Agnese è una donna forte, che si è lasciata alle spalle un’infanzia all’orfanotrofio e che ora si dedica totalmente al marito Pietro, a dire il vero poco fedele, e ai figli Tommaso e Ginevra. Alle loro storie s’intrecciano quelle di Giulio, l’amato di Ginevra, che Agnese ritiene interessato solo ai possedimenti della ragazza; del vecchio Gino, impazzito dopo la morte del figlio e la malattia della moglie, e di tutte le altre famiglie di Castelfosso, nome di fantasia per una località toscana. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, queste rischiano di essere private per sempre degli affetti più cari. Non solo perché alcuni sono costretti a partire per il fronte, come Tommaso, ma anche perché altri sposano la causa della Resistenza, come Ginevra, che in realtà mette a repentaglio la propria vita per amore.
Con In un battito d’ali Giulia Fagiolino invita alla lettura sia gli appassionati di storia e saghe famigliari sia coloro che desiderano cogliere un messaggio di speranza tra le righe di un romanzo corale. Al suo secondo libro, la 34enne avvocata toscana narra vicende dai risvolti molto attuali benché storicamente contestualizzate.
Giulia Fagiolino, com’è nata l’idea di In un battito d’ali?
«È nata negli anni. Sin da quando ero bambina sentivo raccontare dalla mia famiglia fatti accaduti durante la seconda guerra mondiale. Li ho riportati nel romanzo amalgamando la vera storia con la fantasia, personaggi realmente esistiti con personaggi inventati, in un contesto di saga famigliare.»
Dove si ferma la realtà e dove arriva la fantasia nella storia che ci racconta?
«Sono reali tutti i fatti storici: le rappresaglie, gli eccidi, le occupazioni delle case da parte dei tedeschi. Ho anche avuto veramente un prozio materno di nome Corrado, che è tornato dal campo di concentramento di Mauthausen. Dario, il ragazzino catturato nella rappresaglia, era invece mio nonno. Tutti gli altri personaggi e le loro storie sono inventati.»
In un battito d’ali riesuma un pezzo di storia italiana proprio quando una pandemia ci ha portato via molte delle persone che ce lo potevano raccontare. Ne era consapevole in fase di stesura?
Ho finito di scrivere il romanzo a novembre 2019 e doveva essere pubblicato molti mesi prima di ottobre, poi a causa della pandemia è stato rimandato tutto. Quindi ancora non c’era l’emergenza Covid o, meglio, ancora si pensava che il virus fosse confinato alla Cina. Ho riscontrato solo successivamente molte similitudini tra il mio romanzo e la situazione che stiamo vivendo, di sofferenza, smarrimento, perdita dei propri cari e desiderio di ripartenza. Pur non volendo, il libro non poteva uscire che in un momento simile: mi fa piacere pensare che, in qualche modo, molti possano riconoscersi nella mia storia di rinascita.
Quanto è durata la gestazione del testo?
«La prima stesura è durata tre mesi. Poi non ho riguardato il testo per molto tempo, proprio per avere la lucidità necessaria a poterlo rielaborare. Complessivamente ho impiegato un anno. A ogni modo, per me i libri sono in continuo divenire, non un qualcosa di statico, quindi ogni volta che rileggevo trovavo aggiunte o modifiche da fare, fino a quando ho deciso di inviarlo alla casa editrice.»
I personaggi di In un battito d’ali si dicono: “Andrà tutto bene”, proprio come facevamo noi all’inizio del primo lockdown. C’è qualche differenza di significato tra il loro e il nostro “andrà tutto bene”?
«Sì, i personaggi ripetono spesso “andrà tutto bene” o frasi di incoraggiamento simili. D’altra parte, espressioni del genere sono la prima cosa che viene in mente nei momenti di difficoltà per spalleggiarsi, per darsi manforte, proprio com’è accaduto a noi.»
Qual è dunque il messaggio che voleva trasmettere?
Tutti i miei libri li definisco ‘catartici’ perché fanno riflettere sul fatto che i momenti di difficoltà si possono superare, non dimenticando il passato, ma riuscendo a voltare pagina e ricominciando a vivere. Inoltre, ‘In un battito d’ali‘ è un romanzo storico: ritengo che ‘historia magistra vitae’, ovvero che la storia sia maestra di vita, che si ripeta nei secoli e che conoscere il passato ci renda più consapevoli nell’affrontare il presente, proprio come sta succedendo oggi. Non casualmente, c’è chi ha trovato similitudini anche tra la pandemia dei nostri giorni e la peste raccontata dal Manzoni.
Il tema della rinascita era presente anche in Quel giorno, suo romanzo d’esordio ben diverso da In un battito d’ali e che tra l’altro ha anche vinto premi letterari internazionali. A questo punto corre d’obbligo chiederle quale significato personale attribuisce al verbo “rinascere”…
«Penso che la vita sia fatta di alti e bassi: spesso ci mette davanti a prove insormontabili, però è anche vero che altre volte possiamo riprenderci e ricominciare a vivere. È un po’ una questione di filosofia, un modo di approcciarsi all’esistenza.»
Il suo è un romanzo corale, ma la figura di Agnese sa rubare la scena più di una volta. Agli appassionati del genere, il nome del suo personaggio fa venire sicuramente in mente il notissimo libro L’Agnese va a morire di Renata Viganò…
«Conosco L’Agnese va a morire, da cui però non ho tratto alcuna ispirazione. La mia Agnese è senza dubbio una donna molto forte, che attraversa anche momenti di vulnerabilità, molto passionale nei sentimenti. Inizialmente ho preso spunto dalla mia bisnonna paterna, anche lei cresciuta in orfanatrofio. Nel carattere vedo però Agnese assai più simile alla mia nonna materna, molto accorata con i figli.
Quanto ai testi che mi hanno ispirata, sono principalmente due: Canne al vento di Grazia Deledda e Lessico famigliare di Natalia Ginzburg. Il primo perché descrive la sensazione d’impotenza dei personaggi proprio come, usando una metafora, quella delle canne al vento. Il secondo perché è la saga famigliare per eccellenza: i dialoghi sono scritti con naturalezza, i personaggi li immaginiamo come se ci fossero davanti. Poi, quanto ai romanzi ambientati durante la seconda guerra mondiale, mi vengono in mente Il partigiano Johnny o Una questione privata di Beppe Fenoglio, La Storia di Elsa Morante o La ciociara di Alberto Moravia.»
Benché il suo libro non sia autobiografico, c’è qualche personaggio in cui si rivede?
«Mi rivedo un po’ in Ginevra nel prendere le cose di punta e nell’intestardirsi, anche se lei è una ragazzina e fa le scelte con l’inconsapevolezza tipica della sua età, come quando decide di rischiare la propria vita per amore: io a tanto non mi sarei mai spinta.»
Per quanto molto breve, il suo romanzo offre alcune scene di rappresaglia d’impatto. È tornata più volte sul testo oppure sono scaturite spontaneamente?
«La cosa più difficile, quando si descrivono scene d’azione molto forti, è cercare di renderle più reali possibili, senza cadere nell’ovvio. Prima le ho abbozzate, poi le ho rilette più volte, tentando di perfezionarle. Visto che poi molti eventi erano veri, ho cercato di renderli fedeli ai racconti che mi erano stati fatti e, allo stesso tempo, capaci di emozionare i lettori. Sicuramente la fase più difficile della stesura l’ho affrontata quando descrivevo i fatti storici, perché sono i momenti più carichi di tensione e quindi anche i più intensi emotivamente.»
Perché ha deciso di spostare altrove il noto eccidio di Pievecchia, dandogli il nome di Fontenuova?
«Gli avvenimenti che riporto sono accaduti in varie zone della Toscana e dell’Umbria. Ho deciso di ambientare tutto sotto la Linea Gotica, intorno a Pontassieve, perché mio nonno materno era di quella zona e perché lì era anche molto intensa la lotta partigiana. Riporto sia l’eccidio di Pievecchia, nella zona intorno Pontassieve, sia l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Quest’ultimo è solo raccontato da due donne, i cui famigliari rimasero coinvolti. Sant’Anna di Stazzema è più a ovest, in provincia di Lucca, però quello che è accaduto è un simbolo dell’atrocità tedesca, non potevo non citarlo. Naturalmente l’evento provocò molto dolore e scalpore, e la popolazione ne parlò per diverso tempo, anche nelle zone non prettamente più vicine.»
Nella sua storia ci sono due “battiti”: uno è quello del titolo, l’altro è un leit motiv che arriva a creare un climax quando s’intreccia col primo. Attraverso questi atti fisici trovano espressione le emozioni dei personaggi…
‘In un battito d’ali‘ è la metafora della vita: dai momenti difficili è possibile uscire velocemente, proprio come veloce è il battere delle ali, e si può ricominciare a vivere. L’espressione è un po’ la chiave di volta su cui fa perno l’intera narrazione.
Le ultime pagine potrebbero indurre a pensare a un seguito. Ci ha già riflettuto?
«È vero, tutto lascia supporre un seguito, ma ancora non ho deciso di cosa tratterà il prossimo libro. Può darsi che continui con la saga, ma non posso dirlo con certezza.»
Ritiene che i pareri di coloro che hanno già letto In un battito d’ali rispecchino il suo lavoro?
«Finora ho avuto tutti riscontri positivi. È un romanzo complesso, costruito sulle storie di tanti personaggi, che s’intrecciano tra loro. La cosa che m’inorgoglisce di più è che ogni lettore è rimasto colpito da qualcosa di diverso. Questo vuol dire che il romanzo riesce a offrire varie sfaccettature, a seconda di chi lo legge.»
Ci consiglia tre bei libri da leggere?
«Il mio libro preferito in assoluto è Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, mi piace molto come vengono descritti i personaggi, ognuno con una sua personalità e carattere, o anche Camera con vista di Edward Morgan Forster. Poi mi vengono in mente Lessico famigliare di Natalia Ginzburg o Canne al vento di Grazia Deledda, di cui ho già parlato.»
8 gennaio 2021
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In un battito d’ali
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Autrice: Giulia Fagiolino
Editore: L’Erudita (Giulio Perrone Editore)
Genere: Romanzo storico
Anno di pubblicazione: 2020
Pagine: 116