di Sabrina Colombo
Il Continente bianco
Autore: Andrea Tarabbia
Editore: Bollati Boringhieri
Anno edizione: 2022
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 244
Consigliato a chi si vuole interrogare su un lato oscuro della società contemporanea; a chi vuole lasciarsi trasportare da una scrittura ipnotica e complessa che avvince e lascia senza respiro.
Ci aveva deliziato nel 2019 consegnando ai lettori un romanzo strepitoso – barocco e sensuale – ambientato nella Napoli del Cinquecento, vincitore del Premio Campiello. Andrea Tarabbia torna in libreria con un progetto narrativo che questa volta indaga la Storia contemporanea e la civiltà occidentale, oltretutto – il caso ha voluto – in un momento denso e particolarmente pregnante per ogni democrazia come quello in cui ci si accinge a votare per il rinnovo del Parlamento. Partendo dall’opera incompiuta di Goffredo Parise L’odore del sangue (1979), pubblicata postuma, l’autore ne rivisita trama e personaggi: reimmagina la vicenda traslata nel presente e si fa egli stesso interprete e protagonista, scrivendola in prima persona.
Un romanziere di discreto successo – che non a caso chiama proprio Tarabbia – giunto al traguardo della mezza età fra idiosincrasie e rivolgimenti interiori, si trasferisce a Roma mosso da un istinto indecifrabile. Stabilitosi lì, affida le sue inconfessate ansie al noto psicanalista dottor P***, con cui intraprende un percorso di cura. Recandosi agli appuntamenti, Tarabbia (o meglio, il suo alter ego finzionale) ne conosce la moglie, Silvia, cinquantenne di bella presenza, borghese, incline ad allacciare brevi flirt che la distraggano dalla noia della vita amorosa ufficiale. Il tutto con il beneplacito del marito, a sua volta coinvolto in una relazione parallela con una giovane donna, che periodicamente raggiunge nella sua dimora veneta.
Il ménage della coppia viene scosso alle radici quando Silvia incontra Marcello Croce, ventenne, bello di una bellezza quasi divina, impregnato di ideologia di destra, seducente e manipolatore, per cui perde completamente la testa. Marcello milita in un gruppo sovversivo che teorizza l’uso della violenza per scardinare i principi che reggono lo Stato, denominato il Continente bianco. Ma Marcello non seduce solo Silvia: la malìa che promana da ogni suo gesto, da ogni studiato atteggiamento, fa presa anche sul romanziere/coprotagonista che – avvicinatolo casualmente mentre si reca alle sedute presso l’abitazione del dottor P*** – inizia a frequentarlo.
Si scoperchia così agli occhi dei lettori un sottobosco di attivisti armati, picchiatori con ritardi cognitivi, nostalgici del Ventennio, politici conniventi intrisi d’ideologia di estrema destra, suprematisti bianchi deliranti, tutti inclini alla più cieca violenza nei confronti di chi è “diverso da loro”: immigrati, nomadi, senzatetto. L’obiettivo dichiarato è rivoluzionario, le cellule del movimento presenti sul territorio nazionale (con collegamenti stabili in molti altri Paesi) sono pronte ad azioni dimostrative volte a preservare la collettività dalla commistione con altri gruppi etnici e altre culture, anche attraverso il sovvertimento dell’ordine costituzionale.
Così si esprime un senatore della repubblica, fiancheggiatore occulto, in uno dei passi più intensi del romanzo:
“Il Parlamento è morto. Il Senato è morto” (qualcuno applaudì, la testa di Marcello Croce, là in prima fila, ondeggiò). “Sono luoghi morti, dove ci si alza e si prende la parola seguendo certi protocolli, aspettando pazientemente il proprio turno e discutendo, a volte per ore, su cose di nessun interesse, di nessuna urgenza. […] “Credete che in Italia, oggi, esistano così poche persone che la pensano come noi come pochi sono, in fondo, coloro che rappresentano le Camere?” […] “No signori miei, noi siamo milioni! Potenzialmente siamo milioni! Solo che non tutti coloro che appartengono, oltre che alla nostra nazione, alla nostra idea, ne sono consapevoli o hanno il coraggio di manifestarlo apertamente. Noi dobbiamo aiutare queste persone, questi patrioti sommersi, a ritrovare sé stessi e a mettersi in marcia insieme a noi. L’Italia è uno Stato democratico imposto con la forza a una nazione intimamente fascista. Tenetelo sempre bene a mente: la sconfitta del fascismo, poiché che ci sia stata una sconfitta non può essere negato, è stata militare, non politica. Il fascismo è stato eliminato a forza di legge, ma è radicato nelle famiglie italiane, nella loro natura più intima e più profonda…”.
E ancora:
“… noi siamo portatori di un ordine superiore di valori, e parlo di valori politici, naturalmente, ma soprattutto di valori spirituali, eroici; […]. Vedete, c’è qualcosa di superiore al denaro, al potere, qualcosa in funzione del quale siamo in grado di definire le cose per le quali vale davvero la pena di vivere e morire. E questo qualcosa, amici, camerati, è il sangue”.
Come in un giallo à rébours, sin dall’inizio il narratore/coprotagonista ci avverte che la relazione fra Marcello e Silvia finirà molto male, con l’assassinio della donna. Il suo efferato omicidio diventa l’occasione per ripercorrere la discesa agli inferi di quest’ultima: soggiogata psicologicamente dall’amante, Silvia si lascia brutalizzare dai membri della cellula, che ospita volontariamente nella sua prestigiosa abitazione; accetta di prostituirsi, avvinta nelle spire della relazione sempre più totalizzante con Marcello, che da tenero corteggiatore diventa carnefice, persecutore, dominatore.
Di pari passo con il coinvolgimento di Silvia, anche lo scrittore/coprotagonista rinsalda il legame col gruppo, sottoponendosi a riti di iniziazione beceri e meschini, partecipando a raid punitivi nelle periferie, arrivando addirittura a scrivere una cronaca delle attività del nucleo romano, una sorta di pamphlet per i posteri che garantisca gloria eterna alle gesta di questi nuovi legionari dell’ideologia fascista. Ma non tutto è destinato a finire come negli intendimenti dei militanti e dietro l’angolo una mano invisibile – che interviene a indirizzare il “libero arbitrio”, correggendo le storture della Storia – scompagina le previsioni e conduce a un epilogo metaforico e immaginifico, che lascia uno spiraglio di redenzione anche al lato più oscuro della famiglia umana.
La prosa è elegante e densa, fatta di dialoghi efficaci che si alternano a periodi complessi e articolati senza essere prolissi: ogni parola è necessaria a testimoniare l’abiezione dei comportamenti narrati.
Le descrizioni ambientali sono pennellate suggestive: Roma è uno scenario aderente alla realtà, ben identificato nelle sue piazze e nelle sue periferie eppure è anche un tableau vivant metafisico, soprattutto laddove Tarabbia ricostruisce il mondo sommerso degli estremismi, le cantine, i pertugi, le stazioni ferroviarie abbandonate ma anche i luoghi esterni dove gli attivisti si ritrovano a catechizzare e catechizzarsi.
Il Continente bianco è un romanzo audace, apocalittico, con molti riferimenti documentati alla letteratura di destra. L’autore sceglie di “entrare in scena” scrivendo in prima persona. Si sporca, per così dire, le mani e interpella direttamente i personaggi parto della sua fantasia; tuttavia riesce a distaccarsene, evitando toni didattici o didascalici e lasciando il lettore completamente libero di appropriarsi della vicenda e di decidere se (e da che parte) schierarsi.
Sotto questo profilo, il romanzo non è politico in senso stretto, tantomeno è moralistico o apologetico, convinto com’è l’autore che il ruolo della letteratura in fondo sia solo quello di “raccontare storie non comuni” dove odio e amore, genio e follia, bellezza e brutalità, violenza e seduzione si compenetrano vicendevolmente alla ricerca dell’intima verità e del senso ultimo degli avvenimenti.
Del resto è proprio il Tarabbia a un tempo autore e coprotagonista, riflettendo su di sé e riferendosi implicitamente ai suoi precedenti romanzi – rispettivamente Il demone a Beslan (2011, nuova edizione 2021), Il giardino delle mosche (2015, finalista Campiello e Premio Selezione Campiello 2016), Madrigale senza suono (2019, Premio Campiello) – ad ammettere candidamente, nelle pagine iniziali: “… io non ho mai raccontato storie comuni: ho sempre voluto fare i conti con terroristi sulla via di redenzione, cannibali dall’aria scialba, musicisti folli e arroganti amanti delle glosse …”.
E ribadisce il concetto sul finale, mentre si confronta con il suo personaggio:
“Ogni volta che scrivi una storia, un uomo uccide la donna che ama” disse Marcello Croce, interrompendo il corso dei miei pensieri, o forse il mio racconto.
“Cosa?” domandai.
“[…] … è quello che succede nella realtà dei fatti: per quanto tu la rifugga, è così”.
Il libro in una citazione
«“È questo che ci insegna la Storia: non si può salvare il mondo senza commettere almeno un sacrificio – e in questo, in questo soltanto, forse (ma è molto, moltissimo!), io e te siamo uguali.”
“Non capisco.”
[…]
“Vedi, tutti pensano che quello in cui noi crediamo sia intriso di odio e di violenza: e ci sono, ci sono entrambi, non lo nego – … – però non c’è solo questo, e non c’è soltanto distruzione: c’è amore, anche, e c’è bellezza; il fascismo è una forma d’amore, l’avresti mai detto? Non solo: è una delle forme più pure dell’amore, perché traccia dei confini, dice di un’appartenenza a una comunità, costruisce un nido e vi accoglie tutti coloro che si somigliano. Che cosa c’è di più bello e di più grande e di più familiare e nostro di tutto questo?”.»
4 settembre 2022
© RIPRODUZIONE RISERVATA