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Home » “LA SIGNORINA CROVATO”, IL CORAGGIO DI UNA BAMBINA D’ALTRI TEMPI

“LA SIGNORINA CROVATO”, IL CORAGGIO DI UNA BAMBINA D’ALTRI TEMPI

La copertina del libro "La signorina Crovato" di Luciana Boccardi (Fazi Editore)

La signorina Crovato
Autrice: Luciana Boccardi
Editore: Fazi
Anno edizione: 2021
Genere: Moderna e contemporanea
Pagine: 340

Consigliato a chi ama i memoir e le saghe famigliari.

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di Sabrina Colombo

Luciana Crovato alias Boccardi, decana del giornalismo e storica della moda e del costume, ci regala con questo delizioso romanzo – primo di una trilogia, secondo quanto ha dichiarato in diverse interviste – la sua autobiografia fino ai 18 anni.

Figlia di due musicisti diplomati al Conservatorio, nipote del famoso tenore Gianni Masin Crovato, Luciana nasce a Venezia nel 1932 in un contesto famigliare colto ma povero. Il padre Raoul, clarinettista, antifascista e anticlericale, viene estromesso dai circuiti musicali a causa dell’adesione al bolscevismo:

“Al di sopra di ogni valore, per tutta la vita, Raoul tenne fede al suo credo politico e alla sua formazione libera, atea, che si confermò anche in punto di morte, con il rifiuto di qualsiasi suggestione religiosa”.

E ancora:

“Sulla definizione di antifascisti veri e antifascisti di comodo papà insisteva sempre molto, nelle pagine del suo dossier. Per lui solo i comunisti (e a stento i socialisti) erano i veri nemici di Mussolini. Quanto a Dio, l’unico che aveva era Stalin, ‘guida sicura, intelligente, indispensabile al mondo per tornare alla normalità’. Non poteva immaginare di quali crimini si stesse macchiando anche quel dio”.

Vittima di un incendio che lo lascia sfigurato e cieco, Raoul sarà il punto di riferimento della protagonista, affascinata dalla sua cultura non meno che dalle sue idee atee e profondamente libertarie.

Luciana conosce sin da piccola le privazioni, economiche ma anche affettive. Viene allontanata e mandata a vivere in campagna per un lungo periodo, mentre la madre assiste il marito in ospedale.

Raoul rischia a più riprese di morire e affronta una convalescenza impegnativa, che lo lascia stremato nell’animo, deturpato nel fisico e inabile al lavoro: le sue disavventure lo condurranno a uno stato di prostrazione che sfocerà nell’alcolismo e nella depressione.

In questo contesto di difficoltà e di separazione, la bimba impara a essere indipendente e a contare solo sulle proprie energie e capacità:

“Fu allora, forse, che cominciai a adottare quella tecnica che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. Funziona un po’ come nel judo: se tu vuoi spingermi, io mi lascerò cadere prima che tu te ne accorga, così ti destabilizzerò e potrò decidere come difendermi. Tu mi abbandoni? Allora sono io che non ti voglio, e non ti voglio più per davvero. Sì, forse è cominciata così”.

Cresce forte, brillante, generosa, ottimista e assertiva, pronta ad adattarsi a svolgere mille piccoli lavoretti e a contribuire con impegno sincero alle necessità del clan famigliare, fino a quando approderà alla grande occasione di un impiego sicuro presso un’istituzione prestigiosa.

Intanto, intorno a lei sale come una marea mefitica lo spettro del fascismo: sono gli anni della guerra, della perdita delle illusioni patriottiche, della fuga delle camicie nere della prima ora, capaci di reinventarsi quando inizia a soffiare il vento della sconfitta; sono anche gli anni della Resistenza, della Decima Mas e delle violenze dei repubblichini, ultimi illusi propugnatori di un sistema di valori nefasto che ha mostrato tutti i propri limiti e che è destinato a essere sconfessato.

In questo suo primo romanzo Luciana Boccardi racconta con dovizia di particolari l’infanzia e la giovinezza, tra l’entroterra padovano e le calli di una Venezia affascinante anche nell’ora più buia della guerra.

Con una lingua ricca ma mai ampollosa, uno stile fresco e sbarazzino, dipinge un quadro a tinte forti dell’Italia della prima metà del Novecento, senza inutili idealizzazioni dei personaggi che, anzi, vengono colti nella loro dolente umanità: il tutto sempre tenendosi lontana dalla retorica di certi memoir.

Traspare, in ogni considerazione a margine dei principali eventi narrati, l’animo poetico e delicato della protagonista, profondamente legata alle proprie radici e all’amata figura paterna, con cui ha intessuto un rapporto di complicità, quasi simbiotico:

“Mio padre era l’approdo, il porto sicuro, l’Onnipotente. Era l’unico in cui credevo: era la forza della sua intelligenza che, ai miei occhi, lo rendeva un eroe”.

L’autrice ha saputo raccontare con taglio documentaristico e oggettivo la composta dignità dei suoi famigliari, il senso di ingiustizia per le discriminazioni patite e quello di rivalsa dopo la caduta di Mussolini e dei suoi accoliti: esperienze dure, che ne hanno fatto una donna versatile, capace di reagire con audacia alle intemperie della vita.

Il libro in una citazione
«“Ma lei”, gli chiese un giorno il nonno, “di tutto l’universo, salva solo gli artisti e gli intellettuali?”. “Sì” fu la risposta inesorabile di mio padre, da marxista-stalinista qual era. “Oltre a tutti gli onesti di testa e di cuore: ovvero i lavoratori!”»

12 marzo 2021
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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