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Libri per chi ama davvero leggere

Moshfegh, quando l’indagine diventa interiore

di Sabrina Colombo

La copertina del libro "La morte in mano" di Ottessa Moshfegh (Feltrinelli)

⭐⭐⭐

Classificazione: 3 su 5.

La morte in mano
Autrice: Ottessa Moshfegh
Editore: Feltrinelli
Traduttrice: Gioia Guerzoni
Genere: Gialli & Noir
Anno edizione: 2020
Pagine: 192

Consigliato agli amanti dei thriller con taglio psicologico.

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Vesta Gul è una settantenne che si è da poco trasferita a Levant, un paesino della provincia americana. Sposata a un insegnante universitario, Walter, che ha accudito nel corso di una lunga malattia, dopo la sua scomparsa decide di trascorrere gli anni che le restano in uno chalet in riva al lago, ex campeggio di girl scout; un luogo appartato, lontano dagli schiamazzi della città, in compagnia del cane Charlie.

Una mattina, mentre passeggia nel bosco, trova un biglietto vergato a mano, ove si legge un inquietante messaggio: “Si chiamava Magda. Nessuno saprà mai chi è stato. Non l’ho uccisa io. Qui giace il suo cadavere”. Ma chi è Magda? E dov’è il suo cadavere? È uno scherzo di cattivo gusto?

Vesta, allibita prima ancora che spaventata, inizia − spinta da un’irrefrenabile pulsione − a investigare sulla morte di Magda. Vuole dipanare il mistero e s’improvvisa detective: la sua fervida immaginazione la induce a stendere il possibile profilo dell’assassino e della vittima, di cui delinea le caratteristiche sia fisiche che psicologiche, nonché il movente, spingendosi a formulare ipotesi anche sulle modalità del brutale omicidio e del conseguente occultamento di cadavere.

L’indagine − nel suo evolversi − ben presto si trasforma in un percorso interiore alla scoperta delle proprie pulsioni, dei veri sentimenti che l’hanno legata al marito e del senso della sua precedente vita da casalinga perfetta e compagna arrendevole di un uomo che si scopre essere stato presuntuoso, burbero e prepotente.

Con uno stile asciutto, un linguaggio essenziale e senza inutili fioriture, Ottessa Moshfegh si lascia alle spalle il tono ironico del suo precedente romanzo Il mio anno di riposo e oblio per affrontare il genere thriller in maniera personale, reinterpretandolo, dando alla vicenda un taglio onirico, psicologico e soprannaturale.

Il lettore rimane da subito imbrigliato in un crescendo di tensione, che va di pari passo con il dipanarsi del mistero della sparizione di Magda.

Scritta in prima persona, sotto forma di flusso di coscienza ininterrotto e claustrofobico, l’ultima fatica della Moshfegh ha il pregio di raccontare con cruda oggettività il dramma della violenza sulla donna, della solitudine e della perdita di contatto con la realtà, che può sfociare nell’alienazione e nel disagio mentale vero e proprio.

Il libro in una citazione
«Avevo riletto il messaggio ridacchiando sulla penultima frase. Non l’ho uccisa io. Certo che no. Se non era uno scherzo, il messaggio sembrava una falsa partenza, un inizio fallimentare. Potevo capire l’esitazione. È un modo piuttosto cupo e accusatorio di cominciare una storia: la dichiarazione di un mistero su cui è inutile investigare.»

9 dicembre 2020
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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