Gianmarco Chiaravalle è un uomo che conduce una vita tutto sommato tranquilla, a parte qualche scappatella di troppo, a parte un rapporto coniugale consunto, a parte la completa assenza di dialogo con il figlio. Ma si sa, certe cose mica uno se le va a cercare. Capitano.
A 56 anni ti capita pure di passare a quella che taluni definiscono “miglior vita” per un’impensabile fatalità. E se riesci a districarti tra presunti angeli dall’accento veneto, anime ninfomani e spettri ripetitivi, ti capita anche di guardare a ciò che rimane della tua esistenza terrena da tutt’altra angolazione. Capita soprattutto quando ti viene concesso di ritornare tra i viventi per assistere proprio a quello che è il tuo funerale benché i manifesti sembrino voler instillare giusto qualche dubbio.
La cosa più bella capita però a chi legge le tue avventure tragicomiche da neodefunto, che si ritrova a morir dal ridere per ironia della tua morte. Avventure tanto inverosimili quanto incisive, che il 33enne attore e regista marchigiano Maury Incen, al secolo Maurizio Della Michelina, narra al lettore nel romanzo Caro e stinto, cui è giunto dopo aver scritto testi teatrali e racconti brevi.
LA VOCE DELLO SCRITTORE
Maury Incen racconta
Caro e stinto
Maury Incen, com’è nata l’idea di Caro e stinto?
«L’idea nasce nell’estate del 2019. Già da qualche tempo giocavo con la possibilità di scrivere un romanzo, dopo tanti testi teatrali e qualche racconto breve. Si dà il caso che io mi appunti sempre le idee che mi arrivano, senza però dare loro una collocazione precisa fin da subito. Nel momento in cui le sviluppo, trovo la forma più congeniale. E tra quelle che avevo a disposizione, il romanzo mi sembrava l’opzione più adatta.»
A che tipo di lettore lo consiglierebbe?
«A chi ha voglia di immergersi in un racconto simpatico e leggero, seppur con qualche spunto per riflettere. Se non altro per ridere di noi stessi e delle nostre vicissitudini umane e, se possibile, per prenderci meno sul serio.»
Perché il suo libro andrebbe letto?
«Perché “tengo famiglia”! Scherzi a parte, credo che un po’ di sana evasione possa essere d’aiuto. Inoltre, dato il suo spessore non troppo sviluppato, il mio libro risulta molto utile e funzionale come zeppa per tavolini da cocktail e seggioloni per bambini. Ma questo è di nuovo uno scherzo. Forse.»
Qual è il messaggio che voleva trasmettere?
«Il messaggio preferisco lasciarlo al testo stesso. Quello che mi piace e solletica la mia fantasia è, come dicevo, il giocare sulle umane disgrazie, ma anche sulle nostre risorse. Siamo troppo schiavi di credenze che ci vorrebbero in balia di forze mistiche e sovrannaturali, quando in realtà basterebbe rimboccarsi le maniche e agire con buona volontà.»
Riuscire a strappare un sorriso parlando di un tema come la morte non è per nulla facile, soprattutto di questi tempi. Però lei ci riesce. Qual è il suo asso nella manica?
Intanto grazie! Però assi nella manica non credo di averne, piuttosto penso di avere una naturale predisposizione verso il lato buffo della realtà. Sono convinto che esso si annidi davvero in ogni esperienza che viviamo, anche nella più impensabile. Inoltre, più che la morte a me fa ridere la vita. Probabilmente quando moriremo ci saranno tante cose che ci faranno riconsiderare i nostri affanni terreni e forse si realizzerà l’unico vero miracolo: rideremo di noi stessi.
C’è qualche personaggio del suo libro in cui si rivede o qualcuno che invece vorrebbe essere?
«Mi nascondo in quasi tutti i personaggi che creo. Racchiudono tutti vari aspetti della mia personalità. Per le loro descrizioni fisiche mi ispiro invece a persone di mia conoscenza. Il trucco è costruire degli ibridi, così nessuno si lamenta.»
Leggendo anche solo il titolo del suo libro è inevitabile pensare a Il caro estinto di Evelyn Waugh, che oltretutto venne anche portato al cinema. Quest’opera di Waugh ha qualche legame con la sua?
«In realtà nessun legame, anche se sono lusingato dal collegamento. L’ispirazione è nata più che altro dall’osservazione di tanti comportamenti, il mio incluso, soprattutto dinnanzi all’ineluttabilità dell’esistenza umana. Reagiamo in modi diversi, com’è inevitabile che sia. E questo mi incuriosisce.»
Prevede un seguito delle avventure di Gianmarco? Oppure ha altri progetti di scrittura?
«No, nessun seguito, non amo rivisitare personaggi e storie già esplorati. Preferisco scrivere guardando al futuro. Al momento sono nelle fasi finali della pubblicazione di un nuovo progetto, scritto nel dialetto della mia città natale, Pesaro. Si tratta di una rivisitazione dell’episodio omerico di Ulisse e Polifemo, narrato in maniera semiseria. A tal proposito, sul sito Gofundme.com è attiva una campagna di crowdfunding per sostenerne la pubblicazione. Il titolo definitivo è Ulisse e ‘l Ciclo.»
Quanto al titolo Caro e stinto, invece, è arrivato prima o dopo la storia? È stato una sua idea o della casa editrice?
«Il titolo è stato una mia idea, arrivata contemporaneamente alla storia, direi. Volendo parlare della morte, sapevo che avrei avuto a disposizione un ricchissimo frasario di espressioni e frasi già precostituite. Tutto ciò che dovevo fare era sceglierne una e divertirmi a destrutturarla, per vedere quale altro significato avrei potuto ricavarne.»
Quanto è durata la gestazione del testo e quale è stata la parte della lavorazione più faticosa?
«La lavorazione è durata quattro mesi, quattro mesi intensi ma anche divertenti. Senza dubbio, la parte più difficile è stata la descrizione degli ambienti e delle fisicità dei personaggi. Quando scrivi per il teatro, sai che saranno uno scenografo e un costumista a occuparsene, ma con un libro è diverso!»
Avrebbe cambiato qualcosa dopo che il libro è stato pubblicato?
«Anche se sono un perfezionista, che limerebbe ogni dettaglio fino all’ultimo, no. Ho imparato a “lasciare andare” un lavoro dopo averlo concluso.»
Nel suo libro l’ambientazione è rilevante, soprattutto nelle scene in cui Gianmarco si trova in Paradiso, prevalentemente associabile a un bianco e luminoso corridoio pieno di porte numerate. Perché questa scelta?
«Perché sono un ateo convinto e dunque non riconosco minimamente l’idea del Paradiso basata su nuvole e angeli. Mi divertiva piuttosto l’idea di un posto il più “terreno” possibile, volto a sottolineare l’ulteriore beffa dell’esistenza umana. Burocrazia inclusa, e chi leggerà il libro capirà…»
Come ha espresso la sua personale voce di scrittore nel testo? In che modo lo ha reso “suo”?
Essendo il mio romanzo d’esordio credo sia un po’ presto parlare di una mia ‘voce’. Sicuramente ho utilizzato il mio umorismo e il mio sarcasmo di fondo, che sono elementi ricorrenti nel mio modo di scrivere sia teatrale che, a quanto pare, letterario.
Se dovesse spiegarci la principale differenza di approccio tra lo scrivere un testo che sarà messo in scena e uno che sarà letto, cosa direbbe?
«Ci sono vari elementi da tenere in conto: il primo è sicuramente il fatto che il fruitore della storia dovrà essere comunque e sempre in grado di visualizzare ogni cosa, da un gesto all’aspetto di un personaggio, dal tono di voce o all’inflessione di una battuta, all’ambientazione e così via. Sono tutti elementi che in un testo teatrale possono anche solo essere evocati, ma in un romanzo devono essere più specificati. Però, devo dire che ho sfruttato quest’ultimo aspetto a mio vantaggio, non essendo vincolato ai ritmi e alle esigenze pratiche di scena.»
Se in scena dovesse andare il Caro e stinto, a chi affiderebbe la parte del protagonista?
«Sarebbe un’ardua scelta! Se dovessi individuare un grande attore del passato − e mi sia concesso di sognare in grande − direi Vittorio Gassman. Vedo in lui le caratteristiche del mio Gianmarco, scostante seduttore perennemente sfortunato.»
Caro e stinto è un libro ricco di parallelismi, evidenti sin dai titoli dei capitoli e presenti anche nei dettagli della narrazione. Quale obiettivo si è posto di raggiungere con questa scelta?
«Un’altra forma di scrittura che amo è la poesia, quindi un mondo fatto di anafore, similitudini e metafore, tutte variazioni di parallelismo. Ecco perché probabilmente tutto questo ritorna nella costruzione della storia. Sicuramente una cosa per me imprescindibile è inserire il titolo all’interno del testo stesso, per far capire al pubblico come mai è stato scelto proprio quello e non un altro.»
Ritiene che i pareri di coloro che hanno letto Caro e stinto rispecchino il suo lavoro?
«Quelli positivi sì, quelli negativi no. Scherzo ancora, mi fa piacere che ciò che volevo mettere nel racconto sia arrivato a chi ha letto. Per fortuna, il libro è stato generalmente apprezzato, una cosa che non avrei mai pensato. E per quanto riguarda le critiche, più sono costruttive e più mi sono utili.»
Qual è il libro che non dovrebbe mancare nella libreria di un aspirante attore teatrale?
«Istintivamente risponderei: tutti i libri possibili e immaginabili! Prerogativa di un attore, come di qualsiasi altro artista, è la curiosità. Restringendo via via il campo, pur non potendo trascurare i testi sacri come quelli di Konstantin Seergevič Stanislavskij o Jerzy Grotowski, consiglierei piuttosto di leggere i grandi lavori teatrali: William Shakespeare, Molière, Anton Čechov per capire come sono costruiti i fondamenti del teatro di tutti i tempi.»
Lei ha un autore o un’autrice di riferimento?
«Ce ne sono tanti, anche di generi molto diversi tra loro. Mi piacciono l’ironia caustica di Woody Allen, la pacatezza viscerale di Daniel Pennac, le costruzioni meticolose di Carlo Lucarelli. Sono molto onnivoro come lettore, e spero di esserlo anche come scrittore.»
Ci dice tre titoli di libri che consiglierebbe a un amico lettore?
«Tre uomini in barca di J. K. Jerome, perché mi fa ridere. Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro, perché mi ha fatto commuovere e Il paradiso degli orchi di Daniel Pennac perché mi ha fatto fare le due cose insieme.»
20 novembre 2020
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Caro e stinto
Autore: Maury Incen
Editore: Placebook Publishing – Pedrazzi
Genere: Umorismo
Collana: I Corti
Anno di pubblicazione: 2020
Pagine: 180
Versioni disponibili: Cartaceo, eBook
Il libro sui social: Maury Incen – pagina facebook.
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