di Elisa Vuaran
Dio di illusioni
Autrice: Donna Tartt
Editore: Rizzoli
Traduttrice: Idolina Landolfi
Anno edizione: 2018 (BUR Contemporanea)
Anno prima edizione: 1992 (Usa)
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 622
Consigliato a chi studia o ha studiato i classici greci e latini, e a chi non ha paura di sprofondare nelle zone più fosche della psiche umana.
Bunny giace morto in fondo a un burrone, a causa di quello che sarebbe dovuto sembrare un perfetto, banale incidente durante un’escursione. Ma come ci è finito davvero?
Richard, ventenne non troppo brillante, nato in una famiglia non particolarmente benestante né comprensiva, prova a dare una (ennesima) svolta alla sua vita cambiando per la terza volta corso di studi e traslocando, contro il parere del padre, dalla California in un piccolo college del freddo Vermont, dove realizza il suo desiderio di studiare il greco antico sotto la guida di un bizzarro e affascinante professore-esteta.
I suoi eccentrici, ricchissimi e annoiati compagni si sono lasciati prendere un po’ troppo la mano nel corso dei loro invasati rituali dionisiaci e lo hanno coinvolto, senza che lui nemmeno riuscisse a rendersene conto, in un crimine di cui devono condividere l’angosciante responsabilità.
Raccontato in prima persona dall’insicuro Richard, Dio di illusioni è il romanzo d’esordio di Donna Tartt, vincitrice del premio Pulitzer per il successivo bestseller Il cardellino. Analogamente al narratore, anche l’autrice ha scelto di cambiare i suoi piani universitari per trasferirsi negli anni Novanta del secolo scorso in un college del Vermont, dove, nel corso della sua frequenza, ha trasferito su carta il clima e le situazioni vissute direttamente sulla propria pelle.
Richard parla sì in prima persona, ma, coinvolto solo parzialmente nei fatti, è ben lontano dall’essere un narratore onnisciente e il suo stesso resoconto sembra piuttosto un tentativo di comprendere meglio l’accaduto e le proprie sensazioni. Sono invece le atmosfere le vere protagoniste del romanzo, capostipite del genere dark academia proprio in virtù della rievocazione di un ambiente colto, frequentato da giovani alteri e avvolto da una impenetrabile foschia.
Più dei personaggi, sconvolge il carattere tossico della loro amicizia; più della specifica trama, resta impressa la percezione di inquietudine che permea tutto il suo districarsi e spinge perfino chi legge a sentirsi colpevole; più delle particolari vicende, colpiscono i dettagli sullo sfondo: i cappotti neri, la neve gelida, le stanze affrescate, i bicchieri rotti, le confuse e nauseanti percezioni di una notte di ubriachezza e droghe, l’alterarsi dello scorrere del tempo in relazione agli stati della coscienza.
La vicenda centrale della storia è già nota fin dal prologo: ciò che conta non è il fatto in sé, quanto l’esplorazione delle variazioni negli stati d’animo che accompagnano il narratore prima e dopo l’evento, tra sensazione del sublime, follia, spaesamento e senso di colpa.
Costellato di citazioni classiche e di rimandi alla cultura americana, il testo contiene anche un esplicito riferimento a Delitto e castigo, con cui si intuisce subito una grande affinità per i temi trattati e l’impronta angosciosa e introspettiva: ciò che si coglie è che siamo – seppur separati nel tempo e nello spazio – tutti, davvero, terribilmente umani.
Il libro in una citazione
«”La morte è la madre della bellezza” disse Henry.
“E cos’è la bellezza?”
“Terrore.”
“Ben detto!” esclamò Julian. “La bellezza è raramente dolce o consolatoria. Quasi l’opposto. La vera bellezza è sempre un po’ inquietante.”
Guardai Camilla, il suo volto risplendente al sole, e pensai a quel verso dell’Iliade che amo tanto, su Pallade Atene e i suoi terribili occhi sfavillanti.
“E se bellezza è terrore,” proseguì Julian, “cos’è allora il desiderio? Riteniamo di avere molti desideri, ma di fatto ne abbiamo soltanto uno. Qual è?”
“Vivere” rispose Camilla.
“Vivere per sempre” aggiunse Bunny, col mento sul palmo della mano.»
31 marzo 2022
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