di Sonia Vaccaro
L’intrigo Spallanzani
Autore: Paolo Mazzarello
Editore: Bollati Boringhieri
Anno edizione: 2021
Genere: Storia
Pagine: 346
Consigliato a lettori avidi di conoscenza.
Nel racconto L’uomo della sabbia dello scrittore romantico tedesco E.T.A. Hoffmann il giovane protagonista Nathanael viene sedotto da una bambola meccanica costruita dal diabolico scienziato di origini italiane Spalanzani. Benché il ruolo che questo personaggio riveste nell’Uomo della sabbia sia forse il più evidente, il testo che Hoffmann pubblicò nel 1816 nella raccolta Racconti notturni non è di certo l’unico che lo tira in ballo.
All’abate Lazzaro Spallanzani – proprio lo stesso che Hoffmann privò di una elle e che dà il nome all’Istituto nazionale per le malattie infettive di Roma – non resistette neppure Victor Hugo, padre del romanticismo francese, che fa leggere gli scritti del naturalista emiliano al protagonista dell’Ultimo giorno di un condannato a morte, romanzo storico e sociale del 1829.
Il motivo per cui Spallanzani abbia goduto di tanta risonanza letteraria – cui, a quanto pare, nemmeno Carlo Goldoni riuscì a sottrarsi – ci risulterà facilmente comprensibile se leggiamo L’intrigo Spallanzani, che a ragion veduta il suo stesso autore Paolo Mazzarello definisce “saggio narrativo”.
Docente universitario di Storia della medicina nonché direttore del Museo di storia naturale di Pavia, che proprio Spallanzani fondò nel 1771 con il sostegno di Maria Teresa d’Austria, Mazzarello è impegnato nello studio del singolare abate da circa un ventennio, tant’è che L’intrigo Spallanzani è un’edizione riveduta e ampliata di Costantinopoli 1786: la congiura e la beffa, volume pubblicato sempre da Bollati Boringhieri nel 2004, che fu recensito anche dalla prestigiosa rivista britannica Nature.
Questa nuova e corposa edizione dipinge un ritratto a tinte forti di Spallanzani, facendo luce sulla sua attività scientifica, carriera accademica e vita fuori dal comune, senza dimenticare il suo essere uomo del proprio tempo.
Nato a Scandiano nel 1729, Spallanzani fu uno dei principali fondatori della biologia sperimentale e della fisiologia. Seguace del metodo galileano, era interessato a indagare il mistero profondo della vita attraverso le molteplici vie della scienza, andando così a esplorarne i confini filosofici. Studiò la rigenerazione del corpo osservando la ricrescita delle teste di lumaca dopo la decapitazione e suscitò curiosità ed emulazione in tutta Europa. Analizzò il fenomeno della “resurrezione” – così la chiamava pur essendo un uomo di chiesa – dei rotiferi e dei terdigradi, minuscoli animaletti che ripristinano il loro stato vitale primigeneo dopo un’opportuna reidratazione benché paiano privi di vita quando vengono lasciati essiccare. E, chiedendosi dove potesse andare a finire nel frattempo la loro anima, Spallanzani interpellò un evidentemente sorpreso Voltaire, il quale non poté esimersi dal rispondergli che “quando un uomo come voi ci annunzia che ha risuscitato dei morti bisogna credergli”. Portò a termine i primi esperimenti di fecondazione artificiale, facendo indossare delle coulotte di vescica animale a malcapitati rospi per recuperarne lo sperma e dimostrare che la vita può nascere solo dalla vita e non da una misteriosa “aura spermatica”, come si credeva a quei tempi. Studiò la digestione – ingerendo egli stesso borsette di tela contenenti pane o carne masticata e tubetti di legno perforati e incomprimibili, riempiti di sostanze alimentari – e scoprì il succo gastrico, smentendo la convinzione che il processo avvenisse mediante triturazione meccanica.
Questi sono forse gli argomenti di ricerca più noti di Spallanzani, ma non sono sicuramente gli unici. Per lui ogni occasione era buona per un’acquisizione scientifica originale e la vita stessa si trasformava continuamente in metodo sperimentale. Soffriva di lussuria della conoscenza e, dotato di una mente sempre pronta a penetrare e sezionare, era quanto di meglio si potesse avvicinare al fanatismo scientifico.
Il desiderio di svelare i segreti della natura senza porsi alcun limite lo rendeva uno studioso fuori dal comune, venerato come un mago della sperimentazione dagli studenti e da molti addetti ai lavori, ma invidiato da quei colleghi dell’Università di Pavia che non si riconoscevano nel suo metodo, mal sopportavano il suo carattere imperioso e di certo non condividevano i lauti compensi a lui corrisposti dall’ateneo.
Ed è così che al botanico Giovanni Antonio Scopoli, al matematico Gregorio Fontana, all’anatomista Antonio Scarpa e al naturalista Giovanni Serafino Volta non poté presentarsi miglior occasione da sfruttare quando, il 22 agosto 1785, Spallanzani partì alla volta di Costantinopoli al seguito del bailo Girolamo Zulian per arricchire di nuovi esemplari la collezione del Museo di storia naturale di cui era prefetto. Mentre lui analizzava qualsivoglia fenomeno e specie vivente capitasse sul suo cammino e non mancava di dispensarsi in penetranti osservazioni di carattere antropologico sulle popolazioni con cui entrava in contatto, i quattro ordirono una vera e propria congiura a suo carico.
Il 2 settembre 1786 Volta, ambizioso assistente che prima della partenza Spallanzani stesso aveva proposto come suo sostituto nella direzione del museo e alla cattedra di Storia naturale, si presentò alla porta della casa di famiglia a Scandiano come “un cavaliere fiorentino”. La sorella di Spallanzani, Marianna, esaudì la sua richiesta di visitare il gabinetto del professore, dove erano custoditi diversi esemplari naturalistici. Passarono ben pochi giorni e a Spallanzani venne mossa la tremenda accusa di aver indebitamente sottratto diversi reperti dal museo di Pavia per impinguare la sua collezione privata.
Il più agguerrito dei quattro cospiratori era Scopoli, che arrivò a diffondere in tutta Europa una lettera circolare per vendicarsi di chi a sua volta, tempo addietro, lo aveva ingiustamente accusato di furto e si macchiava ora della stessa colpa infamante.
Ritornato in Italia, Spallanzani fu così preso dal preparare la memoria difensiva da dover rimandare la stesura del resoconto del suo viaggio scientifico a Costantinopoli. Il verdetto finale su quello che probabilmente fu il più grande scandalo accademico dell’epoca spettò nell’estate 1787 all’imperatore Giuseppe II d’Austria e a rimetterci furono proprio coloro che lo fecero scoppiare. Quando ciò accadde, forse Spallanzani ancora non immaginava che avrebbe avuto un’ulteriore occasione per rincarare la sua vittoria morale.
Qualche tempo prima, nel 1785, di certo Scopoli non credette ai suoi occhi quando si vide recapitare un misterioso verme immerso nello spirito di vino. A quanto gli raccontarono, lo sconosciuto esemplare si era generato nelle viscere di una donna piemontese ed era stato rimesso poche ore prima del parto. Scopoli fu così colpito da questo verme con la bocca aperta e due singolari tubi divergenti al punto di chiamarlo Physis intestinalis e darne notizia con tanto di illustrazione nel primo fascicolo delle Deliciae florae et faunae Insubricae, che venne pubblicato all’inizio del 1786. Peccato però che nel giro di qualche mese si scoprì che la nuova specie fosse in realtà qualcosa di ben poco sconosciuto alle massaie. Inutile dire che fu la fine della credibilità di Scopoli, sempre criticato da Spallanzani per essere un linneano convinto, “che tendeva a ridurre la storia naturale a classificazione universale degli esseri, così che il momento supremo del naturalista consisteva nel nomenclare”, mentre per lui il centro degli interessi doveva essere costituito dall’insieme complesso della vita animale. In altre parole, secondo Spallanzani, la vita non andava semplicemente catalogata nei musei ma osservata direttamente, studiata in vivo.
Alla divulgazione del madornale errore di Scopoli contribuì sicuramente un non meglio identificato – ma facilmente identificabile – Dottor Francesco Lombardini, bolognese, che scrisse Lettere Due al Signor Dottore Gio. Antonio Scopoli, libelli pubblicati nel 1788 nella misteriosa città di Zoopoli. Chissà per quale strano caso questi giunsero anche a Carlo Goldoni e molto probabilmente divennero fonte d’ispirazione per una commedia sull’affaire Spallanzani. Il falso originale, opera uscita postuma che venne presto ritirata, sembra infatti filologicamente attribuibile al commediografo veneziano.
Una commedia nella commedia, verrebbe da dire. Se non fosse che in questa incredibile vicenda si scorgono anche elementi di tragedia poiché Scopoli morì di crepacuore e alcuni sospettano addirittura che lo spiacevole caso del verme della discordia sia stato architettato da Spallanzani stesso.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, quello di Mazzarello non è un libro riservato a scienziati o appassionati di storia della medicina, anzi. Se qualcosa di scientifico il testo rivela subito è il metodo con cui è stato scritto, che lo rende inaspettatamente godibile e gli consente così di offrire a tutti la possibilità di avvicinarsi a uno spaccato di storia del Settecento. Da una formidabile impalcatura di fonti – selezionate con piglio accademico e citate nelle ben quaranta pagine di note che corredano l’opera – Mazzarello trae la materia grezza che poi plasma con la sapienza di un navigato giallista storico, agendo adeguatamente sulla struttura temporale, e quella di un esperto scrittore di viaggi avventurosi, elaborando descrizioni talmente vivide da trasmettere la meraviglia percepita dallo sguardo avido di conoscenza del naturalista. Sarà dunque molto probabile che nei lettori nasca il desiderio di recarsi a visitare le stanze del Museo di storia naturale di Pavia che ospitano molti reperti dei suoi numerosi viaggi scientifici e delle sue ricerche sperimentali.
Stilisticamente L’intrigo Spallanzani è un romanzo che s’innerva sulla forza della citazione opportuna, quella che riesce a immergere chi legge nella mentalità dell’epoca e non risulta faticosa nel procedere del testo. Mentre leggiamo, immaginiamo l’emozione dell’autore nel selezionare i passaggi più significativi dagli scritti del naturalista e dei suoi avversari che, nella loro eccezionalità, si rivelarono comunque uomini con i limiti imposti dalle loro ingombranti personalità. Mazzarello non inventa nulla, restituisce tutto egregiamente.
Il libro in una citazione
«[…] la ricerca sperimentale diventava un’esperienza spirituale quasi mistica, in grado di nutrire l’amore sempre inappagato della conoscenza, l’autentica passione della ragione.
[…] Non vi era dunque momento della vita che non potesse svelare qualche segreto e rivelare qualche nascosta verità.»
10 dicembre 2021
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