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Home » “IL FIGLIO DEL DIRETTORE”, LA BLACK COMEDY IN SALSA PADANA CHE TI AVVOLGE NEL MISTERO

“IL FIGLIO DEL DIRETTORE”, LA BLACK COMEDY IN SALSA PADANA CHE TI AVVOLGE NEL MISTERO

La copertina del libro "Il figlio del direttore" di Piersandro Pallavicini (Mondadori)
Quattro stelline e mezzo

Il figlio del direttore
Autore
: Piersandro Pallavicini
Editore: Mondadori
Anno edizione: 2023
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 258

Consigliato a chi ama la narrativa venata da un pizzico di cinismo, per chi ha uno sguardo lucido sulla realtà e non si abbandona a facili buonismi.

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di Sabrina Colombo

Si chiama Michelangelo Borromeo, nessuna parentela con il santo di Arona: sessant’anni, originario di Vigevano, ha una libreria antiquaria a Pavia – specializzata in prime edizioni di autori del Novecento autografate – con annessa rivendita di delicatessen a prezzi stellari, un appartamento a Cap d’Antibes e una macchina di lusso.

Da parecchi anni si è lasciato con la sua storica compagna e ormai fa vita da scapolo, riservata, lussuosa, tutto sommato piacevole, se non fosse per il retrogusto amaro lasciato dalla consapevolezza del tempo che sfugge e della vecchiaia in solitudine che lo attende.

Nei suoi trascorsi c’è un padre invadente, Luchino, che negli anni Settanta e Ottanta ha fatto carriera fino a raggiungere ruoli apicali nella gerarchia del Banco Italico, e una madre religiosissima, iperprotettiva e castrante.

Siamo al tempo delle prime aperture dopo il lockdown del 2020 e Michelangelo – mentre passeggia nel giardino del residence di Antibes – riceve una chiamata dal cellulare appartenuto al padre, morto due anni prima. L’apparecchio si trova certamente nella cucina della casa di famiglia, a Vigevano, ultima dimora di Luchino: chi e a che scopo lo ha contattato?

Aiutato dal vicino Gualtiero – neo hippy nell’aspetto e vagamente surreale nei ragionamenti – il protagonista inizia a indagare. Nel farlo, la mente va al suo passato di cui ripercorre le tappe principali: la vita raminga di paese in paese – tra Brianza, Milano, Comasco, Lomellina – di pari passo con le promozioni paterne, le difficoltà di adattamento a scuola, la timidezza patologica, i brillanti studi universitari in chimica, le amicizie allo studentato, la porta chiusa in faccia dal professore quando si è trattato di favorire il suo accesso alla carriera accademica.

Sopra ogni cosa, Michelangelo ha patito l’atteggiamento del padre – il “signor direttore” – così stimato in Banca e altrettanto detestato in famiglia per i suoi modi cafoni, il piglio da gradasso, le battute volgari sulle donne brutte, i rimbrotti umilianti al figlio, accusato di essere privo di carattere e – fondamentalmente – effemminato se non dichiaratamente omosessuale.

Il racconto è caustico, ricco di stilettate di black humour e con un tocco alla Piero Chiara. Non c’è autocommiserazione in Michelangelo, né voglia di rivalsa sull’ingombrante figura paterna, almeno finché non vengono alla luce alcune segrete frequentazioni di quest’ultimo, che gettano una diversa luce sul “signor Luchino”, le sue vite parallele, le sue priorità, la sua ben poco commendevole condotta.

Ci sono passaggi veramente esilaranti che rivestono di compiaciuta ironia ricordi buffi o imbarazzanti dell’adolescenza e giovinezza del protagonista. Piersandro Pallavicini è arguto nelle osservazioni e salace nei giudizi che attribuisce a Michelangelo: quest’ultimo a volte è incredibilmente compassionevole – considerate le scorrettezze subite – di fronte alle mancanze e ai limiti delle persone che lo hanno amato e questa circostanza lo rende ancor più meritevole dell’affetto che istintivamente suscita nel lettore.

Insomma, si ride molto, moltissimo, si riflette anche, leggendo questa rappresentazione della grigia, deprimente, beghina e anche un po’ ipocrita vita nella ricca provincia lombarda degli anni Settanta e Ottanta, dove si produce molto e si pensa poco, ci si fa parecchio i fatti degli altri, si ambisce all’esclusività dell’iscrizione al Rotary ma poi si mandano i figli alla scuola pubblica, si convive con gli immigrati dal Sud anche se l’integrazione è molto lontana dal realizzarsi.

Il continuo alternarsi del tempo presente e dei flashback sul passato della famiglia Borromeo tengono alta la tensione e rendono la prosa – in prima persona – frizzante e scanzonata, fino al coup de théâtre con disvelamento di alcune scomode verità che non dissipa l’alone di mistero aleggiante su alcuni attori di questa black comedy in salsa padana, anche dopo aver chiuso l’ultima pagina del romanzo.

Il libro in una citazione
«Senza muoversi da Vigevano mio padre era passato a procuratore capo, poi, nel 1969, il Banco Italico lo aveva promosso funzionario con trasferimento a Milano, nella storica sede di piazza Missori. Con mia madre si erano sposati nel ’58, io ero nato nel ’62, la prima e la seconda elementare le avevo fatte a Vigevano, la terza e quarta nel capoluogo lombardo. Poi mio padre era stato di nuovo promosso, questa volta vicedirettore a Cantù, e la quinta elementare e la prima e seconda media, allora, le avevo fatte nella cittadina dell’alta Brianza. E dopo, mio padre era stato promosso ancora, finalmente era diventato direttore, anzi pardon, Signor Direttore, a Busto Arsizio. Compivo tredici anni quando ci siamo trasferiti in quella città di tregenda in provincia di Varese…»

22 febbraio 2023
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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