di Marta Peroni
Le figlie del dragone. Storia di una donna di conforto
Autore: William Andrews
Editore: Beat
Traduttrice: Chiara Brovelli
Genere: Romanzo storico
Anno edizione: 2020
Anno prima edizione: 2014 (Usa)
Pagine: 304
Consigliato a chi ha voglia di scoprire una pagina di Storia quasi sconosciuta, per non dimenticare tutte quelle ragazze costrette a diventare “donne di conforto”.
“Ho un nome palindromo.” È così che si presenta Anna, la ventenne protagonista del romanzo Le figlie del dragone, che è nata in Corea ed è stata adottata da una coppia di americani quando aveva solo cinque mesi. Anna ha la percezione di essere divisa in due: da un lato è l’americana che vive felice con i suoi genitori adottivi e che talvolta deve subire l’ignoranza della gente per la sua “diversità”, dall’altro è la coreana totalmente ignara delle proprie origini. Quando la madre adottiva muore e suo padre sembra perdersi in una non-esistenza fatta di silenzio e desolazione, Anna decide di tornare in Corea per riempire un vuoto che ha sempre avuto, per conoscere l’altro lato di sé, la sua storia.
Si ritrova così in una sala di un orfanotrofio di Seoul. Con il padre adottivo e stringendo tra le mani un album dei ricordi, attende di conoscere la madre biologica, ma ben presto viene profondamente turbata da una terribile scoperta: la sua “vera” madre è morta nel darla alla luce.
Sconvolta, Anna corre fuori dall’edificio e s’imbatte in un’anziana signora con i capelli grigi raccolti in una grossa treccia, che le consegna un pacchettino e le chiede di non mostrarne a nessuno il contenuto. Insieme all’oggetto c’è anche un indirizzo: se vuole conoscere la sua storia, Anna dovrà recarsi da sola nel luogo indicato.
La curiosità spinge Anna ad aprire l’involucro prima di arrivare in albergo. Al suo interno trova un prezioso pettine, in cui è intagliato un drago a due teste. Un monile d’oro massiccio che brilla nella sua mano. Qual è il significato di un simile oggetto? E perché l’anziana lo ha donato proprio a lei, invitandola a tenerlo celato allo sguardo altrui?
Il giorno seguente la ragazza si reca nel luogo corrispondente all’indirizzo e si ritrova in un quartiere piuttosto malfamato, una sorta di ghetto, dove incontra di nuovo l’anziana. Anna ne ascolta la lunga storia: un racconto di dolore, perdita, vergogna, ma anche di coraggio, rinascita, speranza e… famiglia. La storia di una vita strettamente connessa con quella di Anna. Sì, perché Hong Jae-hee – così si chiama la donna – è sua nonna materna.
Grazie alla narrazione di Jae-hee, che d’ora in avanti diventa la vera protagonista del romanzo, il lettore può fare un vero e proprio viaggio nel passato, scoprendo una pagina di Storia profondamente dolorosa e di cui ancora oggi si parla troppo poco. Nel 1943, quando Jae-hee era solo una ragazzina di quattordici anni e viveva in un villaggio della Corea del Nord con sua madre e sua sorella Soo-hee, fu obbligata dagli invasori giapponesi ad andare a lavorare con la sorella in una fabbrica di stivali, inconsapevole di trovarsi di fronte a un inganno. La realtà si rivelò infatti ben diversa da quella che le due ragazze si aspettavano: per loro iniziò un lungo percorso verso l’inferno. Jae-hee e Soo-hee, insieme a numerose altre giovani, furono costrette a diventare ianfu, ovvero donne di conforto. Prima fu rubato loro il nome poiché era proibito parlare la lingua coreana e poi vennero rinchiuse in celle quasi prive di luce nelle cosiddette case o stazioni di conforto in Manciuria, dove erano obbligate a soddisfare i piaceri dei soldati giapponesi. Abusavano dei loro corpi anche trenta o quaranta uomini al giorno, che di sovente le percuotevano con ferocia, incuranti delle loro emozioni, della paura, del dolore, delle malattie veneree, della possibilità di metterle incinte. Se quest’ultimo caso si verificava, la scelta era solo una: l’aborto, con metodi molto primitivi che rischiavano spesso di far morire la malcapitata.
L’aspetto interessante de Le figlie del dragone sta nel fatto che non si limita a narrare queste terribili vicende, ma permette al lettore di scoprire anche quello che accadde dopo la liberazione. Dilaniate dal senso di vergogna e dall’umiliazione, queste ragazze non trovarono pace neppure in patria, dove molto spesso vennero addirittura accusate di tradimento. Nel narrare la loro vita, il romanzo ripercorre anche la Storia della Corea: dalle ripercussioni della guerra fredda con l’intromissione di Stati Uniti e Unione Sovietica al conflitto tra Nord e Sud, dalla fede pulsante nel comunismo – sfociata però in fragili illusioni e delusioni nonché in vere e proprie violenze – ai nostri giorni, in un finale che commuove.
Le figlie del dragone, primo titolo della serie The Dragon, è un romanzo storico, che mostra grande cura e rispetto per le fonti. Ne risulta un sentito e bellissimo omaggio a queste donne, che sono state dimenticate per troppo tempo e che oggi più che mai vogliono ottenere vere scuse e un giusto risarcimento morale da parte del Giappone, che dovrebbe ammettere quanto realmente accaduto e a lungo negato: l’aver lacerato la loro giovinezza e dignità, e in molti casi anche la loro vita.
La storia della Corea s’intreccia a quella delle donne della famiglia biologica di Anna proprio attraverso quel pettine col drago a due teste che lei riceve in dono da sua nonna la prima volta che la incontra e che custodisce un mistero tutto da scoprire.
Nel raccontarcelo, William Andrews fa ampio uso di frasi brevi e il testo risulta così molto scorrevole. Le scene di violenza fisica e psicologica però non sono edulcorate, quindi possono destabilizzare le persone più sensibili a certi argomenti.
Non di sola violenza leggerete. Sfoglierete anche pagine intrise d’amore e legami famigliari. Profondo e toccante è soprattutto il rapporto tra le due sorelle Jae-hee e Soo-hee. Indimenticabile è anche la determinazione di una giovane donna che, schiacciata dalla brutalità dell’uomo, tenta di rinascere con le sue forze e il suo coraggio.
Non possiamo esimerci dal dire che nel corso della lettura è molto probabile si abbia la percezione di leggere una voce maschile, americana, che pur amando profondamente la cultura orientale, non può forse renderne appieno la sensibilità e trasmettere la vera voce delle tante donne asiatiche che hanno subito una tale violenza.
Quel che è certo è che si tratta di un romanzo che emoziona, che provoca rabbia per le ingiustizie subite da ragazze anche giovanissime, per mano non solo dei giapponesi ma anche dei coreani. Viene trasmesso alla perfezione il senso di incomprensione e l’aggressività contro donne ingiustamente ritenute “troppo disponibili” verso i nemici. Tangibili sono anche la vergogna e l’umiliazione di Jae-hee, le medesime drammatiche sensazioni che provano le donne vittime di violenza in qualsiasi epoca. Le figlie del dragone apre la nostra mente su una pagina di Storia che fortunatamente inizia a catalizzare l’attenzione che merita anche nel nostro Paese, dove recentemente sono stati pubblicati diversi titoli sul tema, tra i quali ricordiamo Storia della nostra scomparsa di Jing-Jing Lee, Figlie del mare di Mary Lynn Bracht e il graphic novel Le Malerbe di Keum Suk Gendry-Kim.
La lettura del libro di Andrews è un invito ad approfondire per non dimenticare ciò che è stato.
28 maggio 2021
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