di Sabrina Colombo
Intervista alla sposa
Autore: Silvio Davese
Editore: La nave di Teseo
Genere: Moderna e contemporanea
Anno edizione: 2020
Pagine: 528
Consigliato a chi è sensibile alla tematica della violenza di genere e interessato all’approfondimento della psicologia delle vittime e del rapporto vittima-carnefice.
Uno scrittore, intenzionato a realizzare un libro-verità su una vicenda giudiziaria assurta agli onori della cronaca per la sua efferatezza, ottiene l’autorizzazione a intervistare Stefania, uxoricida, con alle spalle una lunga unione matrimoniale caratterizzata da violenza e sopraffazione. Si reca pertanto, per cinque giorni, nell’istituto di pena per raccogliere le memorie della donna, il racconto della sua vita e degli eventi che hanno condotto alla pesante condanna che sta scontando.
Da subito il lettore si rende conto che, più che un’intervista, è un incontro-scontro fra due temperamenti forti. Stefania è alla ricerca di un interlocutore in grado di ascoltare la sua verità, al di là di quella emersa dalle carte del processo e dalle perizie psicologiche cui è stata sottoposta. Lo scrittore – dapprima distaccato e professionale e successivamente conscio di avere instaurato un dialogo che, sottotraccia, lo costringe ad abbandonare le proprie certezze di uomo colto, civile, perbene e perbenista – prende atto che l’aggressività ha tanti modi per essere declinata e si nasconde nei meandri dei rapporti umani, pronta a prendere il sopravvento quando riaffiora l’istinto primordiale di possesso:
“Quando un maschio lascia sul terreno il corpo di una donna adotta una vendetta sul mondo. A voi non la lascio. Non ne godo io, non ne gode nessuno”.
E ancora, l’intervistatore/scrittore considera tra sé e sé: “Sono sfacciatamente preso da questo mistero, perché invece di voltare pagina di giornale, ci sono caduto dentro, vorrei capire come si passa dall’odore della pelle al sapore del sangue in casa vostra”.
A mano a mano che l’incontro progredisce, i colloqui in parlatorio si trasformano in un viaggio interiore del protagonista maschile negli oscuri meandri della propria umanità, si percepisce la sua impellenza di trovare una ragione per la violenza, di capire da dove nasca e se sia in parte connaturata a qualunque individuo, o se il bisogno di dominare abbia origini ambientali, culturali e sociologiche:
“Ma io la aiuterò, la capirò. Entreremo insieme nel quotidiano, nell’intimità, nel dolore, e poi nella sciagura. Infine prenderò la mia strada, speriamo il volo. Ne farò un romanzo. Ci saranno gli altri. I genitori, di lei, di lui, il recondito dei fatti trascorsi proiettati nel presente, tempi larghi, gli amici, i colleghi. Le trame della condotta amorosa… Lei capirà che dobbiamo soltanto cercare un modo giusto per raccontare la sua storia. Deve fidarsi di me, si fiderà di me”.
Mentre – nel corso di oltre cinquecento pagine – impariamo a conoscere il nome dei figli, del marito, dell’amante, dell’amica del cuore, dell’avvocato, persino dei parenti acquisiti di Stefania, lo scrittore non viene mai identificato: il suo ruolo viene intenzionalmente circoscritto all’indispensabile, per dare il massimo risalto alla tragica vicenda – per certi versi universale – della vittima che si è fatta carnefice.
La scrittura è densa, musicale, evocativa, con continui cambi di registro dal lirico alla fredda cronaca, e periodi a volte lunghi ed elaborati sotto forma di flusso di coscienza. Si alternano momenti in cui si assiste alla riproduzione – quasi in forma di verbale d’interrogatorio – dei colloqui fra i due, ad altri in cui l’intervistatore medita, rielabora il trascritto, tenta di abbozzare le pagine di un romanzo che non ha certezza di saper portare a compimento, tanto è complessa e ambigua la relazione sentimentale di odio e amore, tenerezza e rabbia, trasporto erotico e senso di responsabilità per i figli, che permea l’intero racconto della vita di Stefania. Questa è in ultima analisi vittima di stessa e delle proprie fragilità, prima ancora che dell’ex marito paranoico cui si affida, ancora ragazza, forse inconsciamente determinata a sostituire la figura del padre, controversa e assente nella sua vita di bambina e poi di adolescente insicura.
L’intervista alla sposa di Silvio Danese è un’opera dura, potente nei toni, con un finale spiazzante, che non indulge in retorica o in facili spiegazioni psicoanalitiche: vuol far pensare il lettore, ponendolo – con una brutalità intenzionale che in alcuni tratti si fa poesia – di fronte a questioni attuali e irrisolte, lasciandogli l’onere di prendere una posizione autenticamente personale, magari non definitiva ma interlocutoria, pur sempre frutto di una propria elaborazione della vicenda.
Il libro in una citazione
«Mi sono chiesto, e mi chiedo adesso, che farne, che farò delle parole che sto trascrivendo. E perché poi trascrivo così, formalizzando tutto quanto, invece di eseguire appunti secchi e trascrizione parziale, selezionando o anche soltanto sorvolando, e intanto sta diventando un lavoro lungo, in questa strana alleanza tra le parole dettate dall’audio e il significar scrivendo? Dove mi porta? Non capisco, al momento non capivo, e non riuscivo a non procedere che per questa via.»
28 gennaio 2021
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