di Marianna Zirino
Le ragazze
Autrice: Emma Cline
Editore: Einaudi
Traduttrice: Martina Testa
Genere: Moderna e contemporanea
Anno edizione: 2017
Anno prima edizione: 2016 (Usa)
Pagine: 344
Consigliato a chi ama i romanzi di formazione (forte), ambientati nell’America degli anni Sessanta; a chi anela a scrivere un romanzo e non ha ancora trovato il Manuale di scrittura creativa perfetto.
America, anni Sessanta. Prosperità economica e famiglie disfunzionali, ma neanche tanto. Giovani (pre)adolescenti agiati, insicuri e superficiali, ma nemmeno lontanamente sfiorati dal disagio autentico. I quali, per opporsi al “sistema”, all’autoritarismo degli adulti e delle istituzioni, al capitalismo consumistico, a quel minimo di regole che genitori distratti, insoddisfatti o assenti cercano di imporre di tanto in tanto, vanno a infilarsi tra le spire mefitiche della setta di turno. Che alloggia ai margini della cittadina di provincia in edifici fatiscenti, accudisce dei lama e rubacchia qua e là nelle ville e nei supermercati, ma soprattutto rovista nei cassonetti in cerca di cibo avariato per poter mangiare. Con il guru manipolatore senza talento, maniaco sessuale pervertito, violento e frustrato, che propina ai suoi seguaci − insieme all’imprescindibile pioggia di droghe − la sua filosofia spicciola di uguaglianza sociale ed economica, amore cosmico e discutibile sesso libero (con lui e i suoi amici cui presta le ragazze in cambio di favori impossibili).
E tra gli adepti qualche giovane buonannulla un po’ invidioso e uno stuolo di fragili, ma odiose (per non dire malvagie) adolescenti, con poco cervello e zero solidarietà fra loro, tutti completamente soggiogati e irretiti dal carisma patetico di Russell, con buona pace della ribellione contro le ingiustizie sociali e per la conquista dell’autonomia… fino al tragico epilogo.
Ma Evie Boyd, la protagonista, o per meglio dire la co-protagonista, che si alterna nella narrazione con la se stessa ormai adulta, scruta persone e cose e tutto ciò che la circonda con il medesimo sguardo al raggio laser della scrittrice Emma Cline.
Ogni particolare della realtà, ogni viso, ogni emozione, ogni odore e suono viene analizzato con la lente d’ingrandimento e con il proposito di svelare l’altra verità, che quasi sempre sa di mediocrità, di ipocrisia, di grottesco, di banalità, di inesorabile scorrere del tempo, di crudeltà della vita.
“…E mi accorsi subito che quella con i capelli neri era la più carina. (…) Aveva attorno a sé un’aura di distacco dal mondo terreno – recita la descrizione della leader Suzanne Parker – e portava un vestitino largo e sporco che le copriva a malapena il sedere. Era accompagnata da una ragazza magrissima (…) e un’altra più grande (…). Parevano appena ripescate da un lago”.
Dopo qualche pagina, Suzanne si ripresenta nei ricordi di Evie: “C’era stato un tempo in cui perdevo ore dietro a quella roba. (…) Il sito web dedicato ai dipinti di Suzanne in carcere. Acquerelli di catene montuose, nuvole tipo panna montata, le didascalie piene di errori di ortografia. (…) Suzanne in jeans e maglietta bianca, i jeans rigonfi della ciccia della mezza età, il viso simile a una tela vuota”.
Chi ha negli occhi lo sguardo della Cline scrittrice sulla realtà propria della quattordicenne Evie, e così poca accondiscendenza per le debolezze dell’essere umano e le imperfezioni del mondo, non resiste a lungo tra gli adepti disperati di una setta, neppure satanica: prima o poi se ne va o ne viene cacciato, forse con qualche rimpianto, pronto a riemergere a ogni fallimento della vita futura (proprio come accade nel romanzo). Così come chi ha il talento di Emma Cline per la scrittura… non ammazza nessuno. Piuttosto scrive romanzi di successo. Come Le ragazze, appunto.
Leggerlo è come quando una sera per cena si acquista un primo pronto confezionato, ma si scopre che è delizioso, proprio buono! Se ne vorrebbe gustare subito un’altra porzione e si tornerà a comprarlo.
Il libro d’esordio della giovane americana, grande successo in patria, sembra scritto al termine di un eccellente corso universitario di scrittura creativa, tenendo stretti tra le mani gli appunti presi.
Lo si potrebbe evincere da una serie di indizi apparentemente inequivocabili. Le innumerevoli similitudini di cui sono costellate le frasi, le immagini indelebili che la scrittura riesce a evocare con grande naturalezza, la parsimonia nell’uso di più di un aggettivo di seguito, la scrittura precisa ed equilibratissima: “Rimasi ad ascoltare mentre lui e Julian parlavano di droghe con la concentrazione dei professionisti, scambiandosi statistiche come trader di borsa. (…) Era strano sentire che le droghe venivano appiattite a una questione di numeri, merce quantificabile invece che portale mistico. Forse l’approccio di Zav e Julian però era migliore, tagliava via tutto quell’idealismo da rintronati”; “…arrivai… alla vicina stazione di servizio Texaco. Passai sotto le luci gialle dei lampioni, da cui proveniva un suono come di pancetta lasciata a friggere”.
La scelta dei personaggi e la loro descrizione sono sempre essenziali ma incisive e caustiche: “La professoressa di arte era la Cooke, tutta seria e presa dall’ansia del primo impiego. La striscia di fondotinta che a volte le vedevo lungo la mascella mi faceva pietà, anche se lei con me cercava di essere gentile. (…) Mi disse che si era trasferita da New York per quel lavoro (…) che le sembrava di incominciare a impazzire”.
E, ancora, la non-trama del romanzo, che si ispira direttamente al massacro compiuto dalla setta di Charles Manson nella villa di Roman Polanski nel 1969.
Convincente la costruzione-scelta del personaggio principale: una donna non più giovane, sola, inevitabilmente irrisolta, rievoca la sua breve frequentazione della comunità di sbandati assassini in giovanissima età, dando vita alla propria co-protagonista ragazzina, di cui viene ricostruita la drammatica vicenda adolescenziale.
In breve, volendo riassumere questo romanzo in tre parole: la tecnica, la tecnica, la tecnica. Ma il risultato è interessante: un buon libro confezionato alla perfezione, che non delude. Sorretto, oltre che dal talento della scrittura, da un’idea originale e forte, indispensabile per la riuscita e la tenuta di un romanzo.
La grande schivata dell’adolescenza sarà anche questione di caso o di fortuna persino di amore, ma perlopiù è una questione di cervello!
Il libro in una citazione
«Forse essere madre vuol dire questo, pensai, guardando Sasha finire l’ultimo goccio di birra e asciugarsi la bocca con la mano come un ragazzo. Provare questa inaspettata, sconfinata tenerezza per qualcuno, nata apparentemente dal nulla.»
14 maggio 2020
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