Il 21 novembre 2011 Antonio Scalonesi si presenta presso la Procura della Repubblica e del Cantone Ticino di Lugano e confessa una storia dai risvolti terribili. Afferma di essere un serial killer sfuggito agli investigatori di mezza Europa, che si è ritrovato al centro di un intrigo internazionale. Davide Buzzi, 51enne cantautore svizzero, ne trascrive la confessione fiume in Antonio Scalonesi. Memoriale di un anomalo omicida seriale, thriller biografico di impronta spoof. Per scrivere una storia più credibile possibile, l’ex guardia di confine è addirittura arrivata a simulare gli atroci delitti del protagonista.
LA VOCE DELLO SCRITTORE
Davide Buzzi racconta
Antonio Scalonesi. Memoriale di un anomalo omicida seriale
Davide Buzzi, com’è nata l’idea di questo libro?
«È un’idea nata oltre vent’anni fa, quando ancora ero un agente del corpo delle Guardie di confine svizzere, e che si è sviluppata in due periodi difficili della mia vita: quando mi sono trovato a dover affrontare un divorzio e quando, improvvisamente, una malattia ha stravolto la mia esistenza. Addosso avevo tanta negatività, che in qualche modo dovevo sfogare. L’ho fatto mettendomi a scrivere, riversando così sulla carta quel lato oscuro che esiste in ognuno di noi e che può venire a galla, portandoci anche a compiere atti inconsulti. Un giorno ho raccontato di questo mio tentativo di combattere il buio interiore che mi stava divorando l’anima a Giovanni Martinez, ex avvocato di Bernardo Provenzano. Lui lesse ciò che avevo scritto e mi disse: “Qui deve uscirne un libro”. E così, anche grazie anche al suo aiuto, è stato.»
A che tipo di lettore lo consiglierebbe?
«Memoriale di un anomalo omicida seriale è adatto a chi ama i thriller molto duri, sia nel linguaggio, che non è stato per nulla edulcorato, sia nelle azioni. È però anche un libro che obbliga il lettore a confrontarsi con la “coscienza nera” che tutti noi, in un modo o nell’altro, ospitiamo. In questo senso, è dunque un romanzo che può adattarsi a chiunque.»
Perché il suo libro andrebbe letto?
«Semplicemente perché dà occasione di vedere il mondo stando dall’altro lato della nostra coscienza, aiutandoci così a conoscere meglio noi stessi.»
Perché ha deciso di raccontare la storia di Antonio Scalonesi, un personaggio tanto negativo?
«Quando ero un agente del corpo delle Guardie di confine svizzere, mi ritrovai a dover eseguire arresti assai impegnativi, uno in particolare a Basilea. Qui mi capitò di fermare un pluriricercato per rapina a mano armata e crimini diversi contro le persone. Quando gli chiesi se fosse armato, non fu la sua risposta a colpirmi bensì il tono che usò. Disse che se lo fosse stato, non si sarebbe lasciato arrestare senza animosità o astio. Parlò in tono neutro, come se stesse discutendo del cattivo tempo trovato in vacanza. Il senso, però, era chiaro: se fosse stato armato, io e i miei colleghi probabilmente saremmo morti. Non c’era nulla di personale: semplicemente, per quest’uomo, sparare a un altro essere umano era una questione senza importanza. Col tempo questa esperienza, invece di andare a sedimentare nella memoria latente, si fece strada nei miei pensieri. Volevo comprendere. Così, a un certo punto, cominciai ad approfondire il tema legato alla mentalità criminale, leggendo diversi libri, biografie di delinquenti o truffatori e altro ancora. Quando mi ritrovai a scoprire il mondo oscuro dei serial killer, iniziai a pensare a una storia da scrivere. Io però nasco come autore di canzoni e scrittore di racconti brevi e a quel tempo non ritenevo di avere le capacità per scrivere un racconto lungo. Poi una serie di circostanze favorevoli ha fatto sì che il progetto potesse arrivare a compimento.»
C’è chi sostiene che raccontare la storia di criminali non sia opportuno perché, seppur involontariamente, l’autore corre sempre il rischio di indurre all’emulazione. Qual è la sua opinione in merito?
«Se la mettiamo in questi termini, anche certe notizie date dai telegiornali potrebbero indurre all’emulazione. Per non parlare poi di certi videogiochi violenti con cui tanti giovani sprecano il loro tempo libero. No, personalmente non credo proprio che questo genere di racconti possa convincere a commettere atti criminali. I fatti raccontati nel mio libro sono reali com’è reale la vita tragica di un serial killer, anzi. A pensarci bene, per quanto siano tragici gli omicidi di Antonio Scalonesi, nella realtà quotidiana esiste un peggio ben peggiore rispetto a quello da me raccontato in questo memoriale.»
Sulla copertina il nome di Antonio Scalonesi occupa il posto di quello dell’autore, fatto che contribuisce a definire il suo libro esempio di spoofing, a dire il vero un genere poco frequentato in Italia. Vuole spiegare ai nostri lettori di cosa si tratta?
«Uno spoof, per essere tale, deve mescolare accuratamente realtà e finzione fino a trasformare il tutto in una nuova verità. Il mio libro è una vera e propria biografia, che racconta le gesta di uno spietato serial killer attingendo a fatti realmente accaduti, mescolati poi ad altri completamente inventati. Una grande bugia, ma talmente realistica da apparire vera in tutto e per tutto. Quando devo spiegare cos’è uno spoof, parlo spesso dell’autobiografia del misantropo miliardario americano Howard Hughes, scritta nel 1971 da Clifford Irving. Sebbene nacque come un falso, con l’intento di truffare la casa editrice per la quale Irving lavorava, questa autobiografia è comunque un esempio perfetto di spoofing. Per molti mesi Irving fece credere al suo editore di essere stato contattato da Hughes e che, su incarico dello stesso, stesse raccogliendo una serie di interviste registrate per poi arrivare a scrivere un libro di memorie. In verità, lo scrittore iniziò a lavorare all’opera attingendo a diverse fonti storiche e ai racconti di alcune persone che in passato erano entrate in contatto con Hughes. Tutto ciò che gli mancava per completare il lavoro, se lo inventò di sana pianta. E non si fermò qui: per avvalorare il tutto Irving creò lettere manoscritte e appunti, falsificando la calligrafia e la firma di Hughes. Inoltre, incise il racconto su un nastro revox imitando alla perfezione la voce e le inflessioni del magnate americano.
Il lavoro riuscì talmente perfetto che nessuno avrebbe potuto mettere in dubbio la veridicità dell’opera, tranne naturalmente il protagonista stesso.
L’inganno venne a galla solo pochi giorni prima della pubblicazione, quando già il libro era stampato e pronto per essere distribuito. Quasi tutti i volumi vennero distrutti – furono bruciati centinaia e centinaia di bancali – e in seguito Irving fu processato e condannato.
Se la medesima opera fosse stata realizzata modificando il nome del protagonista e affermando che in realtà tutta la storia era falsa, ecco che ci saremmo trovati davanti allo spoof perfetto e nessuno avrebbe potuto contestare nulla a Irving.»
Dunque per quali motivi il suo libro può considerarsi spoof?
«Memoriale di un anomalo omicida seriale è uno spoof perché è costruito esattamente nello stesso modo. La storia viene presentata come vera e i fatti sono confermati da tutta una serie di documenti falsi, quali articoli di giornali, analisi di esperti, ricostruzioni della polizia scientifica, perizie psichiatriche e quant’altro.»
Come si è documentato per rendere al meglio i fatti narrati?
«Per prima cosa ho letto molti testi e biografie di veri serial killer, sia europei che di altri continenti. Poi ho parlato con specialisti, avvocati, criminologi, investigatori, giornalisti e altre persone che hanno avuto occasione di trovarsi a confronto con criminali di vario tipo. Successivamente, ho cercato di comprendere il modo di ragionare di una persona tanto particolare quanto può esserlo un assassino. Per finire, ho simulato ogni omicidio fin nei minimi particolari, andando anche nei posti dove questi erano stati commessi. Tranne che per il caso di Parigi, che per ovvi motivi non ho potuto ricostruire al cento percento, in tutte le altre situazioni questa è stata la prassi che ho seguito.»
Qual è il messaggio che voleva trasmettere?
Volevo raccontare una storia diversa da quelle che sono abituato a leggere, cercando anche di trasmettere il senso di oppressione causato dal lato oscuro di ognuno di noi, che in alcune persone può arrivare a esplodere, con conseguenze spesso terribili.
C’è un personaggio in cui si rivede?
«Certamente non in Antonio Scalonesi.»
Ha qualche legame affettivo con i luoghi in cui sono ambientate le vicende?
«I fatti raccontati si svolgono in buona parte nel Cantone Ticino e in Italia. In Ticino ci sono nato e lo conosco bene, l’Italia la amo profondamente. Naturalmente ho cercato di mescolare un po’ le acque e i nomi di alcuni luoghi sono stati cambiati.»
Quanto è durata la gestazione del testo? Quale è stata la parte più faticosa della lavorazione?
«Ho impiegato circa dieci anni per scrivere questo racconto. Andando a rivedere le bozze salvate, ho contato una trentina di versioni diverse prima di arrivare a ottenere la stesura definitiva. In verità, non ho mai modificato la storia, ma è stata la caratterizzazione di Antonio Scalonesi che mi ha dato molto lavoro. Volevo che nel personaggio apparisse evidente fin da subito la mancanza di empatia, ma desideravo anche che non risultasse antipatico cosicché tutti potessero in qualche modo riconoscersi in lui, arrivare a condividere il suo modo di pensare e, in un certo senso, a stare dalla sua parte.»
Il suo libro è un lungo monologo del protagonista. Perché ha deciso di adottare questa tecnica narrativa?
«Si tratta di una soluzione cui sono arrivato dopo una lunga ponderazione. Avevo iniziato a scrivere con la classica formula del dialogo, con domande e risposte. Tuttavia, la resa non era adeguata sia in quanto a scorrevolezza della lettura sia in quanto a caratterizzazione del personaggio, che difatti è un narcisista. Scalonesi vuole che gli vengano riconosciuti pubblicamente i “meriti” delle sue “opere” e deve essere lui il centro di tutto. Ecco perché ho optato per una formula narrativa in cui fosse sempre lui a condurre il discorso, anche se sta rispondendo a una domanda del procuratore.»
Com’è arrivato al titolo?
«Il titolo è arrivato ancora prima del romanzo. Tutto è partito praticamente da lì.»
Come ha espresso la sua personale voce di scrittore nel testo? In che modo lo ha reso “suo”?
Ho cercato di evitare in tutti i modi che la mia voce di scrittore si esprimesse nel racconto: volevo che i lettori potessero in qualche modo sentirsi loro stessi parte della storia. Spero di esserci riuscito.
Prevede un seguito per il suo libro?
«In realtà no. Però è vero che ho lasciato una porta aperta per un eventuale spin-off. Non si sa mai.»
Avrebbe cambiato qualcosa dopo che il libro è stato pubblicato?
«Per fortuna no!»
Ritiene che i pareri di coloro che l’hanno letto rispecchino il suo lavoro?
«Memoriale di un anomalo omicida seriale piace, quindi sono soddisfatto. Anche se, purtroppo, questo periodo non è certo l’ideale per una nuova uscita. Ma come potevamo prevederlo nel momento in cui abbiamo programmato la pubblicazione?»
Per promuovere il suo libro è stato girato anche un book trailer. Ci rivela un po’ di backstage?
«Il book trailer lo abbiamo girato a febbraio sul Passo del Lucomagno, a 1920 metri di altitudine. Ci serviva una tormenta di neve e così abbiamo dovuto aspettare il giorno perfetto. Alla fine la tormenta è arrivata e abbiamo potuto fare le riprese. La temperatura era di oltre 10 gradi sotto zero e il vento era così gelido che se ne percepivano ancor meno. Abbiamo usato cinque cineprese e, quando possibile, un drone. Un plauso va certamente a tutta la produzione, al regista Elia Andrioletti e agli attori, i quali hanno saputo interpretare alla perfezione il mio racconto e realizzare il video esattamente come lo avevo immaginato, malgrado le condizioni davvero proibitive.»
Cosa avete deciso di raccontare col book trailer?
«Non viene raccontata alcuna scena del libro. È un capitolo extra, che è stato volutamente tralasciato nel romanzo per essere realizzato sotto forma di cortometraggio e che chiude una questione rimasta aperta. Un piccolo regalo per i lettori che sono voluti entrare nella vita di Antonio Scalonesi. In questo, il book trailer del mio libro si rivela unico.
Cinque minuti di brivido allo stato puro – posso garantirvelo – con la voce narrante del collega scrittore Duilio Parietti. Abbiamo estratto un flash di 40 secondi che è già possibile trovare su YouTube, mentre il corto sarà interamente on line a breve, ma ha già goduto di un passaggio televisivo in anteprima su una rete privata della Lombardia.»
Lei è anche cantautore. Memoriale di un anomalo omicida seriale potrà mai diventare una canzone?
«Lo è già diventato. Ho scritto un testo intitolato D.D.D., sul quale poi Alex Cambise ha realizzato la parte musicale. Il brano lo abbiamo affidato alla voce di Luca Buletti, un giovane e promettente cantautore che lo ha anche inserito nel suo nuovo album. D.D.D. è così diventato il brano originale e la colonna sonora del book trailer.»
Scrivere canzoni e scrivere libri. Qual è la diversità di approccio?
«In una canzone il messaggio deve essere diretto. È molto importante saper padroneggiare l’arte della sintesi per riuscire a trasmettere il proprio pensiero in un lasso di tempo molto breve. In un libro, invece, si ha tutto il tempo per sviluppare una storia in ogni particolare e per approfondire i personaggi, ma l’intreccio deve poter reggere sulla distanza e questo è un esercizio per nulla semplice.»
Ha un autore o un’autrice che lo ha ispirato nella stesura di questo libro?
«Fra gli scrittori italiani i miei preferiti sono certamente Carlo Lucarelli, Andrea Vitali e Luigi Pirandello. Fra gli stranieri apprezzo particolarmente Martin Cruz Smith, Robert Ludlum e John Grisham, ma anche Fëdor Dostoevskij, Gustave Flaubert e Alexandre Dumas. È ovvio quindi che tutti loro in parte mi abbiano ispirato. In ogni caso, fino a oggi ho sempre cercato di non avvicinarmi allo stile di nessuno, anche perché come artista non voglio essere la copia di qualcun altro. Recentemente ho però terminato di scrivere un nuovo romanzo che, in questo caso volutamente, si ispira allo stile di Andrea Vitali. Niente a che vedere con il thriller: si tratta di una storia di paese che racconta una vicenda intricata, una sorta di commedia degli equivoci, che si sviluppa a seguito della morte di un’anziana vedova e a causa del ritiro dai campionati minori della locale società calcistica, con la relativa messa in vendita dell’ormai inutilizzato campo da calcio da parte della parrocchia.»
Ci propone tre titoli di libri che consiglierebbe a un amico lettore?
«Questa è una domanda che mi mette particolarmente in difficoltà: sono un lettore compulsivo e quindi mi viene difficile scegliere qualcosa da proporre agli altri. Comunque, dal momento che vi ho raccontato l’aneddoto della falsa biografia di Howard Hughes, scritta da Irving, raccomanderei un altro suo libro, The Hoax, che racconta gli eventi di quella geniale truffa fallita. Per il genere spoofing avventuroso proporrei il bellissimo romanzo di Paolo Ferruccio Cuniberti, Ultima esperanza. Nel cuore della Patagonia selvaggia, che riporta la storia del veterinario piemontese Federico Sacco, raccontata in prima persona dal protagonista stesso, che nel 1869 partì da Genova per il Cile, con l’intento di esplorare la Patagonia. E infine un classico fra i più belli di sempre, un romanzo che, a differenza di quello che molti erroneamente pensano, si legge tutto d’un fiato: Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij.»
19 maggio 2020
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Antonio Scalonesi. Memoriale di un anomalo omicida seriale
Autore: Davide Buzzi
Editore: 96, rue de-La-Fontaine Edizioni
Genere: Gialli & Noir
Collana: Il lato inesplorato
Anno di pubblicazione: 2020
Pagine: 322
Versioni disponibili: Cartaceo, eBook, Audiolibro
Il libro sui social: Antonio Scalonesi – pagina facebook.
Altri libri dell’autore: Il mio nome è Leponte… Johnny Leponte (96, rue de-La-Fontaine Edizioni, 2013-19), La multa (Collettivo ARBOK/ANA Edizioni, 2017).
Sito web: www.davidebuzzi.com
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