La struttura dell’iki
Autore: Kuki Shūzō
Curatrice: Giovanna Baccini
Editore: Adelphi
Anno edizione: 2022 (Gli Adelphi)
Anno prima edizione: 1930 (Giappone)
Genere: Filosofia
Pagine: 178
Note: Saggio di Giovanna Baccini. Inserti a colori.
Consigliato a chi vuole avvicinarsi alla cultura giapponese classica partendo da argomenti un po’ piccanti.
di Enzo Palladini
Iki, basta la parola. Comprendere il concetto che sta dietro questo termine è una spinta sufficiente per immergersi con voluttà nella lettura de La struttura dell’iki, saggio che si ripropone di dare una spiegazione all’attrazione che una persona esercita sulle altre di sesso opposto. Nel caso specifico, essendo Kuki Shūzō un uomo (con una lunga carriera di avventure sentimentali) l’iki analizzato è quello che appartiene alle donne.
La struttura dell’iki si sofferma su tre momenti principali: la seduzione, l’energia spirituale e la rinuncia. Il suo gradino inferiore si chiama johin – che possiamo rendere con “distinzione” – quello degenerato si chiama gehin, che può significare “goffaggine”.
L’iki è una forma di seduzione spiritualizzata, ma soprattutto è un termine intraducibile nelle lingue occidentali, perché presuppone concetti esistenti solo nella cultura giapponese classica. Per un giapponese iki è l’aspetto di colei che esce dall’acqua del bagno, coperta da un accappatoio di seta. Iki è un trucco leggerissimo sul viso, ma pure l’esibizione dell’attaccatura dei capelli e di una parte del collo. Ma anche le arti possono essere iki, soprattutto le decorative, l’architettura e la musica.
Kuki Shūzō considera le geishe le sacerdotesse dell’iki. Qui ovviamente occorre una specifica: noi europei siamo abituati ad associare il termine geisha a quello di “prostituta”, ma è un accostamento semplicistico. Le geishe, come si legge nell’interessantissimo regesto che si trova alla fine del libro, inizialmente erano “persone dotate di un particolare talento artistico”, soprattutto nel campo della musica. Donne di cultura che si dedicavano all’intrattenimento e che solo in alcuni casi iniziarono a praticare l’arte – perché in Giappone viene considerata una vera e propria arte – della prostituzione. Ma a differenza delle normali “professioniste del piacere”, le geishe si riservavano la facoltà di scelta del cliente con cui trascorrere il proprio tempo. Sono tutti questi concetti a rendere intraducibile e non importabile l’idea di iki nelle culture occidentali.
Nel capitolo delle conclusioni, l’autore afferma che in Europa i rapporti sessuali fuori dalle regole sono da sempre condannati all’inferno sotto la spinta del Cristianesimo. La cultura giapponese può invece permettersi di spostare il concetto di eroismo dal sesso maschile a quello femminile, sempre restando entro certi limiti.
Ogni pagina è una scoperta, anche se occorre una lettura attenta per non perdere di vista i termini mutuati dalla lingua giapponese. Un raffinato intreccio tra erotismo e filosofia, che tocca i tasti dell’arte e della spiritualità.
Molto affascinante è anche la vita dell’autore Kuki Shūzō, nato nel 1888 e protagonista di una lunga permanenza in Europa durante gli anni Venti del ventesimo secolo, con incontri esaltanti all’interno del panorama filosofico, amicizie importanti con personaggi come Heidegger, Löwith, Bergson, Herrigel e Sartre. Ma anche con un discreto numero di signore del panorama parigino. Nel 1930 decise di fare ritorno in Giappone, esattamente a Kyōto, per insegnare filosofia. Morì il 6 maggio 1941, poco dopo aver dedicato due brevi ma sentitissimi scritti alla morte di due persone alle quali aveva voluto estremamente bene: Henri Bergson e Keiko Iwashita.
Il libro in una citazione
«Ciò che conta della seduzione è il progressivo ridurre della distanza entro i limiti del possibile senza abolire la differenza che crea lo scarto.»
17 agosto 2022
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