I commenti del Let’s Book Club
Cosa scrivono i lettori sui profili social di Let’s Book in merito a “Babij Jar”
“Tutto in questo libro è verità. L’incipit di Babij Jar non è soltanto la testimonianza di un ragazzo durante l’occupazione nazista di Kiev e dei terribili eventi che segnarono quella città e la sua popolazione, ma anche e soprattutto, riferendosi agli eccidi che a Babij Jar ebbero luogo (ebrei, zingari, ucraini, bolscevichi), una forte denuncia di come l’uomo, anche il più normale, viene plasmato e annientato dai totalitarismi, nazista e comunista. Lettura davvero interessante.”
@raf_rob su twitter (28 aprile 2019)
Babij Jar
Autore: Anatolij Kuznecov
Titolo originale: Бабий Яр Роман-документ
Traduttrice: Emanuela Guercetti
Editore: Adelphi
Genere: Romanzo storico
Collana: Fabula
Anno edizione: 2019
Pagine: 454
Cosa scrive l’editore
“Dio sia lodato, questo regime di pezzenti è finito” dice nonno Semerik, che il potere sovietico lo odiava con tutta l’anima, quando i tedeschi occupano Kiev nel settembre del 1941. “Ora si comincia a vivere.”
Tolik ha solo dodici anni, ma non gli ci vorrà molto per capire che le speranze del nonno sono vane. Ben presto Babij Jar, il burrone nei pressi di Kiev, diventerà la tomba della popolazione ebraica, e poi di zingari, di attivisti sovietici, di nazionalisti ucraini, dei calciatori della Dinamo che si sono rifiutati di farsi battere dalla squadra delle Forze armate tedesche, di chi ha rubato del pane.
E mentre da Babij Jar giungono senza tregua i colpi della mitragliatrice, mentre gli attentati organizzati dagli agenti dell ‘Nkvd devastano la via principale e persino la venerata cittadella-monastero, mentre cominciano le deportazioni, Kiev diventa una città di mendicanti a caccia di cibo.
Per Tolik, che aveva conosciuto la terribile fame staliniana, non potrebbe essere più chiaro: tedeschi e sovietici si stanno scontrando “come il martello e l’incudine”, e in mezzo ci sono gli insignificanti “omuncoli” − e lui, in preda a un “mare di disperata angoscia animale”.
L’unica via d’uscita è assecondare la furibonda vitalità che lo pervade, sopravvivere in barba a tutto, crescere. Crescere per odiare chi trasforma il mondo in una prigione, in un “frantoio per pietre per denunciare violenze e menzogne”. Anche le ultime, atroci: dopo la liberazione di Kiev, Tolik e sua madre, in quanto persone “vissute sotto l’occupazione”, verranno marchiati come “merce scadente” − e il massacro di Babij Jar cancellato.