non si raccontano
Autore: Antonella Lattanzi
Editore: Einaudi
Anno prima edizione: 2023
Genere: Memoir
Pagine: 207
Consigliato a chi vuole ragionare sul desiderio di maternità.
Quali cose possono accadere quando, alle soglie dei quarant’anni, ci si sente pronte a procreare? Tantissime, alcune delle quali molto difficili da raccontare. Questo è il tema del nuovo romanzo di Antonella Lattanzi, recentemente pubblicato da Einaudi.
Senso e contenuto di Cose che non si raccontano si potrebbero riassumere in alcune parole evocative e di grande peso: dolore, responsabilità, assenza, sconfitta, futuro.
Dolore, perché Antonella Lattanzi racconta una storia – la sua – che parla di ricerca disperata della maternità da parte di una donna che affronta coraggiosamente tutti i tortuosi percorsi messi a disposizione dalla scienza e che si scontra con le difficoltà e i rischi insiti anche nelle pratiche più sofisticate e all’avanguardia.
Responsabilità, perché Antonella Lattanzi ha compiuto la scelta di molte donne che – in giovane età – hanno ritenuto di non poter accogliere una gravidanza e si sono fatte carico della decisione di interromperla, per poi tentare in un momento successivo, quando le condizioni di stabilità sentimentale e professionale consentono di compiere quell’enorme salto nel buio che è far nascere un figlio.
Assenza, perché in questa vicenda ciò che è certo è che la protagonista ha subito le conseguenze di molte assenze: l’assenza di empatia da parte di diversi (non tutti, chiaramente) medici e operatori sanitari che con incredibile superficialità e freddezza l’hanno trattata come una paziente e non come un essere umano – rimproverandola per decisioni che erano comunque sempre state condivise – l’hanno esposta all’inutile sofferenza psichica di dividere una stanza d’ospedale con donne incinte o puerpere stanche e felici, non le hanno impedito di sentire il battito fetale di bambini non suoi, l’hanno tenuta monitorata in una sala travaglio dopo un inevitabile raschiamento. E molto altro.
Sconfitta: non tanto per la protagonista, che ha combattuto la sua battaglia contro l’infertilità quasi con spavalderia e non ha da rimproverarsi nulla – seppure ci racconti di una difficile convivenza col senso di colpa – quanto per la società tutta, la cui civiltà si misura anche attraverso la qualità del sistema sanitario. La vicenda di Antonella Lattanzi – infatti – si incrocia anche con la bufera epocale del Covid e con una pandemia che ha colpito duramente mettendo in crisi la tenuta degli ospedali. E questo, per responsabilità – ecco tornare questa parola chiave – legate all’assenza di un piano pandemico, alla demolizione sistematica della sanità pubblica, allo sgretolamento della medicina del territorio, che nessuno si è preso la briga di assumersi.
Se per tentare di avere un figlio occorre fare il pellegrinaggio di centri privati, salvo poi essere rispediti al mittente quando la situazione medica si evolve in senso sfavorevole e i rischi da assumersi sono troppo elevati; se occorre aspettare giorni e giorni causa Covid per interrompere medicalmente una gravidanza pericolosa rientrando nei termini legali; se il mattino programmato occorre starsene seduti su un marciapiede in attesa di essere ammesso in reparto mentre la pandemia dilaga; se una settimana dopo un intervento salvavita si viene lasciati in totale solitudine, alla mercé di personale stanco e sotto pressione, non è colpa del singolo, è un’inaccettabile sconfitta del sistema.
E, infine, futuro: non ci può essere un lieto fine dopo un viaggio nell’orrore, perché il passato è inscritto nella carne e nel sangue, nelle cicatrici e nella sensazione di vuoto che il corpo della donna percepisce dopo una gravidanza, a maggior ragione se quest’ultima non ha condotto a una nuova vita. Però il futuro c’è e si impone, si dispiega in tanti trascurabili indizi: nella voglia di tornare al mare, in quella di riprendere l’intimità con il proprio compagno, nell’intenzione di scrivere un nuovo libro, di cenare con gli amici, di guardare avanti col chiodo fisso di quei piccoli cuori che la testa vorrebbe ancora pulsanti, e nonostante loro. Ma queste, per l’appunto, sono cose che spesso – per pudore – non si raccontano.
Scritto in prima persona, con un flusso di coscienza spezzato da alcuni salti temporali, con uno stile a volte sperimentale, interruzioni di parole, digressioni, riproduzione di dialoghi via social, di cartelle mediche e riassunti della storia clinica, l’autrice trova le parole per descrivere l’indicibile con una prosa semplice, diretta e potente. Un memoir in cui predomina la suspense da thriller psicologico, che intride la vita vissuta e la storia collettiva.
Antonella Lattanzi (Bari, 1979) è scrittrice e sceneggiatrice, autrice di diversi romanzi fra cui Questo giorno che incombe (HarperCollins, 2021), pubblicato nei mesi in cui la vicenda si stava svolgendo: un romanzo bellissimo, quest’ultimo, che tra l’altro tratta di maternità, di occasioni negate, di ambizioni lavorative frustrate e di paure che nascono dentro di noi e che trasformano un caldo nido domestico in una galera. Selezionato nella long list dello Strega 2021, su proposta di Domenico Starnone, ha meritatamente ricevuto il Premio Scerbanenco lo stesso anno.
Il libro in una citazione
«Mentre scrivevo mi dicevo: io che sono abituata a creare un percorso narrativo, un viaggio dell’eroe, peripezie che l’eroe attraversa e poi vince o perde, io che faccio? Come scrivo questo libro? Ho dovuto arrendermi, e cambiare.»
13 maggio 2023
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