di Sabrina Colombo

La ricamatrice di Winchester
Autrice: Tracy Chevalier
Traduttore: Massimo Ortelio
Editore: Neri Pozza
Genere: Romanzo storico
Anno prima edizione: 2019
Pagine: 287
Consigliato agli amanti del genere storico che presta particolare attenzione alla tematica dell’emancipazione femminile.
Gran Bretagna, anno 1932. Violet Speedwell è una donna di 38 anni che si è trasferita da Southampton a Winchester. È nubile e ha perso, durante la prima guerra mondiale, sia il fratello che il fidanzato Laurence.
Come molte sue coetanee è considerata una “donna in eccedenza”, a causa della scarsità di uomini con cui sposarsi. Molti infatti sono morti durante il conflitto, lasciando mogli e fidanzate che non hanno avuto la possibilità di rifarsi una vita.
La coesistenza con la madre, nel frattempo rimasta vedova e incattivita dai lutti, è diventata sempre più insopportabile così Violet, alla prima occasione, accetta di lavorare presso la sede di Winchester dell’impresa assicurativa dove è impiegata come dattilografa. Per lei inizia una nuova vita, in cui impara a essere indipendente.
Quasi per caso si avvicina all’associazione delle ricamatrici della cattedrale, fondata da Louisa Pesel. L’associazione, ispirata a una confraternita medievale, ricama cuscini che servono per abbellire il coro e il presbiterio.
L’apprendimento di questa antica arte diventa per Violet l’occasione per consegnare ai posteri qualcosa di se stessa, di valore artistico tanto pregevole quanto quello delle preziose opere pittoriche o scultoree presenti nella magnifica cattedrale.
La frequentazione del gruppo delle ricamatrici diventerà anche l’occasione per dare una svolta radicale alla propria esistenza grazie alle nuove amicizie, tra cui l’esuberante Gilda, fragile e anticonformista, e il tenebroso Arthur, il campanaro, che ha sperimentato il dolore per la perdita di un figlio sui campi di battaglia.
Come tutti i libri di Tracy Chevalier, anche La ricamatrice di Winchester − partendo da alcuni dati e personaggi storici (in questo caso Louisa Pesel, i cui cuscini sono tuttora in uso nella cattedrale) − delinea una figura di donna forte e volitiva, che si emancipa dalle rigide regole del suo tempo, che la vorrebbero relegare al ruolo esclusivo di madre e moglie.
Violet compie un percorso di crescita umana che la condurrà a prendere coscienza del proprio valore e della propria unicità.
La scrittura è elegante, precisa, ricca, mai sovrabbondante. Il ritmo talvolta è lento o, per meglio dire, dilatato: questa è una caratteristica peculiare degli scritti di Tracy Chevalier, che ama presentarci le sue eroine a poco a poco, svelando le loro debolezze, i loro pensieri, le loro passioni.
L’ambientazione è pregevole, con una grande attenzione alla ricostruzione non solo dei luoghi geografici, ma anche del clima storico e politico del tempo, delle abitudini e del sentire comune dell’epoca.
Sono gli anni che precedono la seconda guerra mondiale, il mondo assiste attonito all’escalation di Hitler ma ancora non vuole credere che arriverà al punto di scatenare un conflitto globale per assecondare le proprie deliranti ambizioni. Sono anche gli anni in cui le donne, pur avendo acquisito il diritto al voto, non hanno preso pienamente coscienza del ruolo che potrebbero rivestire all’interno dei vari ambiti della società.
Lo sguardo è fisso al passato, ai rigidi protocolli e alle regole di condotta dell’età vittoriana, e le donne per prime non hanno il coraggio di emanciparsi, di rivendicare per sé un ruolo di comprimarie in tutti i settori della vita pubblica.
Violet, con il suo percorso umano ed emotivo, diventerà modello di una nuova figura femminile, forte, volitiva, indipendente: profondamente contemporanea.
Il libro in una citazione
«… non era facile conoscere uomini liberi in quegli anni, perché i maschi adulti erano due milioni in meno delle femmine. “Donne in eccedenza”, così venivano chiamate quelle rimaste nubili a causa della guerra e che difficilmente si sarebbero sposate, una minaccia, anzi una vera tragedia per una società fondata sul matrimonio. I giornalisti avevano coniato quell’etichetta, che equivaleva quasi a un marchio d’infamia per chi la portava.»
19 marzo 2020
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