La ragazza di Stamford è un giallo ambientato tra Inghilterra e Ungheria che, solo qualche mese dopo la pubblicazione, ha ottenuto il premio letterario internazionale Nova Sociale Memorial Cavalier Matteo Sorrentino. La giuria lo ha decretato vincitore tra i titoli dei giovani italiani in gara per «la narrazione scorrevole e avvincente, le descrizioni minuziose, il dramma senza scampo di un giallo eccezionale», che «coinvolgono il lettore in un vorticoso turbinio di suspense ed emozioni».
In questo turbinio ci conduce l’autore Francesco Pirrò, 23enne studente di giurisprudenza all’Università Federico II di Napoli, raccontandoci la storia di un giovane che deve affrontare i demoni del passato.
LA VOCE DELLO SCRITTORE
Francesco Pirrò racconta
La ragazza di Stamford
Francesco Pirrò, com’è nata l’idea di questo romanzo?
«Vi capita mai di essere immersi in voi stessi e vagare, volare, e all’improvviso pensare: “Questa frase sarebbe perfetta per un racconto!”? Poi magari vi succede di nuovo, poi un’altra volta ancora, e così ve ne convincete perché quelle frasi, quelle idee, non vi abbandonano. Scrivere diventa quasi una necessità. Questo libro è nato proprio così: ho assecondato quella che io chiamo “passione necessaria”, cioè quel qualcosa che ti fa stare bene e che, un giorno, potrà far stare bene anche chi ti legge.»
A che tipo di lettore lo consiglierebbe?
«Credo che questo romanzo possa non avere un’etichetta e la reputo una caratteristica positiva perché significa che non si rivolge a un destinatario preciso, bensì a tutti. Lo può leggere sia chi vuole semplicemente rilassarsi, magari in un pomeriggio di pioggia, sia chi vuole provare a meditare e ragionare − insieme al protagonista – riguardo a determinati temi, che potrebbero fornire ottimi spunti di riflessione.»
Perché il suo libro andrebbe letto?
«Per tanti motivi. Prima di tutto perché c’è la concreta possibilità che possa piacere, visto che ha ottenuto un premio letterario internazionale. Poi perché narra una storia che sa tenere il lettore ben incollato alla pagina. E, infine, perché sono un giovane autore emergente che ha bisogno di tutti voi per continuare questo sogno: le vostre scelte potrebbero cambiare il mio futuro!»
Qual è il messaggio che voleva trasmettere?
Il protagonista, Frank, è mosso dall’amore che prova verso ciò che fa e ciò che lo circonda. L’amore verso il lavoro è la chiave del suo successo dal punto di vista professionale; quello verso la riflessione, la profondità di pensiero, gli consente di distinguersi dalla massa fin dall’adolescenza; quello per l’altro, per il diverso e, in un certo senso, anche per il “vinto”, fa sì che possa viaggiare e raggiungere un Paese dell’Est Europa che tutto è, in quel determinato momento storico, tranne che un Paese vincente. Questo viaggio gli permette di incontrare la sua persona, cosa che lo indurrà a fare la scelta più coraggiosa della sua esistenza. Senza l’amore Frank sarebbe come una pianta senza luce, senza anima e senza vita. Frank ha bisogno dell’amore e l’amore ha bisogno di Frank per vivere e manifestarsi attraverso di lui. L’amore per Frank è tutto.
Cosa è nato prima? La storia o i personaggi?
«Sono nati all’unisono e sono interdipendenti. La mia storia non potrebbe esserci senza i personaggi e viceversa.»
C’è un personaggio in cui si rivede?
«Mi rivedo proprio in Frank, che ha bisogno di uscire dagli schemi e di ricevere risposte dalla vita. Frank è uno scrittore e, come tutti gli scrittori, è una persona introspettiva. Benché spesso l’introspezione sia confusa con l’introversione, non è questo il caso.
Il lettore può capire la personalità del protagonista se riflette sul percorso di crescita che ha compiuto. Frank era un ragazzo come tanti finché non ha iniziato una lunga relazione con la solitudine a causa di un evento in particolare. Nonostante ciò, è cresciuto e ora ha un discreto successo, anche dal punto di vista professionale. È proprio quanto accaduto nella sua sofferta adolescenza che lo aiuta ad accettare serenamente o addirittura ad amare sinceramente l’ambiente in cui vive, troppo spesso grigio e buio. Frank è una persona ambiziosa: dall’evento negativo non si fa abbattere, ma trae insegnamento per migliorare, in qualsiasi campo della vita. Non ricerca la perfezione, che sarebbe un punto d’arrivo e, di conseguenza, una fine. Se giungesse alla perfezione non avrebbe più motivo di migliorare; proseguire non avrebbe più senso. Come il filosofo che in realtà non cerca la risposta alla domanda, Frank è interessato a pensare, ragionare. Se avesse la risposta, lo scopo di filosofare sarebbe caducato.»
Dove ha ambientato la storia? Ha qualche legame affettivo con i luoghi in cui si svolge?
«La storia è ambientata tra l’Ungheria e l’Inghilterra. Prima di iniziare a scrivere il romanzo, feci un viaggio in Ungheria, a Budapest. Fu un’esperienza magnifica, i luoghi mi colpirono al tal punto che decisi che avrei potuto ambientarvi una parte delle vicende. Il resto è ambientato in Inghilterra, nella contea del Devon e a Londra. In Inghilterra non sono mai stato, ma ogni minimo particolare che descrivo corrisponde alla realtà. Niente è lasciato al caso. Per esempio, all’inizio si parla di un gruppo di ragazzi che abitano in Buddle Close, un vialetto che termina con la brughiera; ecco, anche quel vialetto esiste davvero. Questo tipo di lavoro mi è costato tanta fatica, ma ne è valsa la pena. Il mondo ha posti magnifici da raccontare, non c’è bisogno di inventarne di nuovi.»
Perché proprio la contea del Devon e Londra, visto che non le ha mai visitate?
«Ho scelto il Devon per puro espediente letterario: avevo bisogno di un luogo vicino alla brughiera dove i ragazzi dell’Élite dei pensatori nottambuli potessero incontrarsi. Londra, invece, rappresenta la maturità: il protagonista sarà costretto, a un certo punto della narrazione, a trasferirsi nella capitale.»
Che tipo di ricerca ha fatto per rendere precise le descrizioni di questi luoghi?
«Mi sono servito di Google Maps, sia in 2D sia in 3D. Così sono riuscito a orientarmi correttamente, proprio come se fossi stato sul posto.»
Ha concepito la trama così com’è stata pubblicata o inizialmente aveva un’altra idea?
«Inizio, svolgimento e fine sono sempre stati quelli che leggerete, non c’è mai stata nessuna modifica. Ho sempre avuto un’idea ben precisa da sviluppare e portare a termine.»
Com’è arrivato al titolo? Lo ha proposto lei o lo ha scelto la casa editrice?
«L’ho scelto io. Ha una motivazione e una collocazione ben precise che, ahimè, non posso spiegare. Il lettore avrà tutte le risposte che merita.»
Quanto è durata la gestazione del testo e quale è stata la parte della lavorazione più faticosa?
«La stesura è durata circa un anno. La parte faticosa non è stata tanto “pensare” cosa volessi scrivere, perché il romanzo era, dall’inizio alla fine, già scritto dentro di me. Il difficile è stato proprio scriverlo perché sono uno studente di giurisprudenza e, ovviamente, lo studio porta via la maggior parte del mio tempo. Ho scritto questo romanzo soprattutto di sera o di notte, dopo una giornata di studio. Almeno per ora, la scrittura è per me un’arma per sognare e uscire dagli schemi nei momenti liberi che mi restano.»
Il suo libro è un giallo che sconfina nel thriller. Che tecnica ha usato per alimentare la suspense?
«La vicenda conduce il lettore in un determinato punto, a partire dal quale tutto potrebbe accadere, niente è escluso. Dunque la suspense sale e non resta che finire di leggere il romanzo.»
Prevede un seguito?
«Ci ho pensato qualche volta, ma non ho mai preso seriamente in considerazione l’ipotesi perché il finale va volutamente in una determinata direzione. Dare un seguito vorrebbe dire entrare a gamba tesa sulla personale idea che ogni singolo lettore si è costruito della storia. Io sono l’autore, certo, ma pubblicando ho donato il racconto ai lettori e, in questo caso, un seguito mi renderebbe di nuovo e prepotentemente il “proprietario” del romanzo.»
Avrebbe cambiato qualcosa dopo che il libro è stato pubblicato?
«Assolutamente no. Quando decisi di pubblicarlo, il mio libro era finito, concluso. Se avessi apportato modifiche avrei, in qualche modo, snaturato quello che il mio Io, mentre era impegnato nella stesura, voleva esprimere.»
Ritiene che i pareri di coloro che lo hanno letto rispecchino il suo lavoro?
«Sono rimasto estremamente soddisfatto dei commenti dei miei lettori. Hanno saputo cogliere anche i particolari più nascosti e questo mi ha fatto capire di aver lavorato bene. Gli apprezzamenti hanno fatto sì che la consapevolezza nei miei mezzi crescesse e mi hanno spinto a presentarmi a un panorama di lettori sempre più ampio.»
Come ha espresso la sua personale voce di scrittore nel testo? In che modo lo ha reso “suo”?
Penso che ogni autore, quando scrive, parli in qualche modo di sé, anche inconsciamente, utilizzando lo strumento della fantasia o dando espressione a esperienze e pensieri. Per rendere “proprio” il suo racconto, uno scrittore necessita solo di tanta passione, dedizione e pazienza. Mi è capitato di scrivere per far sì che determinati momenti, che reputavo importanti, rimanessero impressi sulla carta e, dunque, nella mente. Intendo la scrittura come un modo codificato di comunicare con gli altri.
In che senso?
«Il libro è dello scrittore solo quando lo scrive, poi il suo nome finisce sulla copertina, ma basta così! Successivamente non è più dell’autore, ma appartiene in maniera divisa e diversa a ogni singolo lettore. La diversità di contenuto che si nasconde dietro quelle stesse (uguali) righe dipende sia dal lettore sia dal rapporto che questo ha con l’autore. Il lettore riceve un determinato messaggio da ciò che legge a seconda della sua Weltanschauung, per dirla alla tedesca, ovvero della sua visione del mondo. Se poi il lettore conosce l’autore, leggendone i racconti, difatti legge l’autore stesso in maniera codificata. Solo chi mi conosce davvero è in possesso della chiave per decifrare i miei codici e, quindi, i miei racconti.»
Ha un autore o un’autrice di riferimento che lo ha ispirato anche nella stesura di questo libro?
«I miei punti di riferimento sono molteplici. Il mio “faro” è stato però Francis Scott Fitzgerald perché durante la stesura mi sono appassionato ai suoi libri. Inevitabilmente, credo abbia influenzato il mio modo di pensare e, dunque, di scrivere.»
Ci dice tre titoli di libri che consiglierebbe a un suo amico lettore?
«Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, Misery di Stephen King e Non avevo capito niente di Diego De Silva. Quest’ultimo libro, in particolare, racconta le vicende dell’avvocato Vincenzo Malinconico con brillante ironia.»
24 marzo 2020
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La ragazza di Stamford
Autore: Francesco Pirrò
Editore: BookSprint
Genere: Giallo
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 104
Versioni disponibili: Cartaceo, eBook
Il libro sui social: @equi.libro – profilo instagram.
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