Luca è il rampollo di una ricca famiglia della Versilia e sembra poter avere tutto dalla vita. Eppure attraversa un momento di confusione esistenziale e così decide di chiedere aiuto a Ivan, giovane psicologo un po’ eccentrico. Con lui scoprirà che il suo desiderio di diventare sacerdote non è propriamente fondato e che, in realtà, nasconde ben altro. Il nuovo paziente indurrà Ivan stesso a interrogarsi sul tema della fede e a cercare spiegazioni nelle parole di don Claudio, che il sacerdote lo fa già da tempo a modo tutto suo e che avrà un ruolo fondamentale anche nel percorso di Luca.
In Di qua dal monte, romanzo autopubblicato di Ugo Cirilli, 35enne psicologo toscano, le storie di questi tre uomini così diversi, eppure scossi da interrogativi simili, s’intrecciano per dar vita a una narrazione che riesce ad alternarsi tra l’incalzante e il distensivo e a predisporre il lettore alla riflessione.
Di qua dal monte può essere scaricato gratuitamente dal sito web di Cirilli, che da tempo si occupa di libri e psiche e crede nella lettura a tal punto da aver scritto un manifesto per la sua promozione.
LA VOCE DELLO SCRITTORE
Ugo Cirilli racconta
Di qua dal monte

Ugo Cirilli, quando è nata l’idea di Di qua dal monte?
«Dai tempi dell’università riflettevo sull’idea di scrivere un romanzo con un protagonista psicologo. Questa figura all’inizio era un po’ stereotipata: si affacciava nella mia mente la classica immagine di un signore con la barba e gli occhiali… fortunatamente ho aspettato a lungo. Nel 2015 è nato il personaggio di Ivan: giovane, un po’ eccentrico nel modus operandi, sensibile e alle prese con le problematiche dei trentenni di oggi. Iniziai con lo scrivere un primo testo, che forse resterà nel cassetto perché serviva soprattutto a caratterizzare lui e altri personaggi che effettivamente appaiono nel libro, come Emilia e l’agente immobiliare Arturo. Poi ne è nata addirittura una serie. Di qua dal monte è il romanzo che mi ha convinto di più, forse per l’argomento, e così ho deciso di pubblicarlo.»
Dunque sono nati prima i personaggi della storia…
«La storia ha iniziato a delinearsi quasi autonomamente, a mano a mano che caratterizzavo ognuno di loro nel profondo. Questo mi porta a pensare che i personaggi siano il fulcro di un romanzo: se hanno personalità, se le loro interazioni sono realistiche e interessanti, la trama può svilupparsi di conseguenza, partendo da alcune idee iniziali e prendendo magari una direzione nuova.»
Lei ha concepito la trama così com’è oppure anche nel suo caso questa ha preso una direzione nuova?
«Non avevo un vero e proprio schema tipo “scaletta”, quindi non sono avvenuti cambiamenti rispetto a una struttura predefinita. Solo il finale, in un primo momento, doveva consistere semplicemente in un colloquio risolutivo paziente-psicologo. Alla fine, invece, ho optato per una svolta un po’ più rocambolesca, ma a mio avviso comunque credibile.»
Perché ha scelto la spiritualità come argomento centrale?
«Ovviamente è un tema che m’interessa particolarmente, anche da un punto di vista, per così dire, filosofico. Mi reputo un credente che si pone tante domande, lontano da una visione rigida. Tengo comunque a precisare che il libro non prende posizioni a favore di credenti o agnostici; mi interessava soprattutto l’idea di credere anche in senso lato, come capacità di sperare.»
A che tipo di lettore consiglierebbe il suo romanzo?
«Mi piace pensare che sia adatto a lettori diversi. Ho cercato di coniugare tematiche profonde con un approccio ricco di colpi di scena, senza trascurare qualche momento d’ironia che stempera la tensione. Credo però che quanti cercano nei libri spunti di riflessione possano apprezzarlo di più rispetto a chi desidera un semplice intrattenimento, scelta che comunque non critico affatto.»
Perché andrebbe letto?
«Penso e spero che porti alla luce tematiche importanti legate alla nostra vita quotidiana. La ricerca di sé, i legami famigliari, la spiritualità che in qualche modo tocca tutti, credenti e non. Fa parte della nostra natura interrogarci sulla realtà, chiederci se ci sia qualcosa oltre la materialità, sperare o meno in un disegno che ci porti verso un avvenire migliore. Mi auguro anche che la figura di Ivan possa avvicinare qualcuno alla Psicologia, perché è un personaggio umano, capace di grande empatia.»
Qual è dunque il messaggio che voleva trasmettere?
«Più che lanciare un messaggio esplicito, vedo il libro come uno stimolo alla riflessione e un invito al dialogo tra persone che hanno idee diverse. Sulla spiritualità, ma anche in generale. Ivan e don Claudio partono da posizioni distanti; per il bene di Luca, però dovranno trovare un’intesa e… mi fermo per non fare spoiler!»
Il suo libro parla anche del rapporto tra fede e psiche, tema non propriamente alla portata di tutti. Come ha fatto a renderlo accessibile ai suoi lettori?
La domanda mi riporta all’importanza dei personaggi. Mi sono impegnato a caratterizzare uno psicologo originale e dai modi non sempre ortodossi, a tratti forse bizzarro ma sensibile; un sacerdote che è quasi un filosofo del quotidiano e si rimbocca le maniche per il prossimo; un paziente, preda di uno smarrimento, che cerca risposte. Sono personaggi piuttosto diretti, passionali. Dai loro dialoghi credo che tematiche come la psiche e la fede emergano in maniera molto immediata, come espressione della nostra natura umana, dei dilemmi della quotidianità. È sbagliato pensare che la Psicologia e la riflessione filosofica siano ambiti sofisticati e accademici: affondano le radici nella vita di tutti i giorni.
Ivan Sarti, il protagonista, è uno psicologo come lei. Possiamo definirlo il suo alter ego?
«Ivan ha qualche affinità con me ma non lo vedo come un vero alter ego. A volte penso di aver delineato piuttosto la persona che vorrei diventare o forse, più semplicemente, un amico con cui mi piacerebbe trovarmi qualche volta a conversare.»
Com’è arrivato al titolo?
«Ci sono arrivato a romanzo concluso: avevo salvato il file con il nome “Tra cielo e terra”. Poi, cercando su Google, ho visto che esisteva già un film con quel titolo. Allora ho optato per Di qua dal monte, ispirato sia dal paesaggio delle Alpi Apuane, che Ivan osserva all’inizio del romanzo, sia da una connotazione metaforica. Consiglio ai lettori di non arrovellarsi sul significato simbolico di quel Di qua dal monte: emergerà solo alla fine della storia!»
Quanto è durata la gestazione del testo e qual è stata la parte della lavorazione più faticosa?
«Se ricordo bene, la stesura è durata circa un anno o poco meno. Le parti più faticose le ho affrontate in alcuni dialoghi tra Ivan e Luca. Da un lato volevo rappresentare l’approccio della psicoterapia cognitivo-comportamentale, dall’altro cercavo di dare a Ivan la possibilità di “tradirlo” con qualche variazione tutta sua. Mi piaceva l’idea di un terapeuta fuori dagli schemi, a tratti anche discutibile nell’approccio, ma sempre orientato verso il benessere dei suoi pazienti. Cercavo poi di scrivere scambi di battute credibili, considerando la reale durata di una seduta psicologica. Così, alcune parti dei dialoghi le ho solo accennate, altre le ho riportate battuta per battuta, cercando di creare conversazioni possibili in quell’arco di tempo.»
A quali fasi della lavorazione ha sottoposto il testo dopo la prima stesura?
«L’ho sottoposto a diverse riletture, soprattutto dopo aver deciso di pubblicarlo online. Ho inoltre lavorato consultando più volte il testo Terapia cognitiva. Fondamenti e prospettive di Judith S. Beck.»
Ritiene che i pareri di coloro che lo hanno letto rispecchino il suo lavoro?
«Spero proprio di sì, perché ho avuto varie recensioni positive! Scherzi a parte, mi ha fatto molto piacere constatare che diversi recensori hanno colto e apprezzato l’essenza più profonda del romanzo. Mi ha solo sorpreso un particolare: qualcuno si è affezionato soprattutto alla figura di don Claudio, preferendola anche a Ivan! Certo, è un personaggio che anche a me ispira una profonda simpatia. Dovrò forse dedicargli uno “spin off”?»
Come ha espresso la sua personale voce di scrittore nel testo? In che modo lo ha reso “suo”?
Ho cercato di far parlare i personaggi, di veicolare attraverso i loro dialoghi tematiche che ritengo molto importanti. In un certo senso, ho voluto nascondere la mia voce tra le righe per fare spazio a loro. Lo scambio di battute tra i protagonisti, la loro interazione, è il motore della trama. La mia identità di autore è espressa comunque in maniera forte attraverso il legame con il territorio della Versilia. Mi riesce difficile immaginare la mia vita altrove, forse non scriverei nemmeno senza la mia zona come stimolo e ispirazione.
Quanto è realistica la sua descrizione dei luoghi?
«Lo è molto sia negli ambienti, sui quali però non mi sono voluto dilungare troppo, sia in uno spaccato di alcune dinamiche sociali. La zona di Forte dei Marmi, in particolare, è nota per il turismo d’élite e il benessere. La famiglia di Luca appartiene proprio a quel contesto, ha un’attività avviata, vive in una villa. Ciò nonostante, lui è profondamente infelice. A volte mi è capitato davvero di osservare, nella mia zona, situazioni in cui era evidente una discrepanza tra un’esteriorità brillante, agiata, e un certo grado d’insoddisfazione. Credo che anche chi ha tante risorse possa smarrirsi, quando perde di vista il vero sé tra le possibilità che la vita gli offre. Il lettore potrà godere anche della bellezza rigenerante dei paesaggi della Versilia, una ricchezza preservata dagli scempi architettonici avvenuti in altre zone d’Italia.»
Di qua dal monte si può scaricare in formato eBook gratuitamente dal suo sito. Ha già provato a proporlo a un editore o ha fatto volutamente questa scelta?
«Con la pubblicazione di Un accordo maggiore in sottofondo, altro mio romanzo incentrato sul mito del successo oggi, ho constatato le difficoltà di promozione per un autore non noto, come il problema di rimanere confinati nella propria zona, con le presentazioni e la distribuzione. Così ho pensato di farmi conoscere attraverso il download dal mio sito web. L’idea di rendere gratuito il romanzo nasce da due ragioni: mi sono accorto che molte persone non hanno ancora familiarità con gli acquisti online e, poiché i guadagni per gli eBook di autori poco noti sono in genere scarsi, ci ho rinunciato e ho preferito puntare a raggiungere un pubblico ampio. La pubblicazione in cartaceo continua però ad affascinarmi e, con l’editore di Un accordo maggiore in sottofondo, stiamo valutando la ristampa. Non escludo nemmeno di tornare a proporre eBook da acquistare.»
Lei è uno psicologo scrittore. Affinità tra i due ruoli?
«Vedo una certa affinità quantomeno con il tipo di scrittura che cerco di coltivare: in entrambi i casi si tratta di scavare nella profondità, di non fermarsi alla superficie delle cose.»
C’è un compito in particolare che lei affida alla scrittura?
«Condivido pienamente quello che sosteneva un famoso scrittore mio conterraneo, Romano Battaglia. Chi scrive libri, diceva, “ha un ruolo molto importante. Deve elevare lo spirito, cambiare in meglio le persone”. Ecco, mi piace pormi questo obiettivo cercando di mantenere l’umiltà, evitando il rischio di un approccio troppo “pedagogico”. Ritengo che il romanzo sia uno strumento formidabile: permette di affrontare anche tematiche complesse con grande immediatezza, se i personaggi colpiscono e la scrittura coinvolge. Non critico, comunque, chi scrive o legge per pura evasione. Capita anche a me, e quella per i libri rimane comunque una bellissima passione.»
Sul suo blog ha pubblicato “Ali ai libri”, un manifesto per la promozione della lettura. Tra le altre cose, propone la lettura come strumento per sviluppare l’empatia, sulla base del lavoro fatto dal dottor Keith Oatley. Ci vuole spiegare in termini semplici che cosa significa?
«Lo psicologo e ricercatore Keith Oatley ha condotto alcuni studi sull’argomento, riscontrando nei lettori particolari capacità empatiche. Secondo la sua ipotesi, leggere è una vera palestra mentale, perché per “entrare” in un libro dobbiamo immaginare sentimenti e pensieri dei personaggi. Questo, secondo il dottor Oatley, migliora anche la nostra capacità di comprendere le persone in carne e ossa. Il romanzo, quindi, potrebbe essere utilizzato più spesso nelle scuole per sensibilizzare su tematiche importanti e stimolare l’empatia. Tanti romanzi contemporanei si prestano allo scopo. È il momento di spalancare le porte delle scuole alla narrativa attuale, senza nulla togliere a opere come I promessi sposi o Uno, nessuno e centomila. Un approccio che potrebbe essere potenziato con role-playing o vere e proprie pratiche teatrali ispirate ai libri letti.»
Cosa pensa della libroterapia? L’ha mai praticata?
«No, ma è un argomento che mi interessa molto e credo che potrei approfondirlo seriamente. Certo, sono dell’idea che in tale ambito l’abilità del terapeuta, forse, conti ancora di più della scelta dei libri. Non è semplice rappresentare con immediatezza il collegamento che un libro può avere con la vita quotidiana del paziente. È vero però che si tratta di un settore ancora da esplorare a fondo, che può rivelare grandi potenzialità.»
Ha un autore o un’autrice di riferimento?
«Credo di averne diversi, spesso trovo spunti interessanti anche in libri che all’inizio mi colpiscono poco. Da Virginia Woolf sicuramente ho imparato tanto, anche se mi rendo conto che per avere quello stile, per riuscire a raccontare così l’invisibile e dilatare la narrazione, bisogna… essere Virginia Woolf. Anche la contemporaneità è molto interessante. Per esempio, ho apprezzato libri di autori come Lorenza Pieri, Eleonora Marangoni, Fabio Genovesi, Lorenzo Marone, Elizabeth Strout, Michael Frank, Dave Eggers… solo per citarne alcuni. Sono scrittori diversi, ma credo che qualcosa li accomuni: sanno coinvolgere padroneggiando i meccanismi narrativi, il ritmo. Forse cerco una mia strada a metà tra la rarefazione, il senso d’attesa della Woolf e il raccontare incalzante degli altri autori che ho citato.»
Ci dice tre titoli di libri che consiglierebbe a un amico lettore?
«Il bar delle grandi speranze di J. R. Moehringer, uno dei miei libri preferiti: l’appassionante narrazione autobiografica del percorso di un bambino che diventa ragazzo, poi uomo, inseguendo le proprie aspirazioni nonostante le difficoltà; Il giardino dei mostri di Lorenza Pieri: una vicenda di formazione ambientata nella Maremma toscana degli anni Ottanta-Novanta, in cui la narrazione immaginaria si intreccia alla vita dell’artista Niki de Saint Phalle; I ragazzi Burgess di Elizabeth Strout: un romanzo che esplora il tema dei legami famigliari di fronte all’imprevisto, con una trama molto coinvolgente.»
21 ottobre 2020
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Di qua dal monte

Autore: Ugo Cirilli
Libro autopubblicato
Genere: Moderna e contemporanea
Anno di pubblicazione: 2020
Pagine: 120
Versioni disponibili: eBook
Scaricabile gratuitamente da qui
Altri libri dell’autore: Un accordo maggiore in sottofondo (Luci della notte Edizioni, 2019)
Social: @ugocirilli – profilo instagram e account twitter; @UgoCirilliScrittore – pagina facebook
Sito web: www.ugocirilli.it
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