Quando apri Brucia la notte, ti sembra di tirar fuori dalla custodia un doppio vinile. L’ultimo romanzo di Luca Pasquadibisceglie, 49enne impiegato piemontese, è infatti strutturato nei lati A, B, C, D e presenta citazioni musicali in esergo.
Sfogliando le pagine il lettore si immerge nella storia di Simone e Rebecca, studenti universitari fuori sede, che nel 2014 si incontrano e si amano a Torino. Renato, amico di Simone, apre un blog musicale e lo coinvolge fino a farlo andare a Parigi al suo posto. Da quel momento, la voce narrante sarà anche quella di Matisse, fantasma di un ragazzo assassinato al Bataclan, che accompagna la coppia sino al finale a sorpresa, in riva a un mare magico e colmo di mistero.
LA VOCE DELLO SCRITTORE
Luca Pasquadibisceglie racconta Brucia la notte
Luca Pasquadibisceglie, com’è nata l’idea di questo libro?
«Ho iniziato a raccogliere le idee per un nuovo romanzo subito dopo il mio esordio nel mondo dell’editoria professionale, avvenuto nel 2017 con La meglio famiglia. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, nati più che altro per tenermi in allenamento, ho trovato l’ispirazione e ho cominciato a lavorarci in ogni momento libero. Essendo un pendolare, il tempo dei viaggi è stato essenziale per trovare il ritmo della scrittura.»
A che tipo di lettore consiglierebbe Brucia la notte?
«In maniera forse un po’ ruffiana, rispondo facendo mie alcune recensioni scritte dai miei lettori, così evito di essere scontato. Brucia la notte è un libro adatto a tutti coloro che cercano una storia non banale e dal finale inaspettato, scritta con originalità e ottimo ritmo. È una storia di crescita e d’amore, amicizia, musica rock e vita quotidiana, dalle molte sfaccettature, sempre funzionali alla trama e ai personaggi.»
Perché il suo libro andrebbe letto?
«Perché trae origine da un’idea semplice e allo stesso tempo originale e coinvolgente. Usando molta creatività vengono rappresentati sentimenti e valori comuni, ma non superficiali, quali l’amicizia, l’amore e lo stupore di ritrovarsi vivi (o morti) in ogni istante. Infine, è scritto con un ritmo quasi cinematografico e uno stile personale e deciso.»
Qual è il messaggio che voleva trasmettere?
«Non importa se si è vivi o morti, la forza dell’amore può catturarci in qualsiasi momento. E, se siamo fortunati, possiamo vivere con intensità ogni sua sfumatura.»
Cos’è nato prima? La storia o i personaggi?
«È nata la storia, come mi succede sempre. Avevo in mente in maniera precisa soprattutto l’inizio e il finale, luoghi compresi, che sono rimasti invariati nel corso delle tre profonde revisioni cui il romanzo è stato sottoposto.»
C’è un personaggio in cui si rivede?
«Ho messo un po’ di me stesso in ciascuno dei quattro protagonisti. Sono particolarmente soddisfatto del personaggio di Rebecca, al quale sono riuscito a donare gran parte del mio lato lunare e femminile, da buon cancerino quale sono.»
La storia è ambientata tra Francia e Italia. Ha qualche legame affettivo con i luoghi che ha scelto?
«La storia nasce a Parigi, e non potrebbe essere altrimenti. Il resto l’ho spostato da Milano a Torino perché volevo ricreare l’ambiente universitario e non quello piccolo borghese della prima stesura, che forse peccava di banale superficialità, letta e vista mille altre volte. Lavorando, fra le altre città, anche a Torino, mi sono divertito a immaginare ogni situazione in luoghi che conosco e che ho frequentato, i Murazzi su tutti.»
Perché ha deciso di legare le vicende dei suoi personaggi ai fatti tragici del Bataclan?
«Il Bataclan è allo stesso tempo il punto di arrivo dell’esperienza del blog di Renato, vissuta per interposta persona grazie a Simone, e quello finale, purtroppo, delle decine di vite stroncate dall’attentato. A me sembrava un buon punto di partenza della narrazione e, più in generale, una visione creativa per ricordare l’evento. L’invenzione di Matisse ha reso la seconda parte del romanzo emozionante e originale. Matisse sarebbe potuto nascere, purtroppo, nel corso di molti altri eventi tragici, ma ho scelto quello per omaggiare chi è uscito di casa per andare a divertirsi a un concerto rock e non ha mai più fatto ritorno. In fase di preparazione della scaletta della storia – e la chiamo così non a caso – la mia grande passione per il rock e i concerti dal vivo, sia suonati che vissuti da spettatore, ha poi fatto il resto.»
Dopo l’attentato al Bataclan è cambiato il suo approccio agli eventi live?
«Non nascondo che per alcuni mesi il mio approccio ai luoghi affollati è cambiato. Alcune volte mi sono sorpreso a guardarmi alle spalle per controllare cosa stesse succedendo, un riflesso incondizionato che con il tempo si è affievolito. Con una battuta, pensata per stemperare un po’ la paura, mi dicevo che, vista l’età non più giovanissima, era meglio rimanere vicino all’uscita piuttosto che andare sotto al palco a ballare e pogare.»
Come si è documentato per rendere al meglio la drammatica situazione vissuta in quel momento?
«Ho letto molte cronache di quella serata, alcune interviste ai sopravvissuti, e ho visionato qualche ora di filmati e speciali televisivi a riguardo. Confesso però che al momento di scrivere non ho voluto entrare molto nella ricostruzione precisa degli eventi e dello svolgimento della strage. Al contrario, ho preferito raccontare tutto con lo stile in presa diretta di una persona che entra al Bataclan per assistere a un concerto rock, nulla più.»
Della sua passione per la musica c’è evidente traccia nei personaggi che ha creato.
Sì, è vero. Mi sorprende scoprire come i miei personaggi si incasellino quasi sempre alla perfezione in alcune canzoni. Alcune volte riesco a dimostrarlo con la scrittura, in altre rimane una mia impressione che scelgo di non condividere con il lettore. Chi mi conosce di persona e ha avuto occasione di sentirmi parlare di musica nel corso di Solchi e parole (una rassegna di racconti e ascolti musicali organizzata da Pasquadibisceglie presso un negozio di dischi di Biella, ndr) sa che dietro a ogni personaggio si nasconde qualche canzone, e cercare di scovarle tutte diventa una piacevole sfida. Il fatto è che mi fisso su alcune frasi, apparentemente sconnesse fra loro, e le ascolto decine di volte. Per ‘Brucia la notte‘ mi è successo con un verso di Leonard Cohen in ‘Dance me to the end of love‘ e con ‘Californication‘ dei Red Hot Chili Peppers.
Immaginiamo che lei ascolti musica anche mentre scrive. Come la ascolta?
«Ascolto parecchia musica nel corso di tutta la giornata, quindi indosso le cuffie anche quando scrivo. In treno o in aereo, poi, sono indispensabili. A casa uso i vinili e i cd, in viaggio Spotify.»
Ha concepito la trama così com’è stata pubblicata o inizialmente aveva un’altra idea?
«Tutti i personaggi, tranne Matisse, sono cambiati in maniera sostanziale durante il processo di scrittura. Inizialmente Simone e Renato erano due professionisti quasi quarentenni, Rebecca un’amica dell’amante di Renato e l’ambientazione era milanese e non torinese. Ho cambiato Milano con Torino per una certa attitudine studentesca che conosco e identifico più con l’ambiente di Palazzo Nuovo rispetto agli altri atenei, non so se a torto o ragione. Il cambio di età è stato deciso prima della seconda stesura, per alleggerire di molto il peso dell’importanza del blog musicale creato da Renato.»
Come è arrivato al titolo? Lo ha proposto lei o lo ha scelto la casa editrice?
«Il titolo è nato prima che cominciassi a scrivere la storia. Ci sono arrivato leggendo alcune poesie di Patti Smith e giocando con le parole che mi ispiravano. Quando ho cercato Brucia la notte su Google, ho scoperto che nessuno aveva mai usato questo titolo prima. È stata una sorpresa, avrei scommesso il contrario. La casa editrice mi ha sempre lasciato la più ampia libertà di azione e di scelta, non immagino di lavorare in altro modo.»
Quanto è durata la gestazione del testo e quale è stata la fase della lavorazione più faticosa?
«In otto mesi sono passato dalla scelta del titolo e dal primo canovaccio alla stesura finale. Dopo un paio di mesi trascorsi a lavorare alla revisione, il romanzo è stato dato alle stampe. La fase più intensa è stata quella di raccordo fra la prima e la seconda parte della storia: mantenere i personaggi coerenti e realistici non è stato facile. L’ingresso di Matisse, il decorso post Bataclan di Simone e l’aggravarsi della sua dipendenza dall’alcol sono stati sviluppi che mi hanno messo alla prova più del previsto.»
Prevede un seguito?
«No, il finale è perfetto così e non lascia spazi a ulteriori sviluppi. Se qualcuno vuole proseguirla faccia pure, io mi fermo qui.»
Avrebbe cambiato qualcosa dopo che il libro è stato pubblicato?
«C’è sempre qualcosa che vorrei cambiare, penso faccia parte della mia natura perfezionista. Una virgola, la struttura di un paragrafo, il titolo di un capitolo. Per fortuna, arriva il momento in cui devo dire basta, consegnare la versione finale e non pensarci più. Quasi più, diciamo.»
Ritiene che i pareri di coloro che lo hanno letto rispecchino il suo lavoro?
«Assolutamente sì. Le recensioni sono tutte positive e finora mi hanno ripagato dell’impegno profuso. Ho letto parole di sincera ammirazione, a volte di autentica commozione, sia verso la storia che verso i personaggi e le loro emozioni. La meglio famiglia aveva avuto recensioni ugualmente positive, ma si trattava di una storia con pochissimo amore, molto odio e tanta violenza. Brucia la notte è una storia diversa e più densa, meno prolissa e leggibile, con diversi livelli di intensità, nella quale ogni parola ha il suo peso e la sua importanza.»
Dopo la pubblicazione, la casa editrice ha ideato un concorso legato al suo libro. In cosa consisteva?
«Si trattava di scattare una fotografia che illustrasse il rapporto del lettore con la musica e il libro. È stata un’idea originale e innovativa che ha riscosso un discreto successo.»
Come ha espresso la sua personale voce di scrittore nel testo? In che modo lo ha reso “suo”?
Chi mi conosce nella vita reale mi ha più volte detto che nei miei personaggi si legge molto del me stesso che interagisce quotidianamente con gli altri. Modi di dire, frasi costruite in un modo particolare, immagini ricorrenti. Non è una cosa che avviene coscientemente. Anzi, cerco e credo di scrivere nella maniera più neutra possibile. Ma evidentemente non ci riesco, e la mia personalità e le mie idee travalicano la tastiera fissandosi nel lavoro finito.
Ha uno scrittore di riferimento o un artista musicale che lo ha ispirato anche nella stesura di questo libro?
«Leonard Cohen è stato sempre presente mentre pensavo e scrivevo Brucia la notte. Ne potrei parlare all’infinito, ma so che risulterei noioso. La sua intensità letteraria e la sua vita, anche quella trascorsa nelle ultime ore terrene dedicate all’amore di sempre Marianne, scomparsa poco prima di lui, mi hanno accompagnato per mesi. Non passa giorno senza che ascolti una sua canzone, The future soprattutto, o pensi a un suo testo. Anche soltanto al suo viso, che con gli anni aveva assunto sempre più il ricordo di un’anziana, saggia tartaruga. In queste settimane di quarantena, per il nuovo romanzo mi sono inconsapevolmente indirizzato verso un genere musicale del tutto diverso, e sono curioso di scoprire cosa ne verrà fuori.»
Crede che le parole delle canzoni possano essere vera poesia? Cosa ne pensa del Nobel per la letteratura a Bob Dylan?
«Ne sono convinto e lo ripeto a tutti fin dai tempi dell’adolescenza, quando scoprii il genio musicale di Roger Waters e di The wall. Ma anche di The dark side of the moon, Wish you were here e Animals. Lo stesso vale per Fabrizio de Andrè, Francesco De Gregori e Ian Curtis, un altro artista che idealmente tengo da decenni sul mio comodino. Non conosco molto Dylan e so che per alcuni amici, questa suona come un’eresia. Se avessi potuto attribuire io il Nobel, avrei scelto Cohen. Mi consola il fatto che nei giorni successivi la vittoria di Dylan, che ricordo nemmeno si degnò di partecipare alla cerimonia di premiazione, numerosi esponenti della cultura letteraria e musicale mondiale espressero il mio stesso pensiero. E pazienza se con questo mi sono alienato per sempre la simpatia dei dylaniani che ci leggono.»
C’è poesia nel suo libro?
«Sì, e non lo dico soltanto io. Le recensioni di chi lo ha letto riportano spesso questa parola, e ne sono contento. Soprattutto in alcune scene ho lavorato come penso faccia un poeta e non un romanziere: curando le parole per dar loro musicalità e ritmo, giocando con la punteggiatura e i termini assonanti per rendere l’idea che avevo nel cuore. Le ultime pagine, confesso, le ho concluse quasi con le lacrime agli occhi. Molti mi hanno scritto di aver versato qualche lacrima al termine della lettura, colpiti dal lirismo e dall’intensità del finale. Anche se forse è superficiale, questa è la mia idea di poesia.»
Ci dice tre titoli di libri che consiglierebbe a un amico lettore?
«Per chi suona la campana di Ernest Hemingway, un’altra icona per il mio comodino; Fidanzata in coma di Douglas Coupland, un libro che non riesco a dimenticare; A good life di Jay McInerney, il finale più bello che abbia mai letto. Menzione a parte per i lavori di Antonio Manzini e la serie del Commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni.»
5 maggio 2020
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Brucia la notte
Autore: Luca Pasquadibisceglie
Editore: Effedì
Genere: Moderna e contemporanea
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 188
Versioni disponibili: Cartaceo
Il libro sui social: Brucia la notte – pagina facebook
Altri libri dell’autore: La meglio famiglia (Effedì, 2017).
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