Paolo e Leonore si innamorano sullo sfondo della guerra civile siriana e del terrorismo internazionale. Si ritrovano così al centro di una storia in cui si scontrano culture e mentalità e che, in ultima analisi, si rivela un inno alla pace del futuro. La racconta Antonio Rubino, 41enne ingegnere piemontese, nel suo romanzo Il discorso delle stelle, in cui ognuno dei 26 capitoli viene introdotto da un concetto astronomico con l’intenzione dichiarata di tracciare un costante parallelismo tra universo e anima.
Un romanzo che, a detta di molti, scuote il lettore perché lo induce a riflettere profondamente su se stesso pur mettendolo di fronte a realtà erroneamente percepite come distanti.
LA VOCE DELLO SCRITTORE
Antonio Rubino racconta
Il discorso delle stelle
Antonio Rubino, com’è nata l’idea di questo libro?
«È nata dopo un mio viaggio nel Kurdistan turco risalente al 2014. Vedere le popolazioni locali così dilaniate dalla guerra civile – basti ricordare l’attentato del 2015 alla scuola nei pressi di Şanlıurfa – mi ha colpito nel profondo.»
A che tipo di lettori lo consiglierebbe?
«Ai lettori che prediligono i libri con una trama ricca e avvincente, alla Ken Follett, oppure a coloro che amano i romanzi con risvolti di integrazione culturale tra popoli nonché ambientazioni mediorientali, tipo Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini o La masseria delle allodole di Antonia Arslan.»
Perché il suo libro andrebbe letto?
«Leggendolo si impara tanto, sia in fatto di guerra civile siriana sia in fatto di scenari geopolitici mondiali. Inoltre, è un grande inno alla pace che ci porterà a vedere le cose in modo diverso. Tutto questo è condensato in un romanzo avvincente, di facile lettura. In altre parole, il testo è un vero e proprio connubio tra messaggi importanti e buon entertainment.»
Qual è il messaggio più importante che voleva trasmettere?
Il discorso delle stelle invita a guardare ciò che ci circonda, senza escludere noi stessi, da una prospettiva più lontana: l’universo infinito che, coi suoi segreti, i suoi misteri e la sua profondità, non è troppo diverso dall’immenso e recondito dentro di noi. Proprio adottando una prospettiva tanto inusuale, in continuo parallelismo tra universo e nostre vite, compresi i risvolti interiori, il lettore può evolvere contemporaneamente ai personaggi del romanzo. Talvolta, allargando il campo, riusciamo infatti a riposizionarci su osservatori privilegiati, che ci fanno notare cose diverse.
Che tipo di personaggi ha deciso di modellare sul conflitto di cui narra?
«In termini generali, sono personaggi dinamici, che evolvono e si contaminano a vicenda, lanciando messaggi precisi. Alla base c’è la convinzione che il bene è dentro ognuno di noi. Benché questa visione possa sembrare utopica, nel mio romanzo non analizzo il male nelle persone, bensì solo il bene. Anche se il libro parla di guerra, mi soffermo sul bicchiere mezzo pieno, non sulla metà vuota. Il sogno è di riempirlo e anche di vederlo tutto pieno.»
C’è un personaggio in cui si rivede?
«Chi mi conosce direbbe sicuramente il protagonista. Paolo ha tratti che ricorrono in altri miei scritti ed è, in un certo senso, il mio alter ego.»
Ha concepito la trama così come è stata pubblicata o inizialmente aveva un’altra idea?
«Ho lavorato assieme ad alcuni editor per snellirla: il testo è stato tagliato di circa un 20% rispetto alla versione iniziale. Purtroppo gli autori esordienti non possono permettersi romanzi troppo lunghi.»
Il titolo lo ha proposto lei o lo ha scelto la casa editrice?
«L’ho proposto io. È un titolo emblematico, che vuole rappresentare il legame tra anima dell’universo e anima dell’uomo, esplicitato nella stessa struttura del testo. Ogni capitolo prevede infatti un’introduzione che si sofferma su un concetto astronomico e prosegue poi con la narrazione degli avvenimenti.»
Quanto è durata la gestazione del testo e quale è stata la parte della lavorazione più faticosa?
«La prima stesura e le quattro riscritture successive sono state effettuate da agosto 2016 a marzo 2017 ed è stato un periodo molto intenso. Da aprile 2017 a luglio 2019 ho lavorato alla revisione e alla ricerca di un editore con il mio agente.»
Prevede un seguito?
«Il finale è costruito in modo da non escluderne la possibilità. Tuttavia, non credo che scriverò un seguito perché sono una persona molto eclettica, amo le novità così come spaziare in diversi scenari e ambiti del sapere. Però mai dire mai…»
Avrebbe cambiato qualcosa dopo che il libro è stato pubblicato?
«A parte piccoli refusi, direi di no. Nei numerosissimi feedback dei lettori ci sono poche note negative comuni, quindi di sostanziale non avrei cambiato nulla. Ecco, forse avrei desiderato un editing più spinto.»
Ritiene che i pareri di coloro che lo hanno letto rispecchino il suo lavoro?
«Complessivamente sì, il messaggio è stato recepito chiaramente. Magari i passaggi cui sono più legato sono arrivati con meno efficacia rispetto ad altri, ma è normale che accada. Certo che mi riempie di gioia vedere quando i lettori rimangono colpiti proprio dalle parti a me più care così come constatare che molti caldeggiano la trasposizione cinematografica e, poiché il testo tratta temi di portata internazionale, anche la traduzione in inglese.»
Come ha espresso la sua personale voce di scrittore nel testo? In che modo lo ha reso “suo”?
Il mio libro è l’unico esempio di narrativa letteraria che apre ogni capitolo con un concetto astronomico che si fa metafora della vita. Per me l’astronomia è sempre stata una passione, fin da quando da bambino ricevetti in regalo un telescopio da mio padre. Stavo scrivendo il terzo capitolo, che poi ho intitolato ‘Il paradosso di Olbers’ (com’è possibile che il cielo notturno sia buio nonostante l’infinità di stelle?, ndr), e mi è venuta l’idea di legare la storia alle deduzioni dell’astronomo dell’Ottocento. Ho subito pensato che sarebbe stato strepitoso applicare questa strategia agli altri capitoli e ho iniziato così a tracciare un parallelismo dietro l’altro. Benché trovarne addirittura ventisei e controllarne la congruità con le vicende dei protagonisti sia stato molto dispendioso, oggi sono davvero contento di aver incanalato tanta energia in quella che si è poi rivelata la caratteristica più spiccata del testo.
Che ruolo hanno avuto la sua esperienza diretta e i suoi studi nella stesura?
«Quanto all’esperienza diretta, prima di scrivere questo libro ho fatto diversi viaggi in Mediorente. Ho poi studiato numerosi saggi sulla situazione geopolitica dell’area in cui ho ambientato le vicende e ho consultato altrettanti libri di astronomia. Spero poi che la mia formazione universitaria scientifica mi abbia precluso errori di concetto grossolani.»
Lei è un ingegnere chimico. Quanto ha influito la sua professione sul suo modo di scrivere?
«Tutto ciò che siamo e facciamo influisce. Dentro di me ho sempre avuto due esigenze contrastanti da soddisfare: una legata appunto alla mia professione e alla mia formazione e l’altra alla letteratura, strada di studi che non intrapresi. Mi chiedo sempre cosa sarebbe successo se non avessi scelto ingegneria. Magari non avrei scritto nemmeno un romanzo…
L’amore per i libri e la letteratura c’è sempre stato però, essendo io molto ambizioso, come il protagonista di questo libro, ho deciso di studiare ingegneria proprio perché tutti dicevano fosse una sfida e perché volevo ottenere il massimo a livello lavorativo. Comunque non ne sono pentito. Anzi, oggi posso anche dire di avere avuto la meglio su mio padre — persona molto colta, che stimo tanto e con cui mi sono sempre sentito in competizione — che cercò di distogliermi da questa carriera universitaria e anche dalla stesura del mio libro. Quando, ad agosto 2016, gli dissi che avrei voluto scrivere un libro da candidare a un concorso nell’aprile successivo mi rispose: ‘Un romanzo in otto mesi? Impossibile!’. E io decisi di sfidarlo. Sicuramente devo anche a lui il fatto che io abbia saputo e potuto scrivere un’opera di questo calibro.»
Il suo romanzo racconta una guerra, ma anche un amore. Se dovesse definirne il genere, dove lo collocherebbe?
«È un’opera di narrativa, non di genere. Quindi narrativa letteraria, mi piace pensare. C’è qualcosa di utopico, ma non è un romanzo utopico. C’è qualcosa di formazione, ma non è un romanzo di formazione. Di sicuro è un libro sulla pace, ma non solo. È davvero difficile catalogarlo.»
Nel suo libro ha voluto far emergere l’incontro e lo scontro tra due culture differenti. Ci dice quale escamotage narrativo ha adottato per riuscirci?
«Ho ambientato la storia tra Milano e la Siria e ho narrato l’incontro tra due famiglie molto diverse. C’è un capitolo, il dodicesimo per l’esattezza, molto significativo a tal proposito, in cui la relazione tra Paolo e Leonore è assimilata a quella che intercorre tra la nana bianca e la gigante rossa, due astri che sono una stella sola, una stella doppia, chiamata appunto nova simbiotica.»
Ha un autore o un’autrice di riferimento che lo ha ispirato nella stesura di questo libro?
«Io leggo per lo più narrativa, ma direi che non c’è un autore in particolare che mi ha ispirato.»
Ci dice tre titoli di libri che consiglierebbe a un amico lettore?
«Ne consiglierei un po’ più di tre ovvero la Trilogia della pianura (Canto della pianura, Crepuscolo e Benedizione) di Kent Haruf, benché lo stile sia opposto al mio; Norwegian Wood di Murakami, il libro che più mi è piaciuto di questo autore, e Vicolo del mortaio di Naguib Mahfouz.»
28 aprile 2020
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Il discorso delle stelle
Autore: Antonio Rubino
Editore: emersioni (Gruppo Lit)
Genere: Moderna e contemporanea
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 336
Versioni disponibili: Cartaceo
Altri libri dell’autore: Cavalcando il bene e il male (EdiGio, 2010; ilmiolibro, 2015)
Il libro sui social: Il discorso delle stelle – pagina facebook; antonio_rubino_scrittore – profilo instagram.
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