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Home » DAN CHAON INDAGA LA VOLONTÀ DEL MALE CON UN CRIME SOCIOLOGICO

DAN CHAON INDAGA LA VOLONTÀ DEL MALE CON UN CRIME SOCIOLOGICO

La copertina del libro "La volontà del male" di Dan Chaon (NN Editore)

La volontà del male
Autore: Dan Chaon
Traduzione: Silvia Castoldi
Editore: NN Editore
Anno edizione: 2019
Anno prima edizione: 2017 (Usa)
Genere: Gialli & Noir
Pagine: 478

Consigliato a chi ha l’audacia di affrontare a viso aperto il lato oscuro che alberga nel proprio cuore e in quello di chi lo circonda.

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di Sabrina Colombo

Cleveland, Ohio. Dustin Tillman è uno psicologo che ha studiato a fondo il fenomeno delle sette religiose e degli abusi rituali satanici.

Nel passato del protagonista c’è un episodio drammatico, finito in cronaca nera: la sua famiglia – madre, padre e zii – è stata sterminata dal fratello adottivo di Dustin, Russell Bikers detto Rusty.

Rusty è stato condannato all’ergastolo proprio grazie alla testimonianza di Dustin e a quella della cugina Kate. Solo Waverly, gemella di Kate, non ha avvalorato la tesi dei due ragazzi – subito fatta propria dalla procura – circa la colpevolezza di Rusty: la sua ricostruzione degli eventi, tuttavia, è stata giudicata frammentaria e lacunosa, viziata dallo stato di shock in cui la ragazzina si è rinchiusa nell’immediatezza dei fatti e pertanto non le è stato dato nessun credito.

Del resto, il profilo psicologico del giovane Bikers ne faceva un perfetto colpevole: orfano di padre sconosciuto e di madre tossicodipendente, dedita alla prostituzione e suicida in carcere, viene affidato dai servizi sociali a una coppia, misteriosamente deceduta, poco dopo l’ingresso del ragazzo in famiglia, nel corso di un incendio doloso i cui responsabili non verranno mai individuati.

Rusty, accolto dai Tillman, è un adolescente schivo e ombroso: affascinato dall’occulto, se ne va a zonzo senza combinare nulla, disegnando pentacoli, inneggiando al demonio e mettendo in scena rituali macabri che terrorizzano il fratellino, emotivo e impressionabile per naturale inclinazione.

“Dustin… da tempo aveva l’abitudine di perdersi in ellissi, di annaspare in silenzi sempre più lunghi alla ricerca della parola giusta, senza trovarla. Distratto, continuamente distratto, forse al punto che qualcosa non andava nel suo cervello.”

Dopo circa trent’anni, grazie a un’associazione che si batte contro gli errori giudiziari, il caso viene riaperto e Rusty completamente scagionato. Uscito di prigione, il timore che voglia ripresentarsi alla porta dei famigliari e chiedere conto delle ingiuste accuse, mossegli da Kate e Dustin nel corso del processo, è più che fondato.

Nel frattempo Dustin, da poco rimasto vedovo e alle prese con due figli problematici, viene coinvolto in un’indagine condotta da Aqil Ozorowski, ex poliziotto congedato per questioni disciplinari. Aqil sta investigando su una lunga serie di sparizioni di giovani studenti bianchi, trovati morti in corsi d’acqua non distanti dal luogo dell’ultimo avvistamento. Molti di questi casi hanno in comune diversi elementi che fanno supporre l’esistenza di un rituale nella loro preparazione e successiva esecuzione: c’è un serial killer, individuale o collettivo, a piede libero?

Quando anche uno dei figli di Dustin sparirà, senza lasciare traccia, il passato e il presente, il dramma personale sepolto nell’infanzia e quello delle famiglie dei giovani misteriosamente spariti si intrecceranno, fino a condurre il protagonista a un finale drammatico e multiforme.

Il romanzo si apre nel 1978 e termina nel 2014, snodandosi su due distinti piani temporali che si sovrappongono a più riprese: gli anni Ottanta, quando la famiglia Tillman viene sterminata, e gli anni Duemila, quando Dustin ormai adulto affronta i traumi infantili e le difficoltà del ruolo di padre e di vedovo. Anche l’io narrante è mutevole: il narratore esterno a tratti lascia spazio all’utilizzo della prima o della seconda persona singolare, dando vita a un racconto corale, emotivo ed efficace.

Dustin sembra parlare con il lettore che funge da interlocutore più che da semplice spettatore del suo dramma:

“Ti senti osservato. Quella sensazione fisica, scopaesthesia, si chiama: il formicolio sulla nuca quando hai l’impressione che qualcuno che non riesci a vedere ti stia guardando. Spesso viene descritta come una sensazione spiacevole, uno zampettare di insetti millepiedi”.

E ancora:

“Esiste una parte del nostro cervello, l’amigdala, che sa cose che noi non sappiamo, ma non è capace di esprimersi a parole. Però è in grado di riconoscere il pericolo, ed è questo che provai quando vidi la faccia di Rusty”.

La scrittura è asciutta, incalzante, con numerose pause, omissioni della punteggiatura, ellissi e interruzioni improvvise dei periodi (vere e proprie cesure soprattutto del discorso diretto) volte a dare enfasi al flusso di pensieri che attraversa il protagonista, dilaniandolo, lasciandolo disorientato, attonito di fronte alla lenta presa di coscienza della profondità della tragedia che sta vivendo.

La volontà del male è un crime complesso, con frequenti richiami alla psicologia, alle neuroscienze e all’esoterismo ed è un affresco a tinte noir della provincia americana – l’Ohio, il Nebraska e il Colorado – quella dei bianchi poveri e senza prospettive reali di emancipazione dalle proprie miserie materiali, culturali ed esistenziali.

In questo senso travalica il genere thriller e i suoi limiti, grazie alla prospettiva sociologica con cui Dan Chaon tenta di dare un senso al fenomeno delle sette, dell’adescamento e della manipolazione delle menti fragili attraverso l’uso di droghe che – a partire dagli anni Sessanta e Settanta – ha fatto da filo conduttore di diversi episodi di cronaca negli Stati Uniti, e non solo, e da cui sono scaturiti studi e ricostruzioni giornalistiche, talvolta discutibili nelle premesse e controverse nei risultati.

È infine un racconto allucinato e senza redenzione sulle conseguenze del male come scelta di vita, sulla molteplicità delle interpretazioni che possono essere fornite del medesimo fatto storico e – in ultima analisi – sull’imperscrutabilità dell’abisso che abita le coscienze quando non vengono illuminate dalla luce salvifica dell’amore.

Il libro in una citazione
«“Raccontiamo continuamente una storia a noi stessi, su noi stessi” aggiungeva. A volte faceva un gesto che sembrava quasi un tocco, anche se in realtà di rado la sua pelle arrivava a contatto con quella del paziente. “Ma possiamo controllare queste storie” proseguiva. “Ne sono convinto! Gli eventi della nostra vita hanno un senso perché siamo noi che scegliamo di darglielo.” »

17 gennaio 2022
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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